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«A tale of two cities», è un famoso romanzo di Charles Dickens: questo ‘racconto di due città’ potrebbe essere parafrasato in un ‘racconto di due periodi’, per descrivere i cambiamenti strutturali in corso nell’economia italiana.

I due periodi raffigurati nei grafici coprono due intervalli. Il primo, gli anni dal 2009 al 2019: dall’anno che seguì la Grande recessione (la quale fu poi a sua volta seguita dalla crisi da debiti sovrani – le disgrazie non vengono mai sole…) all’anno che precedette l’altra disgrazia: la pandemia da Covid. Il secondo periodo inizia invece dal 1° trimestre del 2020, quando deflagrò il malefico virus SARS-Covid-2, e termina agli ultimi dati disponibili: il terzo trimestre 2023. E i due grafici descrivono – facendo 100 l’inizio dei due periodi – gli andamenti, per la media Eurozona e per l’Italia, di due grandezze chiave: il Pil e la produttività.

Sulla scelta del Pil come grandezza chiave, non c’è molto da dire: è la misura principe dell’attività economica. Veramente, molti non sarebbero d’accordo: in un famoso discorso Robert Kennedy disse che il Pil è una: «misura senz’altro grossolana…» che ha dentro «le ambulanze per sgombrare le strade dalle carneficine di fine settimana,… le porte blindate per le case e le prigioni per coloro che cercano di forzarle…, la produzione di testate nucleari,… le auto della polizia per fronteggiare le rivolte urbane…».

Quello sfogo, del senatore e fratello del presidente John Kennedy, data del 18 marzo 1968, ottanta giorni prima di essere assassinato (come il fratello, con armi che facevano anch’esse parte del Pil…). E Robert concluse così il suo amaro discorso: Il Pil «misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta». Il che sarà anche vero, e da allora sono state proposte e periodicamente pubblicate, altre misure del benessere economico, che allargano la produzione di beni e servizi ad altre grandezze rappresentative dello ‘star bene’ di una nazione. Rimane però il fatto che, quando si accostano queste altre grandezze al Pil, si nota che c’è una forte correlazione fra queste variabili. Stiamo quindi sul Pil.

L’altra variabile è la produttività. Si è scelta questa grandezza perché si dice spesso che la vera palla al piede della crescita dell’economia italiana è la produttività. Questa è da sempre vista come la variabile chiave. Nella ‘contabilità della crescita’ l’espansione di un’economia dipende essenzialmente da tre fattori: il lavoro, il capitale e la produttività. Quest’ultima rappresenta l’efficienza, il modo in cui, mettendo assieme capitale e lavoro, si spreme il più prodotto possibile da questi due fondamentali fattori di produzione.

A sua volta, la produttività si scinde in produttività del lavoro (prodotto diviso per unità di lavoro), produttività del capitale (prodotto diviso per unità di capitale) e ‘produttività totale dei fattori’. Quest’ultima fattezza della produttività è un cruciale residuo. Se il prodotto aumenta di un tanto, ma la produttività del lavoro più la produttività del capitale non bastano a spiegare quel ‘tanto’, ecco che quello che manca viene chiamato ‘produttività totale dei fattori’: un termine che cattura un po’ tutto, dal progresso tecnico alla coesione sociale, al contributo delle infrastrutture, alla qualità delle istituzioni, al funzionamento della burocrazia…

Beninteso, la produttività rimane un concetto difficile da interpretare, anche perché risente della composizione del Pil: dato che i servizi sono una componente crescente del valore aggiunto, e dato che i servizi sono tipicamente un comparto a più alta intensità di lavoro, la misura più ampia della produttività (quella qui riportata, Pil per occupato) potrebbe diminuire senza per questo doversi trarre un giudizio negativo sulla qualità della crescita. Comunque, dato che questo caveat è comune a tutte le economie, il confronto riportato nel grafico rimane valido.

Orbene, come si vede, nel periodo dal 2009 al 2019 l’Italia era in coda all’Europa: sia per quanto riguarda la crescita del Pil che per quanto riguarda la produttività. Le lamentele sulla debolezza della produttività come fattore della scarsa crescita dell’Italia erano quindi pienamente giustificate. Ma tutto cambia nel secondo periodo. Che la nostra economica sia andata crescendo, a partire dal 2020, più che l’Eurozona è cosa nota da tempo, e il “Quotidiano del Sud” lo ricorda regolarmente. Meno noto è che anche l’altra variabile – la produttività, appunto – è cresciuta nettamente di più della media Eurozona.

Su queste colonne si è messo spesso l’accento sull’ottima performance dell’occupazione in Italia (vedi, ad esempio, il “Quotidiano del Sud” del 4 novembre), e, a primo acchito, questa ‘rosa’ dovrebbe avere una ‘spina’: se gli occupati aumentano, la produttività, a parità di crescita del prodotto, potrebbe diminuire. Ma ciò non è successo: la crescita del prodotto è stata tale da trascinare verso l’alto anche la produttività, invertendo, come si vede, la classifica del primo periodo. Sì, qualcosa è cambiato nell’economia italiane, ed è nostro compito quello di custodire e proteggere questa svolta nel nostro sentiero di crescita.


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