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Un rigassificatore

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Il ritorno della guerra in Europa a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia riporta l’attenzione dei governi sui rischi d’interruzione delle forniture energetiche. Ecco perché il governo Draghi, già nel 2022, ha rimesso al centro la sovranità energetica dell’Italia e ha avviato politiche di approvvigionamento per garantire a famiglie e imprese la sicurezza energetica al più basso costo e impatto ambientale.

Il governo Meloni è chiamato  a raccogliere questa sfida con un piano per la produzione di energia da fonti rinnovabili, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, la riduzione dei consumi e degli sprechi. Forte della sua collocazione geografica e della sua capacità industriale, l’Italia può divenire l’attore guida dell’area mediterranea, investendo nell’interdipendenza virtuosa e nello sviluppo socioeconomico dei Paesi fornitori di energia.

I RITARDI DA COLMARE

Da un lato  bisogna aumentare la sicurezza e la diversificazione delle fonti di energia per l’Europa. Dall’altra, bisogna sfruttare le opportunità economiche offerte dalla cooperazione energetica con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo e l’Azerbaijan e i Paesi esportatori di gas liquido come Usa, Qatar e Mozambico.

Per raggiungere questi obiettivi serve potenziare le infrastrutture esistenti, come gasdotti e condotti sottomarini, e costruire nuove infrastrutture, come impianti di rigassificazione e stoccaggio dell’energia. Rispetto ai gasdotti, i rigassificatori hanno una maggior flessibilità di approvvigionamento, facilità di espansione della loro capacità e permettono l’ingresso diretto di nuovi operatori nel mercato del gas, con benefici sulla competitività dei prezzi.

Potenziare le proprie infrastrutture di rigassificazione aiuterebbe a garantire, da una parte, l’affrancamento e diversificazione rispetto alle fonti russe e, dall’altra, lo sviluppo di un vero e proprio hub del Gnl Mediterraneo. Rovesciando la direzione prevalente dei flussi di gas nel Paese, il sud può diventare  via di transito verso i mercati del centro Europa, creando vantaggi competitivi per i prezzi del gas e per l’economia del Paese.

Ma se si vuol fare dell’Italia un hub mediterraneo del Gnl, serve un contestuale ripensamento e potenziamento delle infrastrutture di distribuzione nella penisola così da rendere realizzabile l’inversione dei flussi da sud verso nord.

Queste necessità strategiche per il sistema-Paese, nel Sud Italia si scontrano con un sistema delle utility  che sconta un ritardo infrastrutturale rispetto al resto d’Italia: la gestione dei servizi nelle regioni meridionali è spesso affidata a enti locali che hanno una  scarsa capacità d’investimento rispetto alle gestioni industriali, il che si traduce in una generale scarsità di investimenti e di impianti strategici.

IL RUOLO DEI TERRITORI

Allo stesso tempo, lo sviluppo impiantistico e delle reti nel Sud rappresenta un’opportunità rilevante: per ogni euro di produzione realizzata nel Sud dalle utility se ne attivano, in Italia, circa 2,2. Inoltre,  è nelle regioni del Sud – in particolare in Sicilia, Puglia e Basilicata – che  è presente il maggior potenziale di sviluppo delle rinnovabili da solare ed eolico d’Italia.

Nel 2020, secondo i dati Terna, la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è risultata pari a 116.915 GWh, con circa 37.000 GWh prodotti nel Sud Italia (pari a circa il 32% del totale nazionale). Per raggiungere gli obiettivi di sviluppo delle rinnovabili in ottica European Green Deal – con un taglio del 55% delle emissioni al 2030 – si stima che saranno necessari 60GW di nuova potenza installata al 2030, di cui 43GW di nuova potenza da fotovoltaico e 12GW di nuova potenza eolica. Sicuramente il Sud Italia potrà avere un ruolo rilevante, considerate le caratteristiche del territorio.

In questo contesto le multiutility, tra le quali Iren, possono coinvolgere i territori nella realizzazione degli impianti e far sì che queste infrastrutture siano difese dai territori stessi. Le multiutility come Iren sono interlocutori chiave per le istituzioni e possono “‘mettere a terra” un’ingente mole di investimenti in ambito impiantistico e infrastrutturale (stimato in 50 miliardi di euro in 5 anni), con un effetto moltiplicatore positivo sul Pil. Possono inoltre guidare la trasformazione del sistema energetico con effetti benefici sulla sostenibilità ambientale.

I TEMPI PER  GIOIA TAURO

Il rigassificatore di Gioia Tauro è uno tra i progetti strategici che vedono il coinvolgimento di Iren, insieme a un partner italiano (Sorgenia): la capacità massima annuale di rigassificazione del terminale è di 12 miliardi di metri cubo all’anno, con la possibilità di estenderla fino a 16 all’anno. Inoltre, le caratteristiche dell’impianto consentono, in una prima fase, di realizzare e rendere operativi 8 milioni di metri cubo/anno.

I progetti di rigassificazione di grossa taglia – come il rigassificatore di Gioia Tauro – non sono rientrati tra le infrastrutture che il governo ha selezionato per la diversificazione delle fonti di approvvigionamento volte a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti a partire dalla Sen (Strategia energetica nazionale) del 2017. Ma il valore strategico del progetto, già autorizzato, è evidente.

Bisogna ricordare che, se questo valore verrà riconosciuto, la costruzione di un rigassificatore di quelle dimensioni prevede una tempistica di 3-4 anni con un investimento complessivo pari a 1,2 miliardi di euro. Tuttavia, l’impegno vale il risultato finale. Lo scenario europeo ci dice infatti che il Mediterraneo può diventare un hub di importazione di energia non solo per l’Italia. E così le infrastrutture come Gioia Tauro diventano ancora più strategiche. 


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