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Nel corso delle ultime settimane sono emerse due novità che potrebbero modificare il quadro economico del 2023 anche in misura significativa: la decisa contrazione delle quotazioni del gas naturale sul mercato europeo e la nuova ondata della pandemia Covid-19 in Cina. Se l’economia e l’industria europee sapranno resistere a queste due incognite le prospettive nel corso del 2023 miglioreranno e questo potrebbe rivelarsi l’anno del rilancio. Questa la conclusione impregnata di ottimismo degli analisti di REF nella congiuntura previsionale di questo primo scorcio dell’anno diffusa la scorsa settimana.

Circa il primo punto, i prezzi del gas nel mese di dicembre hanno continuato a scendere, portandosi sotto gli 80 euro a MWh, un livello ancora molto elevato, considerando che sino alla prima metà del 2021 il gas era quotato intorno ai 20-30 euro, ma che certamente allenta le tensioni rispetto a quanto temuto nel periodo estivo, quando i prezzi avevano superato per diverse settimane i 200 euro.

La discesa dei prezzi è un esito per altro auspicato del riequilibrio avvenuto nel mercato del gas nei mesi scorsi quando, in risposta al ridimensionamento dell’offerta da parte della Russia, i Paesi europei hanno adottato una strategia di risposta articolata secondo tre canali.

Innanzitutto, è aumentato il quantitativo di gas proveniente da altri Paesi (soprattutto è aumentato l’import di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti e dal Qatar) in sostituzione di parte della minore disponibilità di gas russo.

In secondo luogo, si è cercato di aumentare il ricorso ad altre fonti: sono stati prorogati i termini di dismissione di alcune centrali nucleari in Germania; è stata potenziata la produzione da parte di alcune centrali a carbone ancora attive (quattro in Italia e una quinta pronta ad essere attivata) sono aumentati molto gli investimenti in energie rinnovabili, anche se gli effetti di questa maggiore capacità installata saranno più evidenti dal prossimo anno.

Terzo, l’aspetto forse più significativo degli andamenti dei mesi scorsi sono i riscontri dal lato della domanda. In tutti i Paesi europei la domanda di gas è crollata, evidenziando un’elasticità al prezzo superiore alle attese prevalenti nel periodo estivo.

In parte ciò è stato permesso dalle temperature miti del periodo autunnale e di questa prima parte dell’inverno.

È probabile che, una volta superato lo choc sui prezzi, le abitudini di consumo delle famiglie e le decisioni delle imprese continueranno a prestare maggiore attenzione ai consumi energetici; si dovrebbe essere quindi verificato un abbassamento della domanda di carattere strutturale.  Il nuovo scenario, pur presentando ancora molte incertezze, porta a ipotizzare che nel 2023 la crisi energetica dovrebbe ridimensionarsi, determinando una graduale discesa dei prezzi pagati dalle famiglie e dalle imprese.

Nella maggior parte dei Paesi europei nei mesi scorsi si è già osservata una fase di riduzione dell’inflazione legata ai provvedimenti adottati dai Governi per ridimensionare l’impatto del caro-energia; soprattutto Spagna e Francia hanno quindi già visto una riduzione della componente “energy” dell’inflazione a consumo.

In Italia i prezzi del gas inferiori si trasmetteranno sui prezzi pagati dalle famiglie a inizio anno. L’autorità per l’energia (ARERA) ha indicato per l’energia elettrica una contrazione nel primo trimestre del 20 per cento rispetto al picco del quarto trimestre 2022.

Circa il gas invece i prezzi vengono definiti adesso in maniera retroattiva. Conosciamo quindi i prezzi di dicembre che sono aumentati del 23 per cento rispetto a novembre, ma non ancora i prezzi del 2023.

La riduzione delle tensioni sul mercato del gas europeo è solo uno dei segnali di normalizzazione delle condizioni dal lato dell’offerta che si sono potuti osservare negli ultimi mesi; l’attenuazione delle tensioni sui mercati a monte delle catene di produzione era già evidente da diversi indicatori, come i prezzi dei metalli o il costo del trasporto merci.

Tuttavia, si guarda adesso con preoccupazione alla nuova ondata di Covid-19 che ha investito la Cina. In passato le autorità cinesi hanno contrastato la pandemia adottando misure di distanziamento severe. La cosiddetta strategia “zero-Covid” si è rivelata probabilmente efficace nella prima fase della pandemia, prevenendo la circolazione del virus, ma nel periodo successivo non è stata coadiuvata da una campagna vaccinale altrettanto efficace quanto quelle realizzate nelle economie occidentali.

Con una brusca e sorprendente inversione di tendenza, da qualche settimana, la Cina ha annunciato una serie di misure volte a ridurre alcune delle regole più severe del Paese. Tra queste, l’eliminazione della necessità di un test negativo per viaggiare all’interno del Paese, la possibilità per i viaggiatori in entrata di saltare la quarantena e il declassamento della classificazione della malattia Covid.

Le misure riflettono le preoccupazioni del governo sullo stato dell’economia a seguito della strategia zero-Covid. Tuttavia, nonostante il rapido ridimensionamento, rimangono diverse restrizioni. I viaggiatori devono sottoporsi al test PCR prima di entrare in Cina. E, cosa ancora più importante, l’obbligo di indossare la mascherina rimane in vigore. Come in altri Paesi asiatici, pensiamo che la riapertura sarà accidentata e che le infezioni raggiungeranno il picco in fasi distinte, iniziando dalle città per poi spostarsi nelle zone rurali. L’ultimo bilancio dei decessi conferma che i prossimi mesi saranno probabilmente difficili. Tuttavia, la direzione di marcia è quella di una riapertura continua e di una ripresa economica.

L’arrivo dell’ultima ondata ha reso la situazione molto incerta. Gli indicatori del clima di fiducia di imprese e famiglie hanno registrato a fine 2022 una brusca contrazione, che potrebbe preludere a una recessione nel primo trimestre dell’anno. La battuta d’arresto dell’economia cinese, sovrapponendosi al rallentamento in corso negli Stati Uniti, comporta una dinamica della domanda internazionale probabilmente modesto, e questo peserà sulle prospettive dell’industria europea quest’anno.

Oltre agli effetti di una frenata dell’economia cinese sulla domanda internazionale, pesano anche i rischi di un nuovo peggioramento nelle condizioni delle catene di fornitura, legate a una nuova fase di interruzioni della produzione e, soprattutto, rallentamenti nel trasporto merci a seguito di una ridotta attività in alcuni porti. Al momento i dati sui prezzi internazionali dei trasporti marittimi non segnalano tensioni, anche perché le autorità cinesi, proprio per contenere gli impatti sull’economia, sono state indotte a rispondere alla nuova ondata con misure di distanziamento meno restrittive rispetto al passato. Tuttavia, le ultime informazioni sull’andamento dei contagi non sono incoraggianti e almeno dei rallentamenti nelle forniture potrebbero verificarsi nel corso delle prossime settimane.

La frenata dei prezzi dell’energia dovrebbe consentire di avviare in Europa una fase di rientro dopo l’impennata dell’inflazione del 2022.

Da come evolverà lo scenario sul versante dell’inflazione dipenderanno anche le scelte della Bce nei prossimi mesi. Sinora la politica della Bce è stata sufficiente per stabilizzare le aspettative d’inflazione; all’aumento dei tassi d’interesse è quindi corrisposto anche un incremento dei tassi reali ex-ante. La politica monetaria è dovuta diventare quindi progressivamente meno accomodante per evitare una propagazione degli aumenti dei prezzi sui livelli dell’inflazione attesa.

È una situazione non dissimile da quella osservata negli Stati Uniti, dove la Fed è più avanti nella politica di aumento dei tassi, e le aspettative d’inflazione hanno iniziato a ridimensionarsi. Proprio l’inizio della fase di decelerazione dei prezzi negli Stati Uniti ha influenzato le attese sulle mosse della Fed, e questo ha portato il dollaro ad avviare una fase di rientro dai massimi.


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