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Dopo “l’accantonamento” (almeno per ora ) del Nutriscore, l’etichetta a semaforo particolarmente penalizzante per il Made in Italy a tavola, la Commissione Ue ha fatto un passo indietro anche sull’esclusione dai programmi della promozione Ue per vino e carne, che escono così dalla lista nera dei prodotti dannosi per la salute.

Si tratta di una retromarcia importante per due settori basilari per l’agroalimentare italiano e tra i più colpiti dalla crisi innescata dal caro bollette e materie prime. Il settore enologico, secondo gli ultimi conti presentati dall’Uiv (Unione italiana vini), ha registrato l’ulteriore richiesta di aumento, il quarto in un anno, da parte dell’industria del vetro: +20% dal prossimo gennaio. Tra vetro, tappi, carta e capsule, le spese aggiuntive, secondo l’Uiv, toccano 1,5 miliardi nel 2022. Colpire la promotion sarebbe stato devastante.

IL TESORETTO SALVATO

Il vino, grazie al processo di qualificazione, ma anche ai programmi di promozione, ha infatti raggiunto risultati di tutto rispetto sui mercati esteri. Con un aumento del 12% le etichette nazionali potrebbero infatti chiudere l’anno con 8 miliardi di export, a fronte di un fatturato complessivo di 11 miliardi e più di un milione di occupati nella filiera. Non meno rilevante, sul piano economico, il settore carni e salumi, con un giro di affari di 30 miliardi.

Il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, ha definito un «grande risultato in Europa la decisione della Commissione di eliminare carne e vino dalla lista degli alimenti ritenuti dannosi per la salute. È una notizia importantissima per tutta la Nazione, una vittoria che abbiamo ottenuto lottando con determinazione a difesa delle eccellenze italiane».

Lollobrigida ha aggiunto che «ci sono anche più risorse economiche per le Indicazioni geografiche, con altri 2 milioni di euro, proprio come avevamo chiesto noi. Tutto questo dimostra che il nostro nuovo approccio paga. Il cambio di passo del governo Meloni, il lavoro di squadra, l’attenzione al mondo agroalimentare sono gli strumenti con cui difendiamo il prodotto italiano e diamo risposte precise a esigenze che erano rimaste insoddisfatte ormai da troppo tempo».

In ballo c’era un cospicuo tesoretto di circa 186 milioni per il 2023: se fosse passata l’iniziale proposta di Bruxelles sarebbero rimasti fuori carni e vini, poiché bollati come non salutari. Una linea che l’Italia ha contrastato con forza, sottolineando come il problema fosse solo nelle quantità. Come per il Nutriscore.

Particolarmente soddisfatta la Coldiretti, che negli ultimi mesi ha intensificato il pressing sulla Commissione con confronti diretti che il presidente, Ettore Prandini, e il segretario generale, Vincenzo Gesmundo, hanno avuto con il vice presidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, il commissario all’Economia Paolo Gentiloni e il commissario all’Agricoltura della Ue, Janus Wojciechowski.

I RISCHI DIETRO L’ANGOLO

«È stato fermato -ha detto Prandini – il tentativo di escludere dai finanziamenti europei della promozione carne, salumi, vino e birra sotto l’attacco di un approccio ideologico che discrimina alimenti che fanno parte a pieno titolo della Dieta mediterranea».

Ma se un bersaglio è stato centrato, la guardia resta comunque alta perché non sono stati fugati i rischi che le “manine” possano ritornare alla carica. «La politica di promozione della Ue deve continuare a sostenere tutti i prodotti agricoli dell’Unione – ha sottolineato il consigliere delegato di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia – respingendo gli atteggiamenti discriminatori che rischiano di favorire la propaganda del passaggio a una dieta unica mondiale, dove il cibo sintetico si candida a sostituire quello naturale».

Coldiretti e Filiera Italia sono da tempo sulle barricate per fermare manovre che, facendosi scudo della salute e dell’ambiente, alla fine sembrano puntare a un obiettivo preciso: spalancare le porte ai cibi sintetici. Sotto attaccato ci sono i prodotti simbolo della Dieta Mediterranea, frutto di tradizioni secolari e realizzati spesso nelle aree più fragili del nostro Paese dove gli agricoltori e gli allevatori restano l’ultimo presidio per arginare quel dissesto idrogeologico che sta provocando tanti danni.

E proprio nell’ottica di sostenere il settore è stata anche rilanciata ai vertici comunitari la richiesta di rafforzare le risorse della Politica agricola comune. Intanto, però, Coldiretti ha sollecitato anche interventi nel breve termine per «dare risposte alle perdite del valore reale dei pagamenti che, a causa dell’inflazione, ammontano a più del 32%».

Ieri rassicurazioni sull’impegno nei confronti dei sistemi agricoli Ue sono arrivate dal commissario Wojciechowski, che ha ribadito gli obiettivi originari della Politica agricola, e cioè aumento della produttività, stabilizzazione dei mercati, garanzia di un tenore di vita equo agli agricoltori, ma anche della disponibilità delle scorte alimentari e di prezzi del cibo ragionevoli per i consumatori. Obiettivi ai quali ne sono stati aggiunti altri finalizzati a proteggere le comunità rurali europee e l’ambiente. Con una priorità assoluta: disporre di risposte forti e di una Pac forte.

LA RETE DI SICUREZZA UE

Il commissario ha ripercorso i momenti critici, dal Covid alla guerra in Ucraina, che hanno colpito l’economia e il sistema agroalimentare. Ha denunciato come il cibo sia stato usato come arma di guerra «interrompendo gli approvvigionamenti e destabilizzando i mercati, aumentando così i prezzi sia degli input per gli agricoltori che del cibo per i cittadini».

«E a ottobre – ha incalzato il commissario – abbiamo assistito a un tasso di inflazione alimentare di quasi il 18%, che ha messo in pericolo l’accessibilità economica del cibo per i cittadini della Ue, in particolare quelli a basso reddito».

Ad aggravare il quadro la siccità, che ha colpito tutti i Paesi tagliando dell’8% le rese dei cereali. Senza dimenticare la crisi della fame, con oltre 200 milioni di persone in 53 Paesi in grave insicurezza alimentare. Ma le risposte non sarebbero mancate, dall’attivazione della riserva di crisi della Pac (500 milioni) a misure speciali dello Sviluppo rurale per utilizzare fondi non impegnati nel 2021 e nel 2022, fino all’adozione di «un quadro di crisi temporaneo per gli aiuti di Stato» rafforzato a luglio e novembre.

Con la nuova Pac, in vigore dal 1° gennaio, è stata messa in campo una rete di sicurezza per l’agricoltura europea di 38 miliardi all’anno, con pagamenti per ettaro più elevati per le piccole aziende. Così come si è scelto di investire sui giovani, con una dote di 8,5 miliardi per il turn over. Infine il green: un terzo del sostegno è destinato a fornire benefici ambientali.


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