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Il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri

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«LA CREDIBILITA’ della giustizia è ai minimi storici»: non ha dubbi Nicola Gratteri, il supermagistrato antimafia, che da quasi cento giorni è alla guida della Procura di Napoli, la più grande d’Italia. Calabrese, originario di Gerace, uno dei borghi più suggestivi della Locride, ha 65 anni. E’ in magistratura dal 1986, è stato prima giudice al Tribunale di Locri, dove poi nel ’91 è diventato sostituto procuratore, stesso incarico che ha poi svolto dal 1996 a Reggio Calabria fino al 2009 quando è diventato procuratore aggiunto. Dal 2016 è stato alla guida della procura di Catanzaro e il 20 ottobre dello scorso anno si è insediato alla procura partenopea.

Gratteri, secondo lei in Italia la giustizia non vive un buon momento?

«Purtroppo siamo ai minimi storici. Per esempio, nel caso Palamara il presidente della Repubblica Sergio Mattarella doveva avere il coraggio di rifondare il Csm, ma questo non è stato fatto. Ci sono momenti storici in cui l’opinione pubblica va guidata. Ed in quel momento non risultammo credibili, dovremmo essere più duri con noi stessi».

Sinceramente, c’è stato un momento in cui lo Stato le ha voltato le spalle? Mi riferisco, in particolare, alla sua mancata nomina a ministro della giustizia nel governo Renzi…

«Matteo Renzi mi voleva come Ministro, Giorgio Napolitano no. L’aggancio tra me e Renzi era Graziano Delrio che faceva il sindaco a Reggio Emilia. Dissi che avrei accettato di fare il Ministro se avessi avuto carta bianca, Delrio mi disse che avrei avuto tutto il potere che volevo. Poi mi resi conto che stavano litigando per me, Napolitano non voleva, pensava che Gratteri fosse un magistrato troppo caratterizzato. Renzi qualcosa l’ha detta nel suo ultimo libro, c’erano state delle persone che suggerirono a Napolitano di non farmi Ministro. Nessun giornalista ha mai chiesto a Napolitano i motivi reali di questa sua posizione. Lo chiedevano a me, ma era Napolitano la persona che doveva dare delle risposte».

Ma Gratteri che idea si è fatto su questa vicenda?

«Napolitano ha avuto suggerimenti da persone influenti che lo hanno convinto a non farmi ministro. Sicuramente lui non poteva conoscermi, è stato convinto da qualcuno».

Durante il suo percorso si è mai sentito tradito dallo Stato?

«No, non mi sono mai sentito tradito».

Lei vive sotto scorta dall’aprile del 1989. Cosa avvenne in quel periodo?

«Ero fidanzato ed ero Giudice Istruttorio a Locri e stavo già facendo indagini importanti sul narcotraffico e sul rapporto mafia-politica. Una sera spararono all’abitazione della mia fidanzata ad altezza uomo. Alle due di notte l’hanno chiamata dicendole ‘hai sposato un uomo morto’. Lei volle continuare questa relazione, oggi è mia moglie ed io ho continuato a fare il magistrato».

C’è stato un periodo della sua vita in cui le hanno provato a fare ben tre attentati. Come si vive in quei momenti?

«Cercavo di stare il più attento possibile, limitavo molto i miei movimenti, non faccio dieci metri senza la macchina blindata. Quando ci sono momenti di rischio dormivo anche in ufficio, adesso per esempio dormo in una caserma».

Gratteri ha una scorta di livello 3, in quanti hanno in Italia questo tipo di protezione?

«Solo Gratteri e Nino Di Matteo ce l’hanno, oltre al presidente della Repubblica. Ci sono momenti dove mi viene la sindrome dell’affogamento, ma la forza la si ricava dall’idea che ciò che fai serve. Bisogna convincersi che il mio sacrificio ha una funzione. Lo faccio perché devo raggiungere un risultato e perché voglio che sia più vivibile il territorio, perché la gente paga le tasse e vorrebbe vivere un territorio più democratico. Ci sono migliaia di persone che credono in me e per le quali io sono l’ultima risorsa, l’ultima speranza di cambiamento. Non posso deluderle».

Gratteri, come sono stati questi primi tre mesi alla guida della procura di Napoli?

«Li ho dedicati all’ufficio, entro la mattina ed esco la sera per cercare di capire i colleghi, la Polizia Giudiziaria e per fare quelle modifiche, dopo aver ascoltato gli interlocutori, per velocizzare il lavoro di questa Procura. A Napoli ci sono tra i migliori investigatori d’Italia, i magistrati sono di alto livello, ma credo serva più sinergia e serva più velocità d’interazione tra Polizia Giudiziaria e i magistrati. In Calabria ho cercato di dare fiducia e speranza ai calabresi. Della mia terra mi porto dentro tante sensazioni positive: l’aver dato la speranza, aver tolto il tarlo della rassegnazione. Il mio auspicio è quello di ottenere risultati anche a Napoli, per poter rendere più vivibili i territori campani. Voglio rassicurare i napoletani: non starò mai zitto per compiacere il potere o avere in cambio qualche favore. Di ciò possono starne certi».

Non crede che a Napoli ci siano troppe armi in giro, soprattutto tra i giovani?

«Non solo qui. Ci sono tanti livelli di camorra, qui uno è boss subito, ma questo non vuol dire che non ci sia una mafia di Serie A. Noi vediamo una camorra molto evoluta, molto sofisticata anche dal punto di vista informatico. E’ la mafia che sta più avanti sul piano dell’interazione, attraverso internet ed intranet, per commettere reati ai fini del profitto».

A Napoli ha destato stupore la sua scelta di rifiutare i biglietti che il presidente del Napoli, Aurelio de Laurentiis, le aveva riservato per lo stadio Maradona. Una scelta inusuale la sua…

«Dalla mia segreteria mi hanno comunicato che erano arrivati dei biglietti per la partita del Napoli, non ci sono mai entrato in uno stadio e quindi li ho restituiti anche perché i magistrati guadagnano bene e possono comprarselo il biglietto, così come al teatro. Mi ha mandato i biglietti perché sono il Procuratore di Napoli, ma se fossi stato un operatore ecologico non me li avrebbe spediti. Ognuno di noi per essere credibile deve essere coerente tra ciò che dice e ciò che fa. Non deve essere coerente a corrente alternata».

A proposito di calcio, o meglio di calcioscommesse, che ruolo hanno oggi le mafie su questo business?

«Le organizzazioni mafiose sono presenti dove c’è un fiume di denaro da gestire. Il calcioscommesse è potere oltre che denaro. C’è l’isola di Malta che è il maggior centro di gestione dei flussi di denaro, c’è un’altissima concentrazione perchè la legislazione è favorevole. Quella sede consente alle mafie di avere formalmente delle sedi societarie dove si consentono scommesse online da tutto il mondo e quindi si possono fare profitti e riciclaggio con flussi provenienti dal calcio».

La grande speranza di Napoli e, in generale del Mezzogiorno, sono i giovani, a cui lei Gratteri dedica molto tempo…

«Vado a parlare nelle scuole ai ragazzi dal 1989, parlo di non convenienza a delinquere, parlo il loro linguaggio perchè loro ti ascoltano solo se parli di argomenti che gli interessano come i vestiti, la macchina e gli orologi. Quindi bisogna iniziare e spiegare quanto si guadagna facendo il corriere di cocaina o l’idraulico. Mettiamola sul piano dei soldi, parliamo il loro linguaggio altrimenti non ti ascoltano. L’approccio dev’essere economico e materialistico. Quando ero ragazzo era importante la cultura, l’essere, mentre oggi è importante l’avere. Viviamo sotto le leggi delle multinazionali, dagli anni 80 ad oggi sono le multinazionali che governano il mondo e non i governi, attraverso le loro tv, le loro pubblicità e che condizionano i popoli, indirizzando le loro scelte. Per i giovani non è importante il sacrificio, ma l’essere furbi. Troppo spesso i ragazzi non sanno con chi parlare e i genitori, mediamente, sono egoisti. Ora pensiamo più a noi stessi, alla cura, facciamo sport, facciamo palestra, curiamo la ricrescita e le doppie punte mentre i bambini sono soli con internet. Bisogna parlare di più ai giovani e comprargli meno cose».

Sul fronte della scuola lo Stato ha fatto poco secondo Gratteri?

«Purtroppo i Governi degli ultimi decenni non hanno investito in istruzione che implicherebbe una distrazione per i ragazzi anche nel pomeriggio anche per evitare che così i ragazzi figli mafiosi si stia lontano da brutti esempi. Questo vuol dire pagare meglio gli insegnanti e prenderne di più. Ci vorrebbe almeno un terzo in più di insegnanti che impegnano i ragazzi nel pomeriggio. Bisognerebbe cercare di tenere i ragazzi più possibile a scuola, con scuole belle e colorate, altrimenti sembrano prigioni. La scuola dev’essere accogliente, dove la mattina si studiano le materia didattiche e nel pomeriggio si fa cultura. Poi c’è un altro dato, noi abbiamo bisogno di una scuola dove ci siano insegnanti preparati. Ci sono docenti che insegnano l’italiano e non conoscono la lingua. Le ultime riforme della scuola hanno consentito un incentivo per gli accessi dei genitori nella scuola e questa è una cosa negativa. Mediamente i genitori sono ignoranti, scostumati e spesso, vorrebbero insegnare la professione agli insegnanti. I genitori devono intervenire solo se c’è un insegnante ignorante o se c’è un insegnante pedofilo. Quando vado nelle scuole dico agli insegnanti ‘non vi ammazzate a fare la giornata sulla legalità’, è importante parlare di mafia ma non bisogna aspettare il 23 marzo per parlarne. Bisogna parlare di droghe. Chiedo ai dirigenti scolastici di organizzare degli incontri tra i ragazzi e i tossici per capire come ci sono arrivati lì. Non facciamo parlare i ragazzi con i medici, ma con i tossici».

Gratteri è favorevole o contrario alla legalizzazione della droga?

«Sono contrario alla legalizzazione delle droghe leggere perchè il disegno di legge dice che un maggiorenne potrebbe andare in farmacia e comprare a dodici euro un grammo di marijuana. Se legalizziamo le droghe leggere impoveriamo le mafie, sì, ma di pochissimo. Il futuro saranno le droghe sintetiche, in Bolivia si sta sperimentando la cocaina sintetica, la cocaina rosa ed è inodore in modo che sia difficile da intercettare. Poi c’è il Fentanyl che è la droga degli Zombie, che incide sul sistema celebrare e fa perdere il senso dell’orientamento e fa perdere ogni stimolo sul piano neurologico, si cammina proprio come zombie. Ho visto gente ventenne colpita da questa droga. La questione del Fentanyl è stato il secondo punto dell’incontro tra Xi Jinping e Biden. Sarà un problema immediato di enorme importanza per il futuro».

Negli ultimi anni la cinematografia è stata spesso al centro di dibattiti e polemiche. Gomorra, per esempio, è stata accusata di dare il cattivo esempio ai giovani, di far passare i mafiosi come eroi…

«Con Antonio Nicaso abbiamo scritto un libro sul rapporto comunicazione-film. Abbiamo criticato delle serie televisive ed alcuni film, abbiamo criticato anche Il Padrino che resta un capolavoro, anche se è una storia che non è mai esistita. Però è narrata talmente bene che tutti noi siamo cresciuti con l’idea che quella era Cosa Nostra e quella era la mafia americana, invece no, era solo un film. Poi c’è stata la serie italiana che ha creato danni. Se faccio un film di un’ora e ci metto dal primo all’ultimo minuto, violenza su violenza, in quest’ora non ci sono cinque minuti dove c’è un’insegnante o un prete o un poliziotto che messaggio si manda? Hanno creato un guaio, il risultato è devastante, non bisogna più stare zitti. Il silenzio, se c’è qualcosa che non ci convince, è complicità. I ragazzi, quelli che sono nell’età della formazione stanno facendo le scelte di campo. Se il modello è il killer, sto facendo danni e bisogna denunciare queste cose».

Gratteri, come sono cambiate le organizzazioni mafiose negli ultimi anni?

«Non hanno bisogno di sparare come una volta, adesso non conviene più. Totò Riina è stato uno stolto, non uno stratega di guerra. Lo stratega non è chi è più feroce, ma chi ha una visione lungimirante. La strategia di un capo è diversa. Riina è stato uno stupido, non uno stratega. Nel 1969 la ‘ndrangheta era riuscita a istituire la Santa che dava la possibilità a 33 capimafia di entrare a far parte di logge massoniche deviate e quindi ad avere una doppia affiliazione. La ‘ndrangheta pensa che in Appello o in Cassazione uno sconto si avrà, perciò non era necessario lo scontro con lo Stato».

Certo, ma la ‘ndrangheta un grosso errore lo ha fatto: mi riferisco alla strage di Duisburg del 15 agosto del 2007 in cui ci furono sei morti. Quell’episodio attirò riflettori nazionali e internazionale sulla ‘ndrangheta…

«Ciò che avvenne a Duisburg fu una faida, una guerra intestina. C’erano due blocchi di famiglie di San Luca e quando ci sono faide saltano le regole e tutto il codice salta e viene messo da parte. Nella faida comanda solo il sangue. Un gruppo di questa famiglia stava organizzando una strage in Germania, non era una logica di mafia. Dopo fu istituito una sorta di termoregolatore, un soggetto super partes che aveva il compito di regolarizzare certe dinamiche tra famiglie. In questo momento la Ndrangheta è l’unica organizzazione presente in tutti i continenti ed è la più ricca».

Se non erro ci sono meno omicidi di mafia in Italia….

«La ‘ndrangheta ormai non uccide più, non ha bisogno di violenza, ha i soldi per corrompere una pubblica amministrazione. C’è questo decadimento etico e morale anche in Europa e soprattutto in Italia. Si porta facilmente alla corruzione. Ora non c’è bisogno di sparare alle serrande o bruciare le macchine, basta andare con 5 o 10 mila euro per farsi mettere una firma. Oggi è più facile che si venga ammazzati dalla moglie o dal marito anziché per strada».

Nel suo ultimo libro, “Il Grifone”, scritto con Nicaso, pone al centro dell’attenzione l’evoluzione tecnologica della ‘ndrangheta e il ruolo dei social: insomma i luoghi d’incontro virtuali stanno soppiantando quelli reali e anche le mafie stanno imparando ad adattarsi…

«Le mafie italiane hanno imitato dalle mafie messicane che hanno cominciato a farsi pubblicità su Facebook. Poi in Italia la mafia che usa più i social è la camorra, inizialmente usavano Facebook, ma oggi molto di più Tik Tok. Figli di camoristi che si fanno vedere in macchine di lusso per attrarre i giovani che se non sono ben educati cadono in questa trappola. Statisticamente quello che va prima in carcere è l’esecutore, non il mandante. La camorra usa Tik Tok per dare messaggi da un clan e l’altro. Anche dall’estero ho avuto richieste di persone che vogliono parlare con me, alcune persone vogliono parlare di reati commessi in altre regioni d’Italia che non mi riguardano. Il popolo non è omertoso, non è masochista, spesso non parla perchè non sa con chi parlare».

Gratteri, quanto le manca la Calabria e il suo splendido mare?

«Mi manca tanto, alla mia terra ho dedicato la mia vita professionale. In Calabria abito a 8 chilometri di distanza dal mare, ma andare a mare vuol dire mettere a rischio la scorta e la sicurezza dei bagnanti e sarei un’attrazione da circo, la gente farebbe i video a me anzichè fare il bagno».

La sua grande passione da ragazzo?

«La radio. A sedici anni feci una radio da casa mia».

Se le dico la parola libertà, cose viene in mente a Gratteri?

«Amo la libertà anche se non posso fare dieci passi a piedi, ma nella mia testa sono un uomo libero. La moto, per esempio, da oggi era per me un simbolo di libertà. Quando ero ragazzo avevo anche imparato a ripararle. Quando si finiva la scuola bisognava andare dal ‘masto’ per imparare un mestiere e questo mi è servito molto nella vita».


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