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Papa Francesco

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Non c’era solo quella enorme folla a piazza san Pietro. Con il rito trasmesso in eurovisione, per la celebrazione della Domenica delle Palme, l’uditorio era mondiale. Le parole del Papa sarebbero arrivate dappertutto. Rileggendo la “Passione del Signore” nella tragica concretezza dell’oggi. E quindi denunciando come nella “follia della guerra”, di una guerra come quella scatenata dalla Russia di Putin contro l’Ucraina, si torni a crocifiggere Cristo. A crocifiggere bambini, giovani, padri e madri, anziani, quelli morti sotto le bombe e quelli costretti a fuggire dalla loro terra, una terra ormai inospitale, pericolosa.

Francesco, per la verità, lo ha detto: “Cristo è crocifisso, lì, oggi”. Ma lo ha detto solo sul finire della sua omelia. Senza contestualizzare immediatamente il racconto di Luca nella drammaticità del presente. E, quel che ha più colpito, insistendo ripetutamente sul comandamento più difficile che, ha ricordato, Gesù vive nel momento di essere crocifisso, “l’amore per i nemici”. Ebbene, c’è da chiedersi, come saranno state accolte queste affermazioni papali dagli ucraini? D’accordo, Bergoglio citava il Vangelo, nel ripetere come Cristo, dalla croce, non si stancasse di perdonare anche i suoi crocifissori. Ma era opportuno, era giusto farlo, proprio mentre migliaia di innocenti vengono uccisi, massacrati?

Sono dubbi, interrogativi, che spuntano fuori, inevitabilmente, prepotentemente, ad ascoltare il capo della Chiesa cattolica che pronuncia quella frase così intensa, così profonda, così ammonitrice: “Cristo è crocifisso lì, oggi”; ma che poi, con quel “lì”, così volutamente generico, così carico di cautele, di riserve, finisce per rendere fragile, senza più peso, la denuncia del massacro che si sta consumando. Finora, Francesco non ha mai citato né Putin né la Russia. E’ stata una scelta, discutibile, rivelatasi oltretutto infruttuosa, ma che faceva, fa parte, di una precisa strategia diplomatica.

Adesso, però, anche il nome “Ucraina” è scomparso dai discorsi pontifici.
Domenica, per due volte, sia nell’omelia che all’Angelus, Francesco non ha mai parlato espressamente di Ucraina. Una “dimenticanza” voluta, e confermata del resto da quell’invito – nobilissimo, certo, nei suoi obiettivi – a deporre le armi al fine di iniziare una “tregua pasquale”. In questo modo, le posizioni (e le forze armate) di Russia e Ucraina sono state messe sullo stesso piano. Non si fa più nessunissima distinzione tra aggressore e aggredito, tra chi invade e chi subisce l’invasione. Anzi, benché fatto in termini ambigui, si avverte l’Ucraina di Zelensky che, per arrivare a un “vero negoziato”, bisognerà essere “disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente”. Come dire, smetterla con le richieste di avere nuove armi per resistere all’aggressore, e prepararsi a cedere qualche pezzo di territorio in più per favorire una soluzione pacifica.

Così, sembrerebbe essere stato messo nel dimenticatoio quanto si proclamava nel “Compendio della dottrina sociale della Chiesa”, promulgato da Giovanni Paolo II: “Il diritto all’uso della forza per scopi di legittima difesa è associato al dovere di proteggere e aiutare le vittime innocenti che non possono difendersi dall’aggressione”. Insomma, pur senza volerlo, si finisce per piegarsi alla legge del più forte (la Russia), ritenendola l’unica maniera possibile per assicurare la sopravvivenza del più debole (il popolo ucraino).

Questo fa anche capire perché non ci sarà, non ci potrà essere nessun viaggio del Papa, né in uno dei Paesi confinanti con quelli in guerra (c’è qualche capo di Stato che verrà apposta in Vaticano per dissuadere Francesco, e proporsi, a suo nome, come mediatore con Putin), né a maggior ragione in Ucraina (proprio nel momento in cui l’esercito russo scatena l’offensiva finale, e si prepara ad entrare nel Donbass).

Così come sarebbe molto problematico, almeno per ora, un viaggio del Papa in Medio Oriente, forse in Libano, per incontrare il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill. Proprio ieri, un autorevole esponente di quel patriarcato, Hilarion, ha dichiarato che, risolti i problemi di sicurezza e logistici, quel viaggio si farà. Ma come potrà, Francesco, non tener conto del ruolo nefasto che sta avendo Kirill, nel legittimare la “guerra santa” di Putin?

Ed è per tutte queste ragioni che ha poche speranze di venir accolto, l’invito alla “tregua pasquale” lanciato domenica da papa Francesco. Una tregua già ora impossibile, vista l’intensificazione dello sforzo bellico da parte dei russi. Non solo, ma una tregua difficilmente praticabile anche nel suo richiamarsi alla Pasqua, e questo per la profonda divisione che è insorta nel mondo ortodosso. E che un domani, finita la guerra delle armi, potrebbe alimentare una guerra religiosa. O, addirittura, provocare un nuovo scisma.


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