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Le decisioni delle banche centrali abbattono i mercati. Milano la peggiore di tutte con un calo dell’1,8%. Nonostante il buon momento delle banche. Male anche gli altri listini. Una striscia di colore rosso accomuna tutti i mercati del mondo indicando la soglia d’allarme. Non ci sono crolli ma un lento smottamento che sta portando il Nasdaq sempre più vicino alla soglia di 13.250 punti. Se dovesse infrangerla si scatenerebbe la furia della speculazione al ribasso.

I segnali non sono confortanti. La Fed ha mantenuto i tassi stabili fra il 5,15% e il 5,5%, ma ha segnalato che un altro aumento è possibile, mentre è scontato che il costo del denaro resterà elevato per molto tempo.

Le speranze di una discesa già a partire dall’anno prossimo si sta affievolendo. Tanto più che la stretta sul credito combatte l’inflazione vista in discesa ma non compromette la ripresa economica. Le previsioni del Pil 2023 salgono dall’1% al 2,1%. I dati sul mercato del lavoro confermano l’ottimismo. Scendono, infatti, le nuove richieste di sussidio di disoccupazione. Si attestano a 201mila. Erano 221mila la scorsa settimana. Il dato è migliore delle attese, pari a 225mila.

Ieri la Banca d’Inghilterra ha seguito l’esempio della Federal Reserve. Ha fermato la stretta segnando cosi la prima pausa dall’inizio del ciclo di rialzi avviato nel dicembre 2021. Tuttavia, i tassi della Boe rimangono ai livelli più alti dall’aprile 2008. La decisione della banca centrale ha fatto crollare la sterlina, che subito dopo l’annuncio è scesa dello 0,72% sul biglietto verde, a 1,2256 dollari per sterlina, poco dopo aver toccato un nuovo minimo da più di cinque mesi, a 1,2239 dollari. La valuta di Londra ha perso terreno anche nei confronti dell’euro, che ha guadagnato lo 0,55% a 86,68 penny.

«L’inflazione è scesa significativamente negli ultimi mesi, e questa è una buona notizia», ha osservato il governatore della Boe, Andrew Bailey, sottolineando che l’istituto centrale ritiene che questo «continuerà». «Non c’è spazio per l’autocompiacimento», ha avvertito. «Dobbiamo assicurarci che l’inflazione ritorni alla normalità e prenderemo le decisioni necessarie per arrivarci», ha affermato.

Anche la banca centrale svizzera ha interrotto il suo ciclo d’inasprimento, mantenendo il tasso di riferimento all’1,75% e lasciando la porta aperta a un nuovo giro di vite. La Banca di Norvegia, dal canto suo, ha invece alzato il tasso di riferimento per la 13esima volta in due anni, aumentandolo di 0,25 punti per portarlo al 4,25%. Ritiene inoltre «probabile» una nuova stretta a dicembre. Infine, in Svezia, la banca centrale ha annunciato che avrebbe aumentato il tasso di riferimento di 0,25 punti, portandolo al 4%, il più alto degli ultimi 15 anni, e che avrebbe potuto aumentarlo ulteriormente.

Il top è stato toccato dalla Banca centrale della Turchia. Ha alzato i tassi di interesse di riferimento di 500 punti base in un colpo solo, dal 25 al 30 per cento nel tentativo di «velocizzare il più possibile» il rientro della galoppante inflazione a livelli più controllabili. Domani tocca alla Banca del Giappone (Boj) comunicare la sua decisione sui tassi. L’istituto di Tokyo non farà mosse offrendo però spunti su una potenziale svolta per allontanarsi dai tassi di interesse negativi. Il governatore Kazuo Ueda ha recentemente segnalato questo orientamento, affermando che i salari e l’inflazione sono cresciuti costantemente negli ultimi mesi. Domani arrivano i dati sull’inflazione giapponese, che ad agosto dovrebbe restare ferma al 3,3%, come a luglio, un livello che comunque è elevato per un Paese che per decenni ha sofferto di deflazione.

Debiti più cari e meno liquidità in giro legano le mani sempre di più agli Stati, che hanno sempre meno risorse per salvaguardare potere d’acquisto e investimenti. Il rischio è che il soft landing, l’atterraggio morbido da un mondo a tassi zero a uno con il costo del denaro balzato al top da un ventennio, non sia proprio soft. Nel dubbio in Borsa si vende.

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