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Economia, frena l’azienda Italia la crescita acquisita per il 2023 passa dallo 0,8% inizialmente previsto allo 0,7%, un dato di cui il governo dovrà tenere conto in vista della definizione della legge di Bilancio

Frena l’economia italiana, e la battuta d’arresto è più intensa del previsto: nel secondo trimestre dell’anno il Pil registra una flessione del 0,4% rispetto al primo, maggiore delle attese, dal momento la stima preliminare diffusa dall’Istat a fine luglio “vedeva” un calo dello 0,3%. Così questa volta l’Azienda Italia si ritrova dietro la Germania e la Francia (variazione nulla per la prima, + 0,5% la seconda nel periodo considerato) che ancora nel precedente trimestre si era lasciata alle spalle.

Su base tendenziale il Pil del Belpaese segna + 0,4% – dato anch’esso rivisto al ribasso rispetto alla previsione di una crescita dello 0,6% – la Francia arriva a + 0,9%, mentre la Germania registra una diminuzione dell’1%. Nel complesso l’Eurozona cresce dello 0,3% rispetto ai primi tre mesi dell’anno e dello 0,6% nel confronto con il secondo trimestre 2022.

Economia, l’azienda Italia frena ma resta positiva

La crescita acquisita dall’Italia per il 2023 – ovvero la variazione del Pil che si otterrebbe in presenza di una variazione congiunturale nulla nei restanti trimestri dell’anno – passa di conseguenza dallo 0,8% allo 0,7%. Un numero con cui il governo alle prese con la definizione della Nadef dovrà fare i conti, valutando la possibilità di mantenere l’obiettivo indicato per fine anno, fissato nel Def a +1%, o procedere a ritocchi.

La coperta della legge di Bilancio sembra farsi quindi sempre più corta. Che il sentiero fosse strettissimo il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, lo aveva detto e ripetuto con chiarezza ai colleghi della maggioranza in fermento in vista dell’appuntamento con le europee di giugno, in gara per piantare più bandierine possibile nella Manovra. E la premier Giorgia Meloni lo aveva ribadito con fermezza di fronte ai ministri riuniti per il primo Cdm dopo la pausa estiva.

Dall’Istat un segnale d’allerta

Quello arrivato ieri dall’Istat è un altro segnale di allerta, dopo il calo della fiducia delle imprese registrato ad agosto e l’arresto della crescita dell’occupazione a luglio dopo sette mesi con il segno “+”. Un altro alert arriva da S&P: l’Indice Hcob Pmi (Purchasing Managers’ Index) sul settore manifatturiero italiano ha registrato ad agosto 45.4: si tratta di un aumento rispetto al 44.5 di luglio e del valore più alto in tre mesi, ma attestandosi per il quinto mese consecutivo al di sotto della soglia di 50.0 che separa la crescita dalla contrazione, si evidenzia, l’indice ha nuovamente segnalato un forte deterioramento dello stato di salute dell’economia manifatturiera. “Il settore manifatturiero italiano – si spiega – è rimasto impantanato in una fase di contrazione nel mese di agosto. La produzione e i nuovi ordini sono nuovamente calati a ritmi elevati e la domanda di mercato è stata segnalata come deboli”.

Unico dato confortante di questi giorni resta il rallentamento dell’inflazione che ad agosto si è fermata al +5,5%, in flessione rispetto al 5,9% di luglio.

L’Italia resta comunque il Paese che è cresciuto di più dal 2019 ad oggi, dimostrandosi più che resiliente di fronte alla sequela di crisi che si sono succedute dal 2019 ad oggi: Covid, guerra, emergenza energetica, caro materie prime, inflazione stellare.

Economia, la frenata della domanda interna per l’azienda Italia

La frenata del secondo trimestre è imputabile soprattutto all’andamento della domanda interna (scorte incluse) – tra consumi al palo e investimenti in decisa flessione -, mentre quella estera ha fornito un contributo nullo. “Sul piano interno – spiega l’Istat – l’apporto dei consumi privati è stato anch’esso nullo, mentre sia quello della spesa delle amministrazioni pubbliche sia quello degli investimenti è risultato negativo. Positivo il contributo delle scorte, per 0,3 punti percentuali”. Le ore lavorate hanno subìto una flessione dello 0,5%, le posizioni lavorative dello 0,1% e le unità di lavoro si sono contratte dello 0,3%. Sono risultati in crescita dello 0,8% i redditi pro-capite”.

Di fronte a questo quadro le opposizioni sono partite all’attacco. Per il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, il Pil è «letteralmente crollato a causa dell’inerzia e dell’incapacità del governo, che sta dilapidando l’eredità di crescita di quasi l’11% nel biennio 2021-2022, frutto delle misure su cui ho investito quando ero al governo. Misure che questo governo ha cancellato, tagliato e demonizzato. Oggi – ha sentenziato – Meloni raccoglie quello che ha seminato in tutti questi mesi a Palazzo Chigi». Dal Pd, tramite le parole del responsabile economico Antonio Misiani, è arrivato invece un monito per i prossimi mesi: «La prossima manovra di bilancio è chiamata a fare i conti con la realtà. Le risorse disponibili vanno concentrate dove servono: per la difesa dei redditi delle famiglie erosi dall’inflazione, per finanziare sanità, scuola e trasporto pubblico, per rilanciare lo sviluppo del Paese».

Unione consumatori: «Rischio recessione tecnica»

Sul fronte delle associazioni di categoria, l’Unione Nazionale Consumatori vede «il rischio di una recessione tecnica alle porte», mentre Confesercenti considera plausibile per quest’anno una crescita dello 0,7%, aspettandosi un terzo e quarto trimestre a crescita nulla.

Confortano invece le previsioni del presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, secondo cui della frenata del Pil «non dobbiamo preoccuparci perché viene da lontano, dalla Cina che a sua volta ha creato una difficoltà per la Germania che è molto esposta, l’Italia molto meno». «L’Italia – ha spiegato a margine a margine del Forum Ambrosetti a Cernobbio – ha dei mercati più distribuiti geograficamente come settori ma naturalmente siamo dei grandi fornitori della Germania. Io – ha sostenuto – mi aspetto per l’anno prossimo una crescita del Pil dell’1%, un po’ più veloce nella seconda parte dell’anno, un po’ più lenta nella prima metà».


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