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In Italia, dove l’88% delle merci viaggia su strada, il caro benzina avrà un effetto valanga sui prezzi degli alimentari e sulla spesa dei consumatori

Per gli scaramantici il 17 continua a essere un numero sfortunato, soprattutto per gli automobilisti. Ieri, 17 agosto, è scattato infatti il diciassettesimo aumento del prezzo della benzina, che in autostrada, in modalità self service, è schizzato a 2,019 euro al litro da 2,015 del 14 agosto. Nonostante i cartelli che dovrebbero garantire la trasparenza, i listini dei carburanti continuano a volare.

In rialzo anche il gasolio che, sempre in modalità self service, è arrivato a 1,928 contro 1,921 sempre del 14 agosto. Stabili, invece, Gpl (0,842 euro) e metano (1,528).

La situazione nelle regioni, secondo l’aggiornamento del ministero delle Imprese e del Made in Italy, è leggermente differenziata, con i prezzi medi più alti in Puglia (1,969 euro) e i più economici nelle Marche (1,924 euro). Ma il caro-pieno si registra anche in Calabria, Basilicata, Liguria e Sardegna, tallonate da quasi tutte le altre regioni.

SCONTRI SULLA BENZINA

Il ministero guidato da Adolfo Urso è tornato a difendere i risultati del monitoraggio con l’obbligo di esposizione del prezzo medio regionale e ha sostenuto che, al netto delle accise, in Italia i carburanti sono più economici rispetto al resto dei Paesi europei, come Francia, Spagna e Germania.

La questione è diventata oggetto di scontro politico, mentre a scendere pesantemente in campo sono state le associazioni dei consumatori. Il Codacons ha annunciato l’invio di una denuncia rivolta al ministero dell’Economia e delle finanze per «appropriazione indebita e speculazione da aggiotaggio con diffida a incamerare i 2,2 miliardi di euro di accise» incassati nell’ultima settimana: tanto sarebbero gli introiti derivanti da esodo e controesodo.

L’associazione ha replicato al ministro ricordando che «le famiglie non pagano il prezzo depurato dalle accise, ma quello reale e devono sopportare un prezzo medio di 2 euro, quasi 3 nelle peggiori delle ipotesi, senza che nessuno finora sia stato capace di fermare l’arrampicata dei prezzi». Da qui la decisione di ricorrere alla denuncia per tutelare i consumatori che «come al solito ne fanno le spese».

Anche Assoutenti ha chiesto di aprire un’indagine e di usare la leva delle accise per contenere gli aumenti. E il taglio delle accise è stato sollecitato anche dalla Fegica (Federazione italiana gestori carburanti e affini).

LO CHOC ALIMENTARE

Intanto, se da un lato si prepara una stangata immediata per gli italiani in marcia verso il rientro dalle vacanze, o comunque dal periodo di Ferragosto, si prospetta uno choc in tempi più lunghi anche sui listini dell’agroalimentare, settore già pesantemente provato da un’inflazione che continua a viaggiare a due cifre (nonostante il ridimensionamento sensibile dell’indice medio) e dal maltempo, che potrebbe presentare, dopo gli ultimi eventi dei giorni scorsi, un conto ancora più pesante dei 6 miliardi del 2022.

Senza dimenticare la questione del blocco del trasporto del grano dell’Ucraina, che rischia di incidere sull’andamento delle quotazioni delle materie prime. A lanciare l’allarme sulla possibile ulteriore fiammata dei prezzi è stata ieri la Coldiretti, che ha ricordato come in Italia (dove l’88% delle merci per arrivare sugli scaffali viaggia su strada), l’aumento dei prezzi della benzina e del gasolio abbia un effetto valanga sui costi delle imprese e sulla spesa dei consumatori.

Sotto schiaffo è infatti l’intero sistema agroalimentare, con i costi della logistica pari a un terzo del totale, soprattutto per prodotti sensibili come frutta e verdura. Secondo un recente studio realizzato dal Centro studi Divulga il costo medio per chilometro per il trasporto delle merci è in Italia pari a 1,12 euro/km, a fronte di 1,08 euro della Francia e 1,04 della Germania.
Coldiretti, nella sua analisi, ha calcolato che il gap logistico comporta un aggravio di spesa di oltre l’11% rispetto alla media europea: un ostacolo allo sviluppo del potenziale economico nazionale, in particolare per quanto riguarda i prodotti agroalimentari punta d’eccellenza del made in Italy.

I costi dei carburanti e il ritardo infrastrutturale costituiscono quindi le due facce di una stessa medaglia. Il gap nell’ambito dei trasporti, che si svolgono per lo più su gomma, amplifica infatti l’impatto del caro-carburanti, con effetti assolutamente devastanti sui costi e sui prezzi al consumo.

Il report di Divulga ha calcolato che il ritardo italiano rispetto ai principali competitor si aggira sui 77 miliardi di “export perduto”. E tra i settori più colpiti c’è quello agroalimentare, per il quale la logistica risulta cruciale. Il settore si colloca nella parte alta della classifica delle perdite con 8 miliardi di euro, a fronte dei 61 miliardi realizzati lo scorso anno sui mercati esteri.

Per quanto riguarda l’efficienza dei trasporti e logistica, l’Italia, secondo la classifica stilata da Divulga, si colloca al diciassettesimo posto dopo Belgio, Danimarca, Austria, Taiwan, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Spagna, Emirati Arabi Uniti, Germania, Svizzera, Korea, Giappone, Hong Kong, Paesi Bassi e Singapore.

IL GAP NEI TRASPORTI

Ma dove l’Italia offre il peggio di sé è nel trasporto marittimo, settore nel quale scivola nella casella n° 24. Meglio invece per il trasporto aereo (19) e soprattutto la rete ferroviaria (15). Ma sui binari le merci, e in particolare gli alimentari, viaggiano poco, e l’alta velocità per questo settore resta purtroppo ancora un miraggio.

L’Italia, infatti, privilegia la strada, occupando il secondo posto in Europa per questa modalità di trasporto delle merci, preceduta solo dalla Spagna: su gomma viene movimentato l’88% delle merci contro il 77% della media dell’Unione europea.
E c’è poi la situazione più difficile del Mezzogiorno, svantaggiato rispetto al Centronord non potendo contare su collegamenti stradali e ferroviari veloci.

L’utilizzo del trasporto merci su rotaia è invece molto intenso – ricorda Divulga – nelle tre repubbliche baltiche e in Slovenia, ma anche in altri Paesi dell’Europa orientale. Circa due terzi delle merci trasportate in Lituania, infatti, si spostano su treni (65%), in Lettonia più della metà (57%) e per oltre un terzo sia in Estonia (39%) che in Slovenia (35%). L’Italia si ferma solo al 12%, al di sotto della media Ue (17%). Un giusto equilibrio tra le diverse modalità di trasporto potrebbe risultare determinante per riuscire a contenere gli aumenti dei carburanti.

Un altro elemento sul quale il nostro Paese dovrebbe investire sono i porti, preziosi in particolar modo per il Mezzogiorno. Lo studio ha ricordato che rilevanti stanziamenti del Pnrr per il Mezzogiorno sono finalizzati proprio alle infrastrutture e all’integrazione delle reti di collegamento portuali (porti, retroporti/terminal, vie di collegamento e transito) anche per potenziare le autostrade del Mare con lo sviluppo del traffico Roll on/Roll off (Ro-Ro), ovvero il traghettamento degli autotreni in altri porti, evitando lo scarico e ricarico della merce: il tutto porterebbe a un forte contenimento del trasporto su gomma, molto più costoso e meno sostenibile sul piano ambientale.

«Il Piano nazionale di ripresa e resilienza – ha detto il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, in riferimento all’impennata dei costi dei carburanti – può essere determinante per sostenere la competitività delle imprese sbloccando le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese e anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo».


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