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Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei

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Bruxelles apre alla possibilità di aggiustamenti su specifici investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, quelli che maggiormente scontano le conseguenze della guerra in Ucraina, tra inflazione, caro energia e boom del costo delle materie prime. Ma la scadenza del 2026 resta incisa nella pietra. L’Europa guarda all’Italia che delle risorse europee è il maggiore beneficiario e, come sottolinea il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, dove si gioca un pezzo importante della «scommessa europea» sul successo del Piano. Ieri nel corso dell’evento annuale sul Pnrr le autorità italiane e i rappresentanti della Commissione europea hanno fatto il punto sullo stato dell’arte del Recovery italiano, mettendone in luce criticità e prospettive, tra nodi strutturali tutti italiani da sciogliere e uno scenario stravolto dall’invasione russa.

E in questo senso è un messaggio di apertura quello che Declan Costello, vice direttore generale Direzione generale Affari economici e finanziari della Commissione europea, ha “consegnato” al governo. «La Commissione Ue è pronta a guardare con attenzione ad adeguamenti» dei costi «se necessari, su specifici progetti. Ma stiamo parlando soltanto di investimenti. Non si può tornare indietro e ridurre l’ambizione delle riforme», ha affermato Costello. Un messaggio che non lascia spazio a ipotesi di interventi ad ampio raggio, cui è seguita comunque un’attestazione di fiducia circa le chance del Paese di incassare anche la terza rata dei fondi europei da 19 miliardi a chiusura della missione della task force, insieme alla sottolineatura dei risultati raggiunti dal governo Draghi e degli sforzi messi in atto dall’esecutivo Meloni. «Questa settimana siamo qui per la terza richiesta di fondi. Torneremo a Bruxelles incoraggiati perché si stanno facendo progressi – ha affermato – Quello che è stato fatto fino a oggi è un grande successo. Siamo ottimisti che la terza richiesta di fondi potrà essere portata avanti. E’ un buon inizio ma c’è ancora molto lavoro da fare». «La missione della Commissione ha verificato in questi due giorni il livello di impegno straordinario che c’è da parte di tutte le nostre amministrazioni», ha “annotato” Gentiloni.

Finora l’Italia ha ricevuto dall’Europa 67 miliardi. Sulla possibilità di mettere a segno tutti i 55 obiettivi del secondo semestre 2022- e aggiudicarsi alti 19 miliardi – il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, si è mostrato più che fiducioso: «Siamo già a buon punto e centreremo sicuramente anche questo traguardo», ha sostenuto sottolineando la portata della posta in gioco: «Il Pnrr è la più grande occasione che abbiamo oggi per intraprendere un percorso di crescita economica sostenibile e rimuovere gli ostacoli sperimentati negli anni precedenti».

Intanto è diventato operativo il decreto del Mef che assegna 8 miliardi al fondo per l’avvio delle opere indifferibili, in modo da poter fronteggiare l’incremento dei prezzi dei materiale e dell’energia e far partire entro il 31 dicembre le procedure di affidamento degli interventi del Pnrr e del Piano nazionale complementare. Altri fondi ad hoc sono previsti nella nuova manovra.

L’Italia non è l’unico Paese che, in un contesto di guerra, fatica a tenere il passo su progetti nati in un altro tempo. Sono una decina le capitali che stanno negoziando integrazioni, aggiustamenti, revisioni del Piano con Bruxelles: il Lussemburgo è stato l’unico finora ad aver presentato formalmente una richiesta di modifica, ma anche il Portogallo ha evidenziato la necessità di andare oltre la scadenza del 2026, mentre la Spagna starebbe  trattando per avere una nuova iniezione di fondi da 95 miliardi.

«Valutiamo di chiedere a Bruxelles una revisione parziale del Pnrr, o comunque di alcuni suoi target così da liberare da subito risorse in favore delle imprese», ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Adolfo Urso, intervenendo da remoto all’Abruzzo Economy Summit in corso a Pescara, indicando nel ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, «il fronte del contatto con la Commissione europea». La stessa cosa ha fatto il ministro delle infrastrutture, Matteo Salvini, che è tornato a definire «eccessivamente ambizioso chiudere e rendicontare tutti i cantieri prima del 2026». Fitto non è stato così esplicito durante l’evento annuale sul Piano, ma dopo aver assicurato che «l’intero governo è impegnato, dalla cabina di regia a singoli ministeri» sugli obiettivi di dicembre, ha evidenziato che la «nostra proiezione è al 2026». «È evidente – ha sottolineato – che la lettura specifica del programma ci indica oggi la necessità di una valutazione ambito per ambito per comprendere insieme alla Commissione europea dove è necessario intervenire anche per ragioni oggettive che sono intervenute». La Commissione è pronta a collaborare per risolvere «difficoltà, strozzature», «rendere l’attuazione del piano possibile in tutti i suoi aspetti», «vedere quello che c’è da correggere e per farlo mentre si lavora per attuare gli impegni presi», ha assicurato Gentiloni.

I lavori sono in corso. E sul fronte italiano viaggiano di pari passo con la difficile impresa di mettere a terra i progetti del Pnrr e spendere le risorse. Le parole d’ordine sono «semplificazione e accelerazione», «per migliorare non solo la qualità ma anche l’efficacia della spesa», dice il ministro, accogliendo di fatto l’appello degli enti locali ribadito ieri dai presidente dell’Anci, Antonio Decaro, e della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga. Il tema è quello delle riforme, che assume un rilievo ancora maggiore di fronte alla questione energetica innescata dalla guerra di Putin sul gas. «Ci aspettiamo che l’Italia le faccia. So che per il Paese è difficile avere autorizzazioni ad esempio per il solare, le procedure richiedono molto tempo e se ti serve molto tempo per averle c’è il rischio che i progetti non si materializzeranno in tempo. Quindi serve che l’Italia pensi alle riforme sull’energia», ha rilevato il capo della task force del Recovery plan, Eric von Breska. Quanto agli investimenti, le risorse del Repower Eu – di cui l’Italia è la seconda beneficiaria dopo la Polonia – «si possono utilizzare dal 2023 al 2026, e non ci sarà un’estensione», ha avvertito von Breska, per questo «il governo italiano deve pensare a progetti maturi, già disegnati, perché se non sono pronti e non si riesce a farli, va a finire che si perdono».


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