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L'area del porto di Gioia Tauro

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FORSE è arrivato il momento di riaccendere la nostra lungimiranza, cioè di tornare a essere capaci non di prevedere gli scenari futuri, ma solo di leggere sin da ora quali siano già i segnali di cambiamento, quali siano le misurabili occasioni di una nuova cultura economica. Una simile lettura, un simile nuovo approccio, oltre ad annullare vecchi confini fisici o teorici, oltre ad allontanarci da vecchie e consolidate abitudini e obsolete categorie macroeconomiche, ci porta automaticamente verso pianificazioni completamente diverse da quelle che abbiamo finora seguito e che ancora seguiamo dimenticando che per molto tempo, in particolare negli ultimi dieci anni, abbiamo anche preferito dimenticare che stavano prendendo corpo dei cambiamenti sostanziali nell’assetto socio economico mondiale.

RIBALTATO IL RAPPORTO TRA STATO E REGIONI

Ebbene, dimenticando per un attimo gli eventi che in un certo senso hanno scosso la tradizionale evoluzione degli assetti economici a livello planetario, mi riferisco all’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 o alla crisi finanziaria dei mutui subprime, iniziata nel 2006 ed esplosa nel 2008, o alla guerra in Ucraina o alla pandemia, penso sia arrivato il momento di ricordare quelle scadenze e quegli eventi che diventeranno nei prossimi mesi e nei prossimi anni i riferimenti chiave di un nuovo mosaico economico che renderà sicuramente più forti alcuni Paesi e meno forti altri, più forti alcune aree regionali e meno forti altre: per assurdo, potremmo assistere anche alla perdita di ruolo di alcune aree che oggi riteniamo poco forti e che rischiamo di trovare in una fascia economica dominante.

In una delle mie ultime note ricordavo che un primo segnale di cambiamento che il Pnrr ha introdotto nel nostro sistema finanziario non è stato solo la richiesta da parte dell’Unione europea di un Piano di interventi e di riforme da realizzare entro il 31 dicembre 2026, ma, soprattutto, il fatto che l’erogatore delle risorse mirate al rilancio anche della nostra offerta infrastrutturale diventava l’Unione europea: e ha fatto bene il ministro Raffaele Fitto ad affrontare tale Piano inserendo anche le scelte supportate dai Fondi di sviluppo e coesione, sia quello del periodo 2014-2020 che quello del periodo 2021-2027.

Questa operazione ribalta completamente il rapporto tra Regioni e Stato, e impone automaticamente un modo diverso nel definire programmaticamente le scelte, nell’istruire le proposte progettuali, nel garantire le procedure di affidamento delle opere, nel rispettare cadenze temporali obbligate e non generiche.

I PASSAGGI CHIAVE PER IL FUTURO

In realtà se in passato avessimo interagito direttamente con l’Unione europea non credo sarebbe stato possibile disporre oggi di un dato scandaloso: di circa 54 miliardi del Fondo di sviluppo e coesione del Programma 2014-2020, agli inizi del 2022 era stato speso solo l’8,9%, cioè meno di 4 miliardi di euro. Ma questo è solo uno degli esempi del cambiamento dei rapporti tra il Paese e l’Unione europea: ci sono altri esempi ancora più difficili da comprendere, perché siamo ormai convinti che o non accadranno o, se dovessero accadere, non produrrebbero cambiamenti sostanziali nell’impianto dell’intera economia. Elenco alcuni elementi, alcuni a scala comunitaria, altri a scala mondiale, che ci porteranno, con la massima urgenza, a rivedere, come dicevo prima, la nostra grammatica usata per disegnare possibili scenari anche di breve e medio termine.

Mi riferisco a:

  • 1) Un nuovo Patto di stabilità all’interno dell’Unione europea.
  • 2) L’annullamento delle auto con trazione diesel o benzina dal 2035.
  • 3) Una rivisitazione sostanziale dell’uso delle fonti energetiche.
  • 4) Una nuova logistica sia legata alla supply chain, sia alla rivisitazione integrale di alcuni teatri economici, sia legata a una nuova rete terrestre integrata.
  • 5) Un forte impegno verso un processo di ritorno alla pace.
  • 6) La scoperta del ruolo di un continente spesso non coinvolto e sottovalutato da sempre: il continente africano

1) UN NUOVO PATTO DI STABILITÀ

Forse lo abbiamo seguito poco o il mondo della informazione lo ha ritenuto secondario e non rilevante: mi riferisco al nuovo patto di stabilità e crescita (un accordo stipulato e sottoscritto nel 1997 dagli Stati membri dell’Unione europea). Ebbene, dopo un intenso lavoro e dopo un periodo di consultazioni durato un anno, due mesi fa la Commissione europea ha presentato un progetto ritenuto da tutti ambizioso: viene abbandonato il Patto basato su rigide soglie numeriche (il vecchio Patto aveva due soglie chiave: il deficit pubblico non deve superare il 3% del Pil; il debito pubblico non deve superare il 60%) identiche per tutti i Paesi e viene sostituito con Piani di riduzione del debito che la Commissione negozierà con ciascun Paese e che saranno valutati in base alla reale sostenibilità del debito.

L’Italia potrebbe anche rallentare o addirittura ostacolare l’approvazione del nuovo Patto. Ma in questo caso rientrerebbe in vigore il vecchio Patto, con tutti i vincoli, l’opacità, l’inefficacia e la complessità che ben conosciamo. Quindi prenderà corpo, nei prossimi mesi, un rapporto diretto con l’Unione europea, e si tratta di un rapporto in cui ogni Stato dialogherà e difenderà il proprio assetto economico. Non è un’operazione che limita la forza dei comportamenti comunitari, ma esalta e giustifica le singole diversità identificando le differenti terapie per superare le criticità presenti all’interno di realtà socio economiche diverse.

2) IL NODO DELLE AUTO DIESEL E A BENZINA

Ultimamente il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva il provvedimento che vieta la vendita di veicoli con motori termici dal 2035. I veicoli a benzina o diesel andranno dunque sostituiti con le alternative a zero emissioni, come l’auto elettrica. Il provvedimento fa parte del pacchetto Fit for 55 per il dimezzamento delle emissioni inquinanti nella Ue entro il 2030. L’accordo raggiunto con gli Stati membri alla fine dello scorso anno, dopo lunghe trattative, include anche obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni per il 2030 (55% per le auto e 50% per i furgoni), nonché una nuova metodologia per la valutazione delle emissioni di Co2 durante l’intero ciclo di vita di un veicolo. Inoltre, dal 2030 saranno vietati gli incentivi statali per l’acquisto di auto elettriche.

Il testo è stato contestato dall’industria auto e dal suo indotto. In una lettera congiunta diffusa nei giorni scorsi un centinaio di imprese e associazioni di categoria – dai costruttori di veicoli ai produttori di carburanti di vario tipo – avevano chiesto alla Commissione europea di tenere conto, oltre all’elettrificazione e all’idrogeno, anche del contributo che i combustibili sostenibili e rinnovabili possono dare alla decarbonizzazione dei trasporti. L’uso di biocarburanti, secondo queste aziende, potrebbe salvare la tecnologia dei motori a combustione e al contempo abbattere le emissioni. Nel 2026 – si legge in una nota del Consiglio degli Stati membri, qualora dovessero esserci problemi “pratici” o “sociali”, Bruxelles potrebbe decidere di rinviare lo stop al motore a combustione, almeno per quelli ibridi o che utilizzano i cosiddetti e-fuel, o biocarburanti. Siamo cioè in presenza di un’altra decisione che senza dubbio persegue un valido obiettivo green ma cambia in modo sostanziale la produzione di alcune filiere industriali e la vita di alcuni impianti portuali.

3) UN NUOVO USO DELLE FONTI ENERGETICHE

Come ho ricordato una settimana fa, lo scorso anno è nato il Repower Eu, un Piano che senza dubbio ha subìto una forte accelerazione all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, un Piano mirato quindi alla necessità di ridisegnare gli equilibri internazionali e aumentare l’indipendenza energetica dell’intero continente. Questo rivoluzionario Piano energetico (l’ho definito rivoluzionario non solo per gli obiettivi, ma soprattutto perché forse, insieme alle Reti Ten- T è il primo atto pianificatorio forte e concreto dell’Unione europea) anticipa al 2027 gli obiettivi fissati al 2030. E nel documento si dice apertamente che:

  • Bisogna dire addio alle fonti fossili – gas e carbone – provenienti dalla Russia nell’arco massimo di 5 anni.
  • Bisogna agevolare il passaggio alle energie rinnovabili arrivando al 45% entro il 2030.
  • Bisogna risparmiare al massimo il consumo energetico, in particolare attraverso strategie sul risparmio energetico europeo ricorrendo a misure a breve e a lungo termine.

Sono questi, ripeto, i pilastri del piano stilato dall’Unione europea che mette in campo 300 miliardi di euro. Ma questa corsa verso il contenimento e l’ottimizzazione dell’energia, come ho ricordato in una delle mie ultime note, parte da lontano e, come al solito, la nostra memoria corta lo ha quasi dimenticato: mezzo secolo fa, in particolare nel 1973, a valle della grande crisi petrolifera legata all’embargo decretato dall’Opec nell’ottobre 1973, furono bloccate le auto private negli Stati Uniti e nei Paesi alleati in Europa, Italia compresa. Presero così il via le “domeniche a piedi”. In realtà, finalmente capimmo che la più grande disponibilità di risorse energetiche andava ricercata nel contenimento e nella ottimizzazione dei consumi di energia.

4) NUOVI MODELLI PER LA LOGISTICA

La chiamiamo la “Via della Seta” forse solamente per arricchire con un riferimento nostalgico una scelta logistica. In realtà la Cina, 15 anni fa, decise di disegnare prima e attuare poi, in un arco di soli dieci anni, un progetto di grande spessore strategico: un asse terrestre Pechino-Amburgo- Mortara e un asse marittimo- terrestre Shanghai-Mombasa-Lagos. Un forcipe che supera i possibili ricatti nella scelta modale da parte di alcuni Paesi attraversati, un forcipe che attraverso il nuovo porto di Mombasa e con l’asse autostradale Mombasa-Lagos consente ai prodotti provenienti dall’est asiatico di evitare il transito del Canale di Suez per i collegamenti verso le Americhe.

Ma cambierà anche il sistema dei collegamenti terrestri: infatti entro i prossimi dieci anni disporremo di tre nuovi valichi ferroviari (il nuovo tunnel Torino- Lione, il Terzo valico dei Giovi sull’asse Genova-Milano e il Brennero), valichi che incrementeranno, in modo sostanziale, l’osmosi tra l’Italia e l’Europa e tra l’Europa e il Mediterraneo. Ma avremo anche due Nazioni, il Montenegro e l’Albania, all’interno della Unione europea, e quindi i Balcani troveranno nei porti di Bar e di Durazzo due nuovi hub portuali fondamentali. Avremo anche un nuovo canale parallelo al Bosforo e quindi un concreto incremento dei transiti tra il Mar Nero e il Mediterraneo. Inoltre potremo contare, se tornasse una pace vera in Libia, anche sulla presenza di un nuovo porto, quello di Tobruk, che, insieme a quello di Damietta, andrebbe a costituire un’accippiata di hub portuali forti dell’Africa settentrionale.

5) IL PROCESSO DI RITORNO ALLA PACE

Potrebbe essere, il prossimo decennio, anche un periodo caratterizzato da un ritorno alla pace; questa ipotesi penso sia più configurabile come un ottimismo della ragione che un ottimismo della speranza. Non credo, infatti, che possano esserci, specialmente in Europa, nei prossimi cinque anni ancora guerre manifeste e pesanti come quella in Ucraina o latenti e sempre pronte a riesplodere come quelle nel Kosovo. Questo porterà obbligatoriamente verso una crescita rilevante del comparto delle costruzioni per ridare alla Ucraina la qualità urbanistico-territoriale posseduta fino a un anno fa.

Al tempo stesso, come dicevo nel punto precedente, i Balcani, attraverso lo sblocco logistico sul Mar Adriatico grazie ai porti di Bar e Durazzo ridaranno ruolo e forza commerciale all’intero retroterra. Lo storico “Corridoio VIII” Bari- Durazzo-Varna, in tal modo, diventerà uno dei nuovi Corridoi delle Reti Ten-T. Sempre all’interno di questa esplosione della pace non possiamo dimenticare un altro progetto di grande respiro strategico quale quello dell’asse stradale e ferroviario che parte dal porto di Bassora, in Iraq, raggiunge Mosul, entra in Turchia e, attraverso il “Corridoio X” delle Reti Ten-T raggiunge l’intero sistema dell’Europa del Nord. Questo, in fondo, sarebbe un Corridoio che eviterebbe l’utilizzo di porti del Mediterraneo e offrirebbe alle merci provenienti dall’est asiatico un ulteriore cordone ombelicale.

6) LA RISCOPERTA DELL’AFRICA

La nostra memoria storica corta dimentica che nel 2009 l’allora ministro Altero Matteoli volle avviare i lavori relativi all’aggiornamento delle Reti Ten-T e volle aprire i lavori dell’aggiornamento, d’intesa con l’Unione europea, a Napoli. Fin qui nulla di rilevante. Ma in quella occasione volle che ci fossero, oltre ai 27 Paesi dell’Unione europea, anche 12 Paesi extra-Ue (10 africani e due del Medio Oriente, cioè il Libano e Israele). In realtà aveva condiviso pienamente l’idea della Commissaria Loyola De Palacio di allargare le finalità contenute nelle Reti Ten- T ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e a quelli che, direttamente o indirettamente, hanno interesse a interagire con questo bacino. I lavori dell’incontro di Napoli durarono tre giorni e le conclusioni furono davvero interessanti: l’Unione europea scopriva per la prima volta che il continente africano poteva, e forse doveva, essere a tutti gli effetti un attore chiave nella crescita economica del bacino del Mediterraneo e che il nostro Mezzogiorno avrebbe beneficiato, in modo rilevante, di possibili azioni congiunte con questi Paesi. I rappresentanti della Banca d’Africa e della Bei ritennero che fosse indispensabile approfondire questi interventi al contorno delle Reti Ten-T per costruire, addirittura, un apposito Fondo a sostegno di iniziative congiunte. Oggi dopo 14 anni, quell’approccio ridiventa attuale e, a mio avviso, sarebbe un grande errore, anche ai fini del contenimento delle forme migratorie, sottovalutare un tale approccio.

I 4 FILONI DA SEGUIRE PER LE INFRASTRUTTURE

Potrei continuare a descrivere i cambiamenti che hanno modificato integralmente tutto ciò che aveva caratterizzato i nostri convincimenti pianificatori e le nostre masturbazioni mentali nel disegnare i possibili scenari di breve-medio termine e, purtroppo, dobbiamo ammettere che abbiamo spesso preso le distanze da scelte lungimiranti per evitare di produrre solamente utopie. Forse è arrivato il momento di sposare e sostenere le utopie e ammettere che non ha senso produrre Piani economici e finanziari di singole portualità, non ha senso pensare ingegneristicamente ed economicamente a reti ferroviarie e autostradali nazionali o regionali, non ha senso sostenere ed ampliare hub logistici isolati e legati a finalità regionali, non ha senso realizzare reti metropolitane e servizi di trasporto nelle grandi e medie realtà urbane pensando solo ai benefici dei fruitori di una determinata rete o di una determinata area territoriale. E allora ricorriamo all’utopia, ricorriamo, una volta tanto, alla lungimiranza delle idee e sfidiamo proprio l’Unione europea, in questa fase di grande disponibilità a esistere e ad affrontare linee strategiche tipicamente “comunitarie”, a prospettare quattro possibili filoni rivoluzionari di ciò che oggi chiamiamo la costruzione e la gestione della offerta infrastrutturale nel comparto dei trasporti.

Diamo corso, quindi, all’approfondimento e alla possibile:

  • Istituzione di una Società per azioni la cui mission dovrebbe essere la gestione dell’offerta portuale dell’intera Unione europea, mirata soprattutto al rilancio organico e strategico del bacino del Mediterraneo.
  • Istituzione di una Società per azioni la cui mission dovrebbe essere la gestione dell’offerta ferroviaria primaria dell’intero assetto comunitario.
  • Istituzione di una Società per azioni la cui mission dovrebbe essere la realizzazione, la gestione e la ottimizzazione degli hub logistici terrestri dell’intero sistema comunitario.
  • Istituzione di una Società per azioni la cui mission dovrebbe essere la realizzazione e la gestione dei servizi di trasporto pubblico locale delle aree urbane comunitarie con un numero di abitanti seriore al milione di residenti.

Molti riterranno queste indicazioni pura utopia. A mio avviso potrebbe essere invece, come detto, solo lungimiranza. Una volta la lungimiranza albergava nelle generazioni giovani: purtroppo oggi alberga spesso nelle generazioni anziane.


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