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Se non ora quando?

“La confessione, per i credenti, offre l’occasione di riconciliarsi con Dio, chiedendogli perdono. Se facciamo riferimento ai nostri ricordi il prete, che ci assolveva, assegnava una penitenza! Ma spesso appena usciti dalla chiesa eravamo pronti a peccare di nuovo. Bene, che non avvenga la stessa cosa appena superemo questo incubo, che per ora continua anche quando ci svegliamo. Ma che ci accompagnerà per i prossimi, speriamo soli, 15 giorni. Ci siamo tutti ritrovati, forse per una delle poche volte dall’unità politica dell’Italia, a tifare contro un male comune. Ed a soffrire, dalle Alpi fino a Lampedusa, per quello che sta accadendo a Bergamo o a Cremona.

Mai viste sul web tante bandiere italiane come negli ultimi giorni. Forse solo per i mondiali di calcio. E se ancora c’è qualche voce fuori dal coro viene zittita con “non è questo il momento di polemizzare”. Perfino l’episodio gravissimo del decreto annunciato, che ha consentito a migliaia di meridionali di tornare, oltre 20.0000 si sono registrati solo in Sicilia con grande senso civico, dopo che in una notte di pazzia avevano perso la ragione, non è stato vissuto troppo negativamente.

Certo si trattava dei propri figli e nipoti si può dire, ed è vero. Ma anche l’atteggiamento rispetto ai bergamaschi che avevano portato il virus, loro malgrado, a Palermo ha portato più a gesti di solidarietà della città che ad atteggiamenti di fastidio. Né mi pare ci siano state sollevazioni per gli 11.000 del Nord, che si sono trasferiti, autodenunciandosi, in Sardegna. Forse si è avuta la stessa sensazione di unità per il terrorismo, per qualche terremoto, per la tragedia del Vajont. Ma allora il tema non riguardava tutti, c’erano i distratti, coloro che pensavano che il problema era di altri. Questa volta no.

Tutti quelli, che non abbiamo impegni inderogabili all’esterno di lavoro siamo a casa, a difenderci da un nemico subdolo e misterioso che non sappiamo come affrontare. Per una volta abbiano superato i dialetti, gli accenti, forse anche ci siano dimenticati dei diversi interessi territoriali. Una occasione unica per riappropriarci del senso di appartenenza a quel grande Paese che ha dato i natali a Dante e a Raffaello. Che ci fa sentire orgogliosi di essere italiani quando andiamo in giro per il mondo.

Approfittiamo di questo nuovo sentimento per ripensare la nostra vita, i nostri comportamenti ma anche il sistema Paese e certamente anche il sistema Europa. Perché l’ occasione è di quelle epocali per cambiare ritmo e passo. Per resettare il telefonino della nostra vita. Facciamo finta che è caduto a terra e si è rotto e dobbiamo ripartire a caricare tutti i dati. Il nostro Paese deve approfittare di questa pandemia per mettere un punto e andare a capo.

Il primo tema che dovrà affrontare sarà quello delle autonomie differenziate! Uno dei problemi, quello dell’unica catena di comando che ha fatto perdere giorni preziosi. Se non avessimo avuto la paura dei governatori e dei sindaci delle zone focolaio di chiudere tempestivamente tutto e del Governo di fermare la locomotiva del Paese non saremmo con l’Eco di Bergamo, che ha 6-7 pagine al giorno di necrologi. Bisogna tornare indietro sulla modifica del titolo V della Costituzione. Il Paese si è riunito da troppi pochi anni per potersi consentire una organizzazione pseudo federale.

Ha bisogno di un Governo che proceda alla sua unificazione economica, che non potrà che avvenire se non con un centralismo virtuoso. Che si sostituisca ,laddove sarà necessario con una sostituzione dei poteri alle classi dirigenti, spesso dominanti, di un Sud che ancora non riesce, considerati i grandi problemi atavici le esperienze storiche differenti, a darsi quel passo spedito nello sviluppo economico che serve ad una vera unificazione. Nell’interesse di tutti perché potevamo chiudere più facilmente ed evitare il diffondersi del virus se avessimo avuto una altra locomotiva da attaccare al carro Italia per farlo continuare a camminare. La vera unificazione avverrà quando il reddito pro capite della Sicilia sarà uguale a quello del Trentino e non la metà, quando gli occupati della Campania saranno uno su due come quelli dell’Emilia e non uno su quattro, quando si viaggerà da Roma a Palermo in treno alla stessa velocità che da Roma a Milano.

Saremo capaci di cambiare approccio? Ne sono convinto profondamente: questo Paese nei momenti di difficoltà è pronto a fare sistema e lottare unito. Anche se la tentazione di utilizzare i fondi comunitari per l’emergenza del Cov19, che si affaccia timidamente, mi farebbe ricordare il grido di dolore della vedova Schifani, moglie dell’agente della scorta di Falcone morto a Capaci che, in chiesa, nel discorso che aveva scritto legge un appello alla mafia “ io vi perdono ma vi dovete mettere in ginocchio se avete il coraggio di cambiare” e aggiunge sottovoce “ma loro non cambiano”. Noi saremo capaci di cambiare, ne sono certo. Se non ora, quando? Direbbe Primo Levi.


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