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Gli identikit di Matteo Messina Denaro

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Con l’arresto di Matteo Messina Denaro cade l’ultimo dei corleonesi, la mente economica di Cosa nostra, un predestinato che aveva avuto come compare di battesimo Antonino Marotta, uno dei componenti della banda di Salvatore Giuliano. Figlio di don Ciccio, boss di Castelvetrano, cresce nell’agiatezza.

Già a vent’anni frequenta i salotti buoni di Palermo, partecipando a feste con signore dell’alta borghesia o con «tardone piacenti» come le chiamano i ragazzi che in quegli anni si danno alla bella vita. Molti ricordano la sua relazione sentimentale con una giovane donna austriaca.

UN UNICUM NELLA STORIA DELLA MAFIA

Sono gli anni in cui Matteo Messina Denaro è conosciuto come il playboy, ma anche come Diabolik, il noto personaggio dei fumetti. È diverso, insomma, dai boss cresciuti a cicoria e ricotta. Col tempo, diventa sempre più potente, sempre più «ammanicato» non solo nella sua Castelvetrano, ma anche nel resto della Sicilia, soprattutto a Palermo dove, dopo l’arresto di Riina e Provenzano, riesce a coniugare il rispetto della tradizione e l’attenzione per il nuovo, violenza, efficienza, pragmatismo politico, produttività e capacità relazionali.

I corleonesi, di cui incarnava lo spirito, hanno rappresentato un unicum nella storia di Cosa nostra, un’organizzazione criminale che ha sempre preferito confrontarsi, senza scontrarsi con i poteri dello Stato. I Corleonesi hanno imboccato una strada diversa, tanto che Messina Denaro, con i tanti morti che aveva sulla coscienza, si vantava di poter riempire di croci un intero cimitero.

Quello di ieri è indubbiamente un arresto importante: il figlio di don Ciccio non solo aveva preso in mano le redini di Cosa nostra, dopo l’arresto di Bernardo Provenzano, ma aveva dimostrato carattere e determinazione, tratti che lo avvicinavano più a Stefano Bontade che a Totò Riina. Di lui si ricorda l’oculato uso dei pizzini, ma soprattutto la capacità di costruire attorno a sé il consenso dell’area grigia, quella che da sempre costituisce l’ossatura del potere mafioso.

L’IPOTESI COLLABORAZIONE

Era anche l’ultimo dei Corleonesi – vale la pena ribadirlo – Uno di quelli che aveva pianificato le stragi di Palermo, gli attentati del 1993. Conosce i segreti più reconditi di quelle vicende che hanno insanguinato il paese e saprebbe certamente indicare i referenti istituzionali di Cosa nostra, quelli che hanno depistato le indagini sulla strage di Via D’Amelio e sottratto l’agenda rossa di Paolo Borsellino dall’auto del magistrato dilaniata dall’esplosione.

Ma non è facile ipotizzare una sua collaborazione, anche se lui non è stato mai in carcere e difficilmente sopporterebbe are i rigori del 41 bis. I prossimi giorni saranno importanti per capire come si è arrivati al suo arresto e per valutare lo stato della sua malattia. Lo hanno infatti trovato nei pressi di una clinica privata, nella quale avrebbe dovuto sottoporsi ad un ciclo di chemioterapia.

I MISTERI DELLA LATITANZA

Sarebbe interessante capire come sia riuscito a sottrarsi all’arresto per oltre trent’anni, senza mai lasciare – da boss vero – il suo territorio, quella fascia di terra che da Trapani si spinge fino a Palermo. Chi lo ha protetto? E perché soltanto adesso è stato arrestato?

Va dato comunque merito al lavoro degli investigatori che, come ha spiegato il comandante del Ros, il generale Pasquale Angelosanto, hanno lavorato senza mai fermarsi, anche durante le recenti feste natalizie. Per decenni attorno al figlio di don Ciccio era stato fatto terreno bruciato. Gli avevano sottratto un patrimonio immenso, arrestato familiari e amici.

Ma non è stato facile stanarlo dal suo territorio, caratterizzato da una forte presenza di logge deviate della massoneria e da intrecci inconfessabili, spesso all’ombra delle istituzioni. Non bisogna però illudersi. La mafia non è stata sconfitta.

Una delle sue grandi caratteristiche è quella di adattarsi alle nuove situazioni, a riemergere quando sembra ormai con le spalle al muro. Bisogna diffidare di chi pensa di scriverne il necrologio. L’attenzione dello Stato deve essere costante, continua. Non bisogna dare tregua a chi vive grazie ai proventi della droga e alle coperture istituzionali. È importante stanare quel grumo di potere che distingue le mafie da altre forme di criminalità organizzata.

I RAPPORTI CON LA ‘NDRANGHETA

Purtroppo non c’è solo Cosa nostra. Oggi è la ‘ndrangheta la mafia più potente. La mafia siciliana da tempo ha perso il primato internazionale nel traffico di sostanze stupefacenti, rispetto ai tempi in cui controllava le rotte che dalla Sicilia portavano l’eroina negli Stati Uniti e nel Canada.

I rapporti tra le mafie in Italia sono sempre stati funzionali a logiche di collaborazione. E quelle sinergie espresse nella gestione comune di attività illecite, non verranno meno con l’arresto dell’ultimo boss dei Corleonesi.

Neanch’io credo che ci sia un archivio segreto, come ha messo in evidenza il capitano Ultimo, proprio durante un’intervista di Antonio Anastasi pubblicata da questo giornale. I mafiosi sanno che chi lascia prove scritte, non solo rischia la galera ma anche la faccia. E di Messina Denaro dicono che ha sempre avuto buona memoria. Quella che serve per imbastire trattative, potendo contare su una storia che non ha mai conosciuto defezioni.


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