X
<
>

Condividi:
7 minuti per la lettura

Con la peggiore crisi energetica dagli anni Settanta, in seguito all’aggressione russa dell’Ucraina, per l’Europa le infrastrutture energetiche sono tornate a giocare un ruolo fondamentale. Non è pleonastico affermare che l’attenzione è focalizzata sulle infrastrutture del gas visto che l’emergenza energetica da risolvere è riuscire ad emancipare, nel giro di pochi anni, il Vecchio Continente, o, meglio, gran parte di esso, dal ricatto del gas russo.

Ecco, quindi che si fa un gran parlare di nuovi gasdotti, come per esempio l’EastMed-Poseidon volto a collegare l’Europa con le immense risorse di idrocarburi presenti nel Bacino del Levante, o il gasdotto Trans-sahariano per il collegamento con le risorse nigeriane. Vediamo partire in gran fretta i piani per la costruzione di nuovi rigassificatori, in Paesi che ne sono completamente privi (la Germania) o sottodimensionati alle esigenze (l’Italia, al momento, ne ha tre), che hanno il grande vantaggio di rendere accessibile il mercato globale del gas naturale liquefatto e liberare così dal vincolo fornitore-cliente cui obbligano i gasdotti. E infine ritornano in auge progetti di nuove interconnessioni intraeuropee, come il Midi-Catalonia per raddoppiare i flussi di scambio di gas tra Spagna e Francia o un nuovo connettore per collegare la Catalogna con la Toscana, e rendere così usufruibile al resto d’Europa la grande capacità di rigassificazione di cui gode la penisola iberica e che oggi giace sottoutilizzata a causa delle scarse interconnessioni tra il Paese iberico e il resto del continente europeo.

Tutte azioni e considerazioni validissime, anzi necessarie nel breve periodo, nel quale il problema da risolvere sarà quello di riscaldare i nostri edifici, alimentare le nostre industrie e tenere in piedi i nostri sistemi elettrici, dei quali oggi le centrali a gas compongono l’ossatura principale da quando hanno preso il posto delle più obsolete e inquinanti centrali a carbone e olio combustibile.

Le infrastrutture però, per loro stessa natura, non hanno un orizzonte temporale di breve periodo ma al contrario di lungo (20-30 anni) o lunghissimo periodo (oltre 30 anni). I gasdotti che oggi collegano l’Europa alla Russia trovano la loro origine tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta quando, sulla scia delle crisi del petrolio, i consumatori europei si gettarono alla ricerca di forniture alternative al petrolio mediorientale. Processo che poi alimentò, e a sua volta rafforzò, il processo di distensione tra l’Europa Occidentale e l’allora Unione Sovietica e che sfociò poi negli accordi di Helsinki (1975).

La vera sfida che attende questo settore non è quella della diversificazione delle forniture di idrocarburi (quello lo si doveva fare ieri), ma di costruire il prima possibile un’economia decarbonizzata che permetta di mitigare gli effetti del cambiamento climatico così da contenerne i costi di adattamento. Accanto a ciò saranno da costruire percorsi strategico-industriali che possano garantire la stabilità delle aree produttrici (Paesi del Golfo, Nord Africa, ma anche la stessa area ex sovietica) le cui entrate fiscali dipendono oggi fortemente dalla vendita di prodotti energetici.

Alla luce di simili considerazioni gli investimenti in nuove infrastrutture come gasdotti, inter-connettori e rigassificatori rischiano di non farsi trovare pronti alla prova del futuro. Innanzitutto per quanto riguarda sia gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (riscaldamento globale entro i 2°C rispetto all’era preindustriale) sia del G20 del 2020 a Presidenza italiana, sia delle COP26 di Glasgow (riscaldamento entro 1,5°C) e COP27 di Sharm El-Sheikh, la costruzione di nuove infrastrutture votate all’utilizzo di nuove risorse fossili rischia di spingerci in una direzione diametralmente opposta.

Più complessa la valutazione da un punto di vista geostrategico-industriale. Innanzitutto, nuovi gasdotti rischiano di andare a replicare medesime dinamiche di dipendenza, con la sola differenza di cambiarne i soggetti. Vediamo infatti già oggi l’Algeria che, neanche il tempo di entrare in questo nuovo ruolo di cavaliere bianco in soccorso di Italia ed Europa, ha già iniziato un braccio di ferro sulle forniture di gas con il vicino Marocco che ha visto il coinvolgimento (e la riduzione delle forniture) della Spagna. Lo stesso si può dire della Turchia che sta giocando un’importante partita strategica nel Bacino del Levante per cercare di divenire il fulcro delle nuove vie del gas verso l’Europa, così da aumentarne ancor più la leva politica con Bruxelles.  Discorso diverso per i rigassificatori che, invece, hanno il vantaggio di permettere l’accesso al mercato del GNL che essendo globale permette di svincolarsi dallo stretto rapporto cui obbliga un gasdotto.

In uno scenario in cui il ruolo del gas all’interno dei mix energetici europei si vorrebbe vedere iniziare a decrescere per essere in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050, come poter evitare che tutte queste nuove infrastrutture si trasformino presto in investimento che perda valore prima del tempo previsto dal normale ciclo di vita? Per risolvere il dilemma si parla di idrogeno.

Secondo una comune opinione gasdotti e rigassificatori reggeranno alla prova del futuro perché potranno essere riutilizzati per trasportare in Europa idrogeno, specie nella sua forma climaticamente neutra detta anche “verde” (cioè generato per elettrolisi dell’acqua mediante l’uso di elettricità proveniente da fonte rinnovabile, quindi senza emissioni di CO2) che avrebbe così il grande vantaggio di allungare l’orizzonte temporale di vita utile di infrastrutture oggi necessarie ma di dubbio uso futuro, garantire all’Europa un nuovo combustibile questa volta però decarbonizzato e, infine, creerebbe enormi possibilità economiche per finanziare piani di sviluppo di nuova capacità rinnovabile nei Paesi potenzialmente fornitori di idrogeno.

Il mercato si svilupperà con molta gradualità. Nelle prime fasi (5-10 anni) è molto plausibile aspettarsi che si svilupperà un mercato locale, con una produzione vicina ai luoghi di consumo così da minimizzarne i costi di trasporto che nelle prime fasi avranno un’importante incidenza, visto che l’idrogeno verde ha costi di produzione più alti rispetto ai suoi omologhi prodotti da carbone o gas. In seguito, con una riduzione dei costi di produzione dell’idrogeno verde, grazie alle economie di scala e al progresso tecnologico, compresa una crescita dei volumi, vi sono buone possibilità che un commercio internazionale dell’idrogeno possa effettivamente svilupparsi tra aree a bassa domanda e bassi costi di produzione (il Nord Africa) e aree a più alta domanda e più alti costi di produzione (Nord Europa).

Giustamente si porrà la questione di come trasportare questo idrogeno. E su questo punto i rigassificatori odierni non sembra potranno esserci d’aiuto. L’idea di trasportare idrogeno liquido va infatti subito scartata. Alternative interessanti potrebbero essere i cosiddetti combustibili derivanti dall’idrogeno, ammoniaca (idrogeno + azoto) e gas sintetico (idrogeno + CO2).

L’elettricità ha il grande vantaggio di essere facilmente distribuibile, potendo contare su una rete di distribuzione capillare sviluppatasi nel corso dei precedenti decenni. Le crescenti interconnessioni e la crescente densità della rete elettrica avrebbe il vantaggio di contribuire sempre più alla sicurezza e tenuta dei sistemi elettrici. Più grande è la rete più difficile è perturbarne la sua vibrazione. Significativo è che durante le prime fasi della guerra in Ucraina e l’attacco russo alle sue centrali nucleari, la contromossa sia stata quella di sincronizzare la rete elettrica ucraina a quella europea. Ad eccezione dell’elettrodotto tra Italia e Tunisia (il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha avviato il procedimento autorizzativo per la nuova interconnessione elettrica sottomarina da 600 MW in corrente continua che collegherà Europa e Africa, che sarà realizzata da Terna e dal gestore della rete elettrica tunisina Steg, con un investimento di 850 milioni di euro, di cui 307 di fondi europei) quelli che dovrebbero collegare la Grecia e Cipro con Israele (Eurasia interconnector) o con l’Egitto (Eurafrica interconnector), rimangono ancora dei progetti. Peccato perché questi progetti renderebbero immediatamente fruibile un’eventuale nuova generazione rinnovabile creata in quei Paesi, nonché favorirebbero la creazione di un mercato.


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE