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Ursula von der Leyen e Mario Draghi presentano il Pnrr

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DIVERSI comunicati stampa apparsi su diverse testate giornalistiche hanno anticipato giovedì scorso un cambiamento sostanziale nelle intenzioni del Presidente Draghi; in particolare si legge: “Verrà chiesto a ogni Ministro coinvolto di trasformare, ognuno per la propria competenza un piano molto tecnico e molto complesso, in un elenco semplice e fruibile di esempi delle trasformazioni pratiche di cui godranno gli italiani nei prossimi anni. Essendo il Piano il core business dell’attuale Governo, l’esecutivo ne avrà da guadagnare.  Sarà compito poi del Sottosegretario Garofoli quello di produrre una relazione in cui evidenzierà gli ultimi tasselli che mancano per centrare l’obiettivo del primo semestre dell’anno ed incassare in estate altri 21 miliardi di euro”.

Sempre nei vari comunicati si legge: “Lo stato dell’arte è il seguente: nel semestre in corso l’Italia era obbligata a raggiungere 45 obiettivi in termini di riforme, provvedimenti legislativi, cambiamenti amministrativi, ecc. Ne ha conseguiti sin qui 15, altri 17 sono in arrivo nei prossimi giorni; ne mancano all’appello 13 da raggiungere entro la fine del prossimo mese di giugno. In questo elenco di obiettivi, da raggiungere entro la fine di giugno, un obiettivo davvero chiave è quello legato al “Codice Appalti”; un provvedimento già passato ad un ramo del Parlamento e che si spera possa diventare Legge entro la fine del mese di giugno”. Questo giusto e complesso itinerario che ci consentirà non solo di ottenere gli acconti contemplati nel PNRR ma anche un sistematico avanzamento dell’intero sistema programmatico, non tiene conto che, nel comparto delle infrastrutture, è ancora fermo ciò che, in modo banale, chiamiamo “la capacità della spesa”.

Questa stasi è purtroppo legata ad un comportamento che ha caratterizzato, negli ultimi otto anni, proprio ciò che una volta era la macchina, direi il motore, delle opere pubbliche: mi riferisco a due grandi aziende come le Ferrovie dello Stato e l’Anas, alle concessionarie autostradali e alle amministrazioni regionali. Ma questo blocco non è da addebitarsi ad una cattiva gestione del management dei vari organismi prima richiamati ma, essenzialmente, ad una scelta dei Governi che dal 2015 ad oggi si sono succeduti. Tali Governi hanno preferito puntare solo sui trasferimenti di risorse in conto esercizio (ormai da anni ripeto sempre la stessa denuncia: hanno preferito garantire annualmente oltre 25 miliardi per l’incremento dei salari minimi con 80 euro, il reddito di cittadinanza e il quota 100) e hanno del tutto annullato i trasferimenti in conto capitale.

In fondo l’obiettivo di chi ha governato il Paese fino al 2021 era quello di ottenere un ritorno positivo immediato della base elettorale e questo ritorno non poteva certo venire attraverso risorse in conto capitale, non poteva in realtà venire attraverso la realizzazione di opere il cui completamento superava la soglia dei 4-5 anni. Quindi l’azione del presidente Draghi e del sottosegretario Garofoli è senza dubbio valida e quello che stiamo vivendo in termini di avanzamento dei provvedimenti legislativi ed amministrativi possiamo definirla sicuramente incisiva e funzionale agli obiettivi del Pnrr; quello che, purtroppo, non si riesce a far partire è il processo realizzativo, almeno nel campo delle infrastrutture, delle scelte. E, cosa purtroppo non bella, la Unione Europea si è accorta di questo non facile vincolo ed ha fatto sapere, prima per via informale e poi formalmente, che qualora non si riuscisse ad utilizzare le risorse assegnate a determinati interventi del PNRR queste non andranno perse ma, con l’accordo di tutti i Paesi della Unione Europea, potranno essere trasferite in opere mirate alla realizzazione di infrastrutture nel comparto energetico.

Stiamo, quindi, pian piano da un lato cercando di onorare gli impegni legati al processo normativo ed amministrativo ma contestualmente stiamo ormai alla ricerca di un Piano B in cui la voce dominante è quella relativa alla costruzione di una nuova offerta energetica. Questo cambiamento produrrà una vera rilettura strategica.

A tale proposito faccio esempi che sin da ora possiamo considerare molto vicini alla realtà:

1. Sicuramente l’asse ferroviario ad alta velocità Roma – Pescara non potrà rispettare i tempi contemplati dal PNRR

2. Sicuramente l’asse ferroviario ad alta velocità Salerno – Reggio Calabria non potrà rispettare i tempi contemplati dal PNRR

3. Sicuramente l’asse ferroviario ad alta velocità Taranto – Potenza – Battipaglia non potrà rispettare i tempi contemplati dal PNRR

4. Sicuramente il sistema ferroviario ad alta velocità Palermo – Messina – Catania non potrà rispettare i tempi contemplati dal PNRR

E quindi questo volano di risorse di circa 20 miliardi di euro servirà per l’attuazione di un nuovo Piano energetico per il Paese ma non assicurerà più al Mezzogiorno una specifica assegnazione di risorse mirate. Certamente molti diranno che gli investimenti nel comparto energetico renderanno il Paese non più legato ad un numero limitato di fornitori di energia, che tali investimenti costruiranno le condizioni per la produzione di una diffusa rete di energie rinnovabili e quindi non inquinanti e, soprattutto, abbassando i costi; tutto questo si configura quindi anche come una azione organica mirata alla crescita del Sud.

Tutto vero ma commettiamo un errore quando usiamo l’avverbio “anche”, il Mezzogiorno, lo ripeto da sempre, ha un reddito pro capite di 17.000 euro ed il centro nord ha un reddito pro capite di 38.000 euro e questo gap non viene assolutamente modificato con il ricorso ad azioni generali di rilancio del Paese; insisto non si può ancora una volta ricorrere ad una illusione mediatica attraverso la quale un efficientamento dell’intero comparto energetico possa configurarsi come una vera azione mirata al Mezzogiorno.

Una simile operazione è simile a quella delle così dette percentuali annunciate che per memoria riporto di seguito: il Presidente Conte: al Mezzogiorno assegneremo più del 65% delle risorse del PNRR lla Ministra De Micheli: al Mezzogiorno assegneremo più del 50% delle risorse del PNRR il Ministro Provenzano: al Mezzogiorno assegneremo più del 60% delle risorse del PNRR il Ministro Giovannini: al Mezzogiorno assegneremo più del 65% delle risorse del PNRR Poi purtroppo queste percentuali si spengono come tutte le buone intenzioni che rimangono tali; da settanta anni però a Caltanissetta e nell’intero Mezzogiorno, ripeto, il PIL pro capite è sempre di 17.000 euro e a Brescia supera 42.000 euro. Continuo a ricordare a chi governa questo Paese che il Mezzogiorno non può vivere di “percentuali”.


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