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Davanti alla platea del World economic forum di Davos, Ursula von der Leyen ha indicato i quattro pilastri del Green deal europeo, l’ambizioso piano di transizione ecologica che punta a trasformare l’Ue in leader mondiale sul fronte delle energie rinnovabili. Il primo caposaldo, ha spiegato, «riguarda la velocità e l’accesso: dobbiamo creare un ambiente normativo che ci consenta di crescere rapidamente e di creare condizioni favorevoli per la tecnologia pulita»; il secondo è il «New net zero industry Act.

Questo atto servirà a semplificare e velocizzare l’autorizzazione per i nuovi siti di produzione a tecnologia pulita». Il terzo «riguarda le competenze. Prendiamo ad esempio l’industria solare: entro il 2030, l’Europa deve impiegare oltre 1 milione di lavoratori solari, ovvero il doppio rispetto a oggi». L’ultimo pilastro, ha concluso, riguarda il commercio, perché «affinché la tecnologia pulita fornisca net-zero a livello globale, saranno necessarie catene di approvvigionamento forti e resilienti».

Le parole di von der Leyen segnano un cambio di passo sul fronte delle rinnovabili o, meglio, una decisa accelerazione a seguito della crisi energetica che la guerra in Ucraina ha scatenato nel Vecchio Continente. Come principale cliente della Russia nella fornitura di petrolio e gas – prima del conflitto – l’Ue si è dovuta confrontare con una situazione completamente nuova che ha comportato la ricerca di fornitori alternativi, sia pur a prezzi superiori rispetto a quelli assicurati da Mosca.

Per il futuro, dunque, la strada da intraprendere può essere solo quella dell’indipendenza, puntando sempre meno sul fossile e sempre più sulle energie alternative. Una strategia – se ben applicata – decisamente win win, visto che si sposa con le varie agende internazionali finalizzate anche alla riduzione delle emissioni di Co2 nell’atmosfera per contrastare i cambiamenti climatici.

Ma quali sono le rinnovabili? Il ventaglio è ampio ma quelle più note sono l’eolico e il solare. Nel 2020, secondo dati Eurostat, l’energia prodotta dal vento e quella idroelettrica si attestavano (a livello europeo) al 33%, seguite dal fotovoltaico (14%), da quella originata dai biocombustibili fossili e dalle altre fonti green. Particolarmente interessante, tra le varie fonti, è il geotermico che sfrutta il calore naturalmente prodotto nelle profondità della terra per creare energia pulita.

Si tratta di un’energia sempre presente e sfruttabile, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche sia a breve che a lunga durata del luogo in cui viene sfruttata e non presenta fenomeni di ciclicità giornaliera tipici del solare. Più intellegibile il concetto di energia marina (o oceanica) che prevede diversi sistemi di estrazione, da quelle fluidodinamiche a quelle di gradiente.

Per la sua posizione e conformazione geografica l’Italia è tra i Paesi Ue più attivi proprio sul fronte dell’energia marina, avendo prodotto prototipi – secondo il rapporto per il piano strategico per le tecnologie energetiche dell’Ue del 2020 – con un livello di maturità tecnologica pari a 7 in una scala compresa tra 1 e 9. Il Sud può diventare assoluto protagonista nel settore, considerata l’elevata quantità di isole che potrebbero proprio sfruttare il marino per sopperire alle proprie carenze e alle difficoltà di approvvigionamento. In generale, per il Mezzogiorno, la rivoluzione delle rinnovabili può rappresentare l’attesa svolta economica.

Le caratteristiche ci sono tutte: il soleggiamento, il mare, la ventilazione. Stando allo studio “Verso l’autonomia energetica italiana: il ruolo del Centro Sud” di A2a life company, l’Italia nel suo complesso potrebbe raggiungere il 58,4% di energia prodotta da rinnovabili. Decisivo il ruolo del Sud (meglio sarebbe dire Centrosud) che – secondo lo stesso rapporto – potrebbe garantire il 95% di produzione nazionale in più tramite l’energia eolica, il 63% tramite biometano e il 60% con il fotovoltaico.


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