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Il primo Documento di economia e finanza del governo Meloni – oggi, alle 15, sul tavolo del Consiglio dei ministri – mantiene un profilo prudente e mette agli atti per il 2023 una crescita del Pil all’1%, quattro decimali in più rispetto alla previsione dello scorso novembre, quando il Documento di programmazione di bilancio stimava una “perdita di slancio dell’attività”, con la crescita “rivista al ribasso” allo 0,6%. Il Def mantiene poi al 4,5% il rapporto Deficit/Pil che, rispetto al 4,35% cui si attesterebbe grazie a un primo trimestre migliore delle attese, garantirebbe un margine di circa 3 miliardi per gli interventi di politica economica in cantiere; e pone il rapporto debito/Pil programmatico al 142,1% e tendenziale al 142%. 

Il ritocco all’insù della stime sul Pil è in linea lo scenario delineato dall’Ufficio parlamentare di bilancio nella nota sulla congiuntura di aprile e dell’ultimo Bollettino economico della Banca d’Italia che, dopo il rallentamento degli ultimi mesi del 2022, registrano per il primo trimestre “segnali di moderata ripresa”, il primo, e «una dinamica del Pil tornata lievemente positiva”, il secondo.

I modelli di Bankitalia rilevano un aumento, anche se lieve, della produzione industriale sostenuta dalla manifattura che beneficia della discesa dei costi energetici e dell’allentamento delle strozzature nelle catene di approvvigionamento degli input intermedi e delle materie prime, cui si accompagna la tenuta dei servizi.

Altri segnali positivi arrivano dal sentiment delle imprese, con il clima di fiducia migliorato nella media dei tre mesi in tutti i settori – certifica l’Istat. E altrettanto positivi sono i segnali che emergono dai PMI sia del comparto manifatturiero sia dei servizi che, rilevano da Via Nazionale, “sono tornati compatibili con un’espansione dell’attività, per la prima volta dal secondo trimestre del 2022”. A marzo, in particolare, l’indice S&P Global PMI del settore manifatturiero italiano si è attestato rimasto al di sopra della soglia cruciale di 50.0, che separa la crescita dalla contrazione, al 51.1, mentre l’indice PMI servizi è salito notevolmente raggiungendo il 55,7 dal 51,6 di febbraio.

L’occupazione continua a crescere: +0,3% tra gennaio e febbraio, secondo i dati preliminari della Rilevazione sulle forze di lavoro, rispetto agli ultimi due mesi del 2022. Numeri che, salvo eventi particolarmente avversi, potrebbero far considerare plausibile una crescita per quest’anno superiore a quella messa nero su bianco nel Def. 

Certo su questo quadro pesano diverse incognite: l’incertezza determinata dalle tensioni geopolitiche, in primis la guerra in Ucraina, e finanziarie globali con le turbolenze nel settore bancario, l’inflazione che seppur in frenata resta elevata, la stretta monetaria per accelerarne la discesa. E ci sono poi i ritardi nell’attuazione del Pnrr che potrebbero ridimensionarne la spinta sul Pil. Il ministro degli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, – che sta conducendo la trattativa con Bruxelles per una rimodulazione del piano – dovrebbe riferire in Parlamento, come chiesto delle opposizioni, sullo stato dell’arte del progetto di ripresa e resilienza tra la fine di aprile e i primi di maggio.

La prudenza sui numeri è quindi d’obbligo ed è il “mantra” che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ripete ad ogni appuntamento con i documenti relativi alla gestione di conti pubblici.

Tanto più che l’Europa si appresta a rimettere in moto il Patto di stabilità e crescita, messo in stand by durante la pandemia, con la Germania che, in un no paper di tre pagine, ha proposto alla Commissione europea l’obbligo per i Paesi più indebitati, come l’Italia, di ridurre il rapporto debito/Pil di almeno un intero punto percentuale l’anno, fino al raggiungimento della soglia del 60% del Pil, e di almeno mezzo punto percentuale l’anno per quelli meno indebitati. Per l’Italia significherebbe ridurre il debito di circa oltre 19 miliardi di euro l’anno.

Sul fronte interno ad impegnare il governo c’è anche il gran ballo delle nomine: sono 610 le poltrone in scadenza nei prossimi mesi, in 105 diverse società, che diventano 135 se si prende come termine ultimo il 2024. E le scadenze più ravvicinate riguardano le grandi partecipate pubbliche: Enel, Eni, Leonardo, Poste e Terna, Poste, Terna e Leonardo.

Entro giovedì 13, infatti, dovrebbero essere messi nero su bianco in un’unica tornata i nomi dei nuovi vertici. Oggi, prima o dopo il Cdm, potrebbe esserci una riunione di maggioranza per cercare di avvicinare le posizioni che su alcune caselle sono ancora distanti e trovare la quadra prima della partenza di Giorgetti per Washington, dove mercoledì prende il via il Meeting di primavera del Fondo monetario internazionale.


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