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Ossidi di terre rare

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Il passaggio al motore elettrico e alle energie rinnovabili potrebbe essere un regalo alla Cina e il motivo di nuovi conflitti geopolitici come è accaduto per il petrolio. Lo dice un articolo ospitato su “Internazionale” di Michael Klare docente all’Hampshire College negli Usa. Anche se il sole e il vento sono infinitamente rinnovabili, i materiali necessari per ricavarne elettricità e minerali come cobalto, rame, litio, nichel e terre rare sono tutt’altro che eterni. Alcuni di questi materiali come le terre rare, già indispensabili per smartphone e computer, sono molto più scarsi del petrolio, quindi nell’era delle rinnovabili il conflitto globale per le risorse potrebbe continuare.

Per comprendere questo paradosso dobbiamo tener presente in che modo l’energia eolica e quella solare sono convertite in forme utilizzabili di elettricità e propulsione. L’energia solare è in gran parte raccolta dalle celle fotovoltaiche, spesso in strutture che ne usano enormi quantità, mentre il vento è raccolto da turbine giganti, che in genere formano vasti parchi eolici. Per usare l’elettricità nei trasporti, le automobili e i camion devono avere una batteria in grado di mantenere la carica per lunghi periodi. Servono notevoli quantità di rame, oltre a una varietà di altri minerali non rinnovabili.

Le turbine eoliche, per esempio, impiegano manganese, molibdeno, nichel, zinco e terre rare per i generatori, mentre i veicoli elettrici hanno bisogno di cobalto, grafite, litio, manganese e terre rare per i motori e le batterie.

Oggi con l’energia eolica e quella solare che contribuiscono solo al 7 per cento circa della produzione globale e i veicoli elettrici che rappresentano meno dell’1 per cento dei mezzi in circolazione, la produzione di questi minerali è più o meno adeguata alla domanda. Ma se gli Stati Uniti e l’Europa si muoveranno davvero verso un futuro di energia verde, come previsto dalla Casa Bianca e dal Piano ambientale europeo del “green deal”, con zero emissioni nel 2050, la loro domanda salirà alle stelle e la produzione globale sarà molto al di sotto delle necessità.

Secondo un recente studio dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) intitolato “Il ruolo dei minerali critici nella transizione energetica”, se il mondo s’impegnerà a sostituire rapidamente i veicoli a petrolio con quelli elettrici, nel 2040 la domanda di litio potrebbe essere cinquanta volte maggiore rispetto a oggi e quella di cobalto e grafite trenta volte superiore.

Quest’impennata della domanda, ovviamente, spingerà l’industria ad aumentare le forniture di quei minerali, ma le loro potenziali fonti sono limitate e il processo di estrazione è costoso e complicato. In altre parole, il mondo potrebbe trovarsi molto a corto di materiali indispensabili. “Con l’accelerazione del passaggio all’energia pulita in tutto il mondo”, osserva sinistramente il rapporto dell’Agenzia, “i pannelli solari, le turbine eoliche e le auto elettriche saranno sempre più usati, e i mercati in rapida ascesa dei minerali potrebbero essere soggetti a volatilità dei prezzi, influenze geopolitiche e interruzioni delle forniture”.

Ma c’è un’ulteriore complicazione: per alcuni dei materiali essenziali, come il litio, il cobalto e le terre rare, la produzione è fortemente concentrata in pochi paesi, e questo potrebbe portare al tipo di conflitti geopolitici che hanno accompagnato la dipendenza del mondo da poche importanti fonti di petrolio. Secondo l’Aie, oggi un solo paese, il Congo produce più dell’80 per cento del cobalto mondiale e un altro, la Cina, il 70 per cento delle terre rare; la produzione di litio dipende in gran parte da due paesi, l’Argentina e il Cile, che insieme rappresentano quasi l’80 per cento dell’offerta mondiale; quattro paesi – Argentina, Cile, Congo e Perù – producono la maggior parte del rame.

In altre parole, la concentrazione di queste risorse in pochi paesi è molto maggiore di quella del petrolio e del gas naturale, il che spinge gli analisti dell’Agenzia a prevedere nuove lotte globali.

Tutti conosciamo l’influenza del petrolio sulla geopolitica. Da quando è diventato essenziale per il trasporto e l’industria è considerato per ovvie ragioni una risorsa “strategica”. Dal momento che le maggiori concentrazioni di petrolio si trovavano in Medio Oriente e Nordafrica, guerre e tensioni si sono concentrate in questa area.

Emblematiche le “crisi petrolifere” del 1973 e del 1979: la prima era stata causata dall’embargo arabo deciso come rappresaglia per il sostegno di Washington a Israele nella guerra di ottobre di quell’anno, la seconda all’interruzione degli approvvigionamenti provocata dalla rivoluzione islamica in Iran. Gli Usa si impegnarono a garantire le importazioni di petrolio con “ogni mezzo necessario”, compreso l’uso delle armi. Questo spinse George Bush senior a dichiarare la prima guerra del Golfo contro l’Iraq di Saddam Hussein nel 1991, e portò suo figlio a invadere il paese nel 2003.

Nel 2021 gli Stati Uniti non sono più così dipendenti dal petrolio mediorientale grazie all’uso intensivo del fracking (fratturazione idraulica) per sfruttare i giacimenti nazionali. Tuttavia, il collegamento tra uso del petrolio e conflitti geopolitici rimane. La maggior parte degli analisti ritiene che il petrolio continuerà a garantire una quota importante dell’energia globale per i prossimi decenni, provocando lotte politiche e scontri militari per assicurarsi le forniture restanti.

La questione oggi è: cosa cambierebbe se ci fosse un boom del commercio di auto elettriche? La quota di mercato dei veicoli elettrici sta già crescendo rapidamente e si prevede che raggiungerà il 15 per cento delle vendite mondiali entro il 2030.

È ragionevole presumere che questo cambiamento sia destinato ad accelerare, con profonde ripercussioni sul commercio globale delle risorse. Secondo l’Aie, un’auto elettrica richiede sei volte l’apporto di minerali di un veicolo convenzionale a benzina. Questi minerali includono il rame per il cablaggio elettrico più il cobalto, la grafite, il litio e il nichel necessari per garantire le prestazioni e la longevità della batteria, Inoltre, le terre rare saranno essenziali per i magneti permanenti installati nei motori elettrici.

Il litio, componente principale delle batterie dei veicoli elettrici, è il metallo più leggero che esista. È presente nei depositi di argilla e nei noduli polimetallici, ma si trova raramente in concentrazioni facilmente estraibili. Attualmente circa il 58 per cento del litio mondiale proviene dall’Australia, un altro 20 per cento dal Cile, l’11 dalla Cina, il 6 dall’Argentina e percentuali minori da altri paesi.

Il cobalto è un altro componente chiave delle batterie. Oggi è quasi interamente prodotto grazie all’estrazione del rame nel caotico e violento Congo. Le terre rare sono un gruppo di diciassette metalli sparsi sulla superficie terrestre. Molte sono essenziali per la futura energia verde, come il disprosio, il lantanio, il neodimio e il terbio. Attualmente circa il 70 per cento delle terre rare proviene dalla Cina, quasi il 12 per cento dall’Australia e l’8 per cento dagli Stati Uniti.

Basta uno sguardo alla distribuzione di queste risorse per capire che la transizione verso l’energia verde immaginata da Biden e altri leader mondiali potrebbe provocare aspri conflitti geopolitici non diversi da quelli generati in passato dal petrolio. Per l’approvvigionamento delle terre rare, la Cina, già oggi considerata un’avversaria, è cruciale, mentre Il Congo, dove è stato ucciso l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, è il principale produttore di cobalto. Quindi è davvero difficile pensare che la transizione verso le energie rinnovabili sarà facile e indolore.

Si può immaginare – sottolinea Michel Klare – che un giorno le potenze cominceranno a litigare per le forniture di questi minerali, proprio come una volta combattevano per il petrolio. Ma è anche plausibile uno scenario in cui gli Usa e l’Europa potrebbero archiviare o ridurre i loro progetti, per mancanza di materie prime necessarie e torneranno alle guerre per il petrolio. Ma su un pianeta già surriscaldato questo comporterebbe futuro devastante. Washington e Pechino, quindi, non hanno altra scelta se non collaborare, tra loro e con altri paesi, per accelerare la transizione energetica verde. Qualunque alternativa sarebbe una catastrofe.


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