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La soluzione al Covid potrebbe arrivare dalle Isole Mauritius. È lì che lavora Mauro Rango, cooperante italiano che si occupa di diritto alla salute sul territorio. Racconta che quando l’epidemia è giunta in questo Stato africano, le autorità hanno istituito un protocollo chiaro che è risultato efficace: cure tempestive a domicilio con antinfiammatori. Finora le Mauritius hanno avuto appena 10 decessi su un milione e duecentomila abitanti.

Rango è tornato in Italia con l’intento di importare il modello: così ha fondato il Movimento Ippocrate, che coinvolge numerosi medici in tutto il territorio nazionale, i quali curano i pazienti Covid all’insorgere dei primi sintomi.

Con una strategia fatta di tempestività e farmaci da prontuario facilmente reperibili, questi medici hanno ottenuto un indice di successo elevatissimo, dimostrando come spesso la terapia basata su scienza e coscienza del medico a contatto con il malato, porta a risultati incredibili», spiega Rango. Il coordinatore del centro assistenza è il dottor Antonio Palma, 71enne pediatra cosentino trapiantato da anni a Milano, che Il Quotidiano del Sud ha intervistato.

Dottor Palma, come curate il Covid?
«Attraverso una serie di farmaci antinfiammatori da somministrare nella fase iniziale della malattia. Del resto questo virus scatena delle gravi reazioni infiammatorie, dunque è l’approccio più logico».

Eppure non è l’approccio più comune…
«Spesso ci si limita a prescrivere Tachipirina e aspettare. Ma, pur essendo un ottimo farmaco, non è quello adeguato contro il coronavirus, anche perché consuma le scorte di un potente antiossidante che abbiamo nel nostro organismo, il glutatione. Vedo però che tanti medici hanno cominciato a capire».

Se il vostro approccio è logico, come spiega che faccia così fatica a diventare un protocollo?
«Non me lo spiego. Sono esterrefatto».

Quali farmaci antinfiammatori somministrate?
«Ibuprofene, idrossiclorochina, la stessa aspirina…».

Il ministero della Salute ha però obiettato che l’idrossiclorochina può provocare «effetti collaterali anche potenzialmente letali»…
«Può dare effetti collaterali in dosaggi elevati e per lungo tempo. Noi la somministriamo a bassi dosaggi per circa sette giorni, quanto basta se si inizia la terapia all’insorgere dei primi sintomi. E poi, prima di somministrare qualsiasi farmaco, è necessaria una anamnesi del paziente: se si soffre di favismo o problemi cardiaci, non va presa l’idrossiclorochina, piuttosto si può prendere un altro antinfiammatorio come l’ibuprofene».

Quante persone curate con questo metodo?
«Tantissime, da Trapani a Bolzano. Curiamo anche cittadini che vivono all’estero e che si rivolgono alla nostra segreteria. Ci arrivano ripetutamente messaggi e chiamate, centinaia ogni giorno. E aumentano sempre di più. In genere rispondiamo entro un’ora, ma la crescita delle richieste ci costringe talvolta a ritardare la risposta anche di diverse ore. Anzi, colgo l’occasione per rivolgere un appello ai colleghi che volessero aiutarci a far fronte a questa mole di lavoro: siete i benvenuti. Il nostro indirizzo è info@ippocrateorg.org».

Curate sempre per telefono?
«Non sempre. Quando occorre, andiamo a visitare a domicilio. Ma, se possibile, utilizziamo le videochiamate, per vedere il volto dei pazienti, per sentire come respirano. Insegniamo loro a usare il saturimetro, che è importante perché ci permette di capire precocemente se il paziente sta per scompensarsi e, in quel caso, richiedere subito il ricovero».

Capita spesso che si debba ricorrere al ricovero?
«No. Su oltre tremila casi che stiamo trattando o abbiamo trattato con questo protocollo, negli ultimi due mesi abbiamo ricoverato circa 10-12 persone».

E i decessi?
«Due. E si trattava di pazienti che ci hanno contattato in una fase già avanzata della malattia».

Curate anche pazienti anziani e con malattie pregresse?
«Premesso che anche le persone sane possono avere complicanze gravi, la risposta è sì: curiamo interi nuclei familiari (nonni, genitori, figli) e curiamo tanta gente con malattie pregresse, in genere obesità, diabete, cardiopatie e ipertensione».

C’è qualche storia cui è rimasto legato?
«Potrei raccontarne tantissime. Una per tutte: un signore di 40 anni di un paese sul lago di Garda, curato e guarito con le nostre terapie, che ha insistito perché seguissimo allo stesso modo anche il papà quasi 80enne, affetto da diabete tipo 2, oltre che da Covid con polmonite interstiziale. Seguirlo con contatti telefonici e videochiamate quotidiane per aggiustare di volta in volta la terapia cortisonica e insulinica e la ossigenoterapia, è stato per me un caso difficile e delicato che ha comportato una certa apprensione. Ma alla fine il paziente è guarito con grande soddisfazione mia e della famiglia».

Se il vostro protocollo fosse adottato a livello nazionale, avremmo una situazione della pandemia molto più incoraggiante?
«Penso proprio di sì. Se si curasse in modo tempestivo e con farmaci antinfiammatori, la situazione sarebbe migliore».

Avete contatti con il ministero della Salute e con l’Aifa?
«Ne abbiamo avuti. Ma ci hanno un po’ snobbati».

Cosa pensa invece del vaccino?
«Faccio periodicamente test degli anticorpi ai miei pazienti che hanno avuto il Covid: magari sono ancora positivi, dunque immuni, pochi giorni dopo aver superato la malattia, ma risultano poi negativi 5/6 mesi dopo. Potrebbe accadere lo stesso con il vaccino e dunque, in tal caso, bisognerebbe fare dei richiami ogni sei mesi. Ad ogni modo mi permetta di rivolgere un consiglio di prevenzione».

Prego.
«Prendere la vitamina D. Diversi studi scientifici hanno dimostrato la correlazione tra carenza di vitamina D e ricoveri in terapia intensiva e decessi per Covid. Noi la somministriamo a tutti i pazienti: a volte i farmacisti si stupiscono, perché ne diamo anche 100mila unità al dì, da assumere per pochi giorni».


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