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Una nave carica di grano in partenza dall'Ucraina

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LA FAME, secondo Putin. Per mesi l’Unione Europea, gli Stati Uniti e tutte le agenzie mondiali, la Fao in primis, hanno fatto pressing sui governi della Russia e dell’Ucraina per trovare un’intesa sull’export di cereali bloccati nel Mar Nero dalle mine per evitare una catastrofe alimentare globale, particolarmente grave nei paesi africani. Dopo una lunghissima trattativa, e molti stop and go, e con la mediazione della Turchia finalmente le navi, con i loro preziosi e vitali carichi, sono riuscite faticosamente a prendere il largo.

E improvvisamente si scopre che la verità è diversa. Ad affamare i Paesi più fragili del mondo sarebbero gli europei. Parola di Vladimir. Ieri a sorpresa il numero uno del Cremlino ha lanciato accuse precise e circostanziate all’Europa. L’Occidente sarebbe responsabile di una catastrofe umanitaria senza precedenti perché avrebbe dirottato la gran parte dei cereali ucraini sui propri mercati. La “bomba” è stata sganciata da Putin nel suo intervento all’Eastern Economic Forum di Vladivostok. Molti Paesi europei – ha aggiunto – nei precedenti decenni e secoli si sono comportati come colonialisti, così continuano a comportarsi oggi. Ha così assunto il ruolo di difensore delle aree più povere del globo, assegnando agli europei l’etichetta di cinici affamatori. Davvero una piroetta senza precedenti. Ma è credibile una tale nobiltà d’animo nei confronti dei bambini africani, mentre continua a bombardare quelli ucraini?

Dopo l’attacco agli europei, la minaccia nel puro stile putiniano. Cereali e gas, due elementi perfetti per un ricatto. E infatti ha subito svelato quello che intende fare e cioè discutere con il presidente turco Erdogan che, come ha ricordato, è stato garante dell’accordo che ha portato a un parziale sblocco dei porti ucraini per l’export di grano, ma soprattutto tagliare i rifornimenti ai Paesi europei. “Forse – ha dichiarato da Vladivostok – dovremmo pensare di limitare l’export di grano e altri alimenti lungo questa rotta”. Chiudere cioè i corridoi che dal Mar Nero puntano sull’Europa.

E così dopo la chiusura dei rubinetti del gas, la Russia prepara nuovi tagli per i ”nemici”. E si fa forte degli interessi africani rilanciando al mittente (Occidente) gli allarmi che si sono susseguiti fino alla partenza ad agosto delle navi. La fame per rifarsi un’immagine di benefattore agli occhi del mondo, ma soprattutto per mettere ancora più in difficoltà i Paesi che stanno sostenendo l’Ucraina.

Sin dai primi giorni di questa guerra, che sembra riportare indietro le lancette della storia, è stato ben chiaro che il grano come il gas fosse destinato ad essere usato come arma per attaccare, al pari dei carri armati e dei missili. E si continua su questo terreno. Ma sulla fame non si può speculare, adattandola alle proprie esigenze politiche. L’ultimo rapporto “The State of Food Security and Nutrition in the World” presentato nel luglio scorso da Fao, Ifad, Unicef, Programma alimentare delle Nazioni Unite (WFP) e Oms, aveva indicato numeri da far tremare i polsi: 828 milioni di persone colpite dalla fame nel 2021, 46 milioni in più rispetto al 2020 e 150 milioni sul 2019, 2,3 miliardi di persone nel mondo pari al 29,3% in condizioni di insicurezza grave o moderata sempre lo scorso anno, 3,1 miliardi non in grado di permettersi nel 2020 una dieta sana, 45 milioni di bambini di età inferiore a 5 anni in situazione di deperimento. E secondo le proiezioni dello studio nel 2030 saranno 670 milioni gli individui (8% della popolazione mondiale) che dovranno affrontare la fame. Strumentalizzare questi numeri è vero cinismo. Intanto il primo effetto dell’annuncio a sorpresa dello “zar” del Cremlino è stato l’aumento delle quotazioni del grano duro che ha segnato +2,7% a 906 dollari al bushel e di quello tenero (+3,3% a 844 dollari).

E un impatto si avvertirà anche in Italia. La Coldiretti ha fatto i conti e ha spiegato che il taglio dell’export di cereali ucraini e russi costerebbe al nostro Paese quasi 1,2 milioni di chilogrammi di grano per la panificazione e di mais per l’alimentazione degli animali, aggravando una situazione di dipendenza dalle importazioni straniere per il 64% del frumento tenero che serve per pane, biscotti, dolci e del 47% del granturco per l’alimentazione delle stalle. Con il risultato di provocare ulteriori rialzi per i prezzi dei prodotti alimentari di prima necessità, a partire dal pane che è già aumentato del 13,6%.

Le produzioni di Russia e Ucraina insieme rappresentano – ha ricordato l’organizzazione agricola – circa il 30% delle esportazioni di cereali, oltre il 16% di quelle di mais e più del 75% quelle di olio di semi di girasole: “una situazione che ha alimentato l’interesse sul mercato delle materie prime agricole della speculazione che si sposta dai mercati finanziari ai metalli preziosi fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari”.

E la prova che a farla da padrone sono gli speculatori è offerta proprio dalle remunerazioni riconosciute al grano: i raccolti sono crollati del 30%, ma la materia prima viene sottopagata agli agricoltori. A causa del cortocircuito dei prezzi la Coldiretti della Puglia ha fatto sapere che i produttori hanno disertato le borse merci di Bari e Foggia, per il calo delle quotazioni di 80 euro alla tonnellate e anche alla Commissione unica di Roma non è stato possibile formulare il prezzo. Si è infatti raggiunto un livello record della forbice tra grano duro e semole con una differenza di 300 euro dal campo alla prima trasformazione. E proprio in Puglia – il granaio italiano con 360mila ettari coltivati e 10 milioni di quintali in media – la produzione quest’anno si è ridotta del 35/40% per la siccità e i costi a carico dei coltivatori sono lievitati di 600 euro a ettaro tra guerra e condizioni climatiche difficili.

Con queste premesse la spesa alimentare rischia di diventare ancora più pesante costringendo i consumatori a sforbiciarla ulteriormente. Ieri l’Istat ha confermato a luglio la diminuzione in volume (-3,6%) delle vendite al dettaglio di prodotti alimentari contestualmente al loro incremento in valore (+6,1%). Un aumento dei “cartellini” rischia poi di aggravare lo stato di povertà degli italiani. Già oggi, secondo l’analisi della Coldiretti dei fondi Fead in riferimento all’Sos lanciato da Save the Children, in Italia quasi 1,4 milioni di bambini sono in povertà assoluta in aumento del 13,5% rispetto al 2020. La situazione è critica. E dunque dopo il vademecum per razionalizzare i consumi di gas, forse sarebbe necessario suggerire come spendere meno anche per la tavola.


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