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Il vero risultato della COP26 è quella di mettere insieme tutte le nazioni del mondo e di forzarle a parlare di sviluppo che, seguendo la moda di questi anni, deve essere sostenibile, dando per scontato, ingiustamente, che fino ad oggi sia stato insostenibili, ovvero dannoso. A parte questo, è bello ascoltare tutti i delegati, in particolare quelli dei paesi poveri parlare alla pari con i paesi ricchi, a volte sopra la loro testa, in particolare degli Stati Uniti, il paese che sta forgiando lo sviluppo del mondo, primo dell’occidente per tecnica, ricchezza, consumo di energia ed emissioni di CO2 pro capite.

Quasi tutti parlano in inglese, quasi sempre un ottimo inglese, come che tutti abbiano studiato in qualche università americana. I paesi poveri, in particolare quelli del Pacifico che, a sentire loro, fra poco affogheranno sotto l’innalzamento dei mari, chiedono più soldi per affrontare le calamità: 100 miliardi di dollari all’anno da parte dei ricchi, che li avevano promessi già 6 anni fa a Parigi.

Per la verità, lo aveva anche promesso il nostro Draghi a Roma alla conclusione del G20 a fine ottobre. Sì, perché, al di là del clima, si tratta di soldi, allocazione e riallocazione di risorse, di giustizia, fra poveri e ricchi, fra chi ha emissioni pro capite di 0,17 tonnellata di CO2, come l’Eritrea, e chi ne ha 14, come gli Stati Uniti.

Molti poveri, e quelli di nuova industrializzazione, lamentato il nuovo colonialismo carbonico dei paesi ricchi, perché vogliono sottrargli l’accesso al carbone e al petrolio. Il bello è che anche i ricchi parlano di transizione dai fossili, come fosse dietro l’angolo, quando invece, nonostante siano passati 26 anni dalla COP1 di Berlino, continuano ad esserne profondamente dipendenti fino all’80%.

L’Europa, la prima della classe, è nel pieno di una crisi gas che non sa affrontare se non chiedendo aiuto a Putin, mentre gli Stati Uniti vedono un balzo dell’inflazione a massimi non visti da 30 anni, spinti dai prezzi del gas.

Una fuga dalla realtà che fa parte della rappresentazione, inevitabilmente e giustamente un po’ teatrale, con cui è necessario procedere in questa festa che si ripeterà nei prossimi anni, speriamo con qualche passo più spedito verso la realtà dell’energia, lo studio del cambiamento climatico e una maggiore giustizia nell’accesso alle risorse.


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