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Draghi, Macron e Scholz sul treno per Kiev

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IL GRANDE giorno della visita a Kiev di Olaf Scholz, Emmanuel Macron e Mario Draghi è finalmente arrivato. Un momento molto atteso perché Germania, Francia e Italia sono certamente i tre Paesi più importanti dell’Unione europea sul piano politico ed economico. Il loro orientamento è decisivo per capire come evolverà la crisi in Ucraina dopo la brutale aggressione di Vladimir Putin. Quale motivo canteranno dunque i “tre tenori”’ della Ue? Fino a oggi i contenuti della visita, preparata da settimane, sono ancora segreti. Si parlerà ovviamente della fornitura di nuove armi e della candidatura all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea.  

LE DUE SPINE NEL FIANCO DI  SCHOLZ

I due temi sono cruciali per Volodymyr Zelensky. Diventare un Paese candidato significa per l’Ucraina godere di un ombrello protettivo diplomatico formidabile nel confronto con la Russia. Avere nuove armi tecnologicamente avanzate significa rafforzare la resistenza e respingere l’aggressione di Mosca, con la speranza di sedersi al tavolo delle trattative in condizioni più favorevoli sul campo.

Purtroppo per Kiev, però, i “tre tenori” europei portano il fardello di problemi interni e di strategie differenti che con fatica troveranno la sintesi in una rappresentazione coerente. Dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina, Olaf Scholz aveva annunciato un aumento poderoso delle spese militari (il 2% del Pil tedesco è una cosa enorme se si pensa alla potenza economica della Germania) e aveva promesso di consegnare nuove armi al governo di Kiev.

La verità è che, finora, questo impegno è rimasto scritto sulla sabbia e la politica estera tedesca appare segnata da esitazioni e confusione. Scholz aveva annunciato al Bundestag la rapida fornitura all’Ucraina di un sistema di difesa aerea ad alta tecnologia, salvo poi ricevere la risposta piccata di Kiev per non avere ancora visto nemmeno l’ombra di un missile. La stessa esitazione riguarda la consegna di carri armati Leopard, trattenuti in patria con la scusa che sarebbe stato troppo difficile addestrare le truppe ucraine sui veicoli. Successivamente, il cancelliere ha promesso di inviare carri armati tedeschi a partner orientali della Nato – come la Repubblica Ceca – per sostituire i loro corazzati di fabbricazione sovietica destinati all’Ucraina. Ma anche in questo caso il governo di Berlino ha ritenuto complicata l’operazione e l’ha bloccata.

È probabile che l’atteggiamento obliquo di Scholz sia dovuto soprattutto alle sue due spine nel fianco. Sul piano politico, i mal di pancia dei socialdemocratici, abituati da decenni di pacifismo e di indulgenza nei confronti della Russia. Sul piano economico, la preoccupazione che un eccesso di attivismo militare possa scatenare la chiusura delle forniture di gas da parte di Mosca, con la conseguenza di mettere in ginocchio tutta l’economia tedesca completamente dipendente dagli idrocarburi russi.

CLIMA INCANDESCENTE IN FRANCIA PER MACRON

Non sta molto meglio Macron, impegnato all’ultimo sangue nei ballottaggi per l’elezione dei parlamentari. L’obiettivo è quello di limitare l’ascesa del populista di sinistra Jean-Luc Mélenchon, fiero rappresentante di sentimenti antieuropei, antiamericani e filorussi che lo rendono interessante anche per una porzione dell’elettorato lepenista.

Anche per raffreddare il fronte interno, il presidente francese ribadisce da tempo la necessità di negoziati tra Kiev e Mosca per porre fine al conflitto in Ucraina ricordando che gli europei «non vogliono la guerra» con la Russia. Rivolgendosi ieri alle truppe francesi schierate sotto l’ombrello Nato alla base militare di Mihail Kogalniceanu, in Romania, Macron è stato chiaro: «Il presidente ucraino dovrà negoziare con la Russia e noi europei saremo presenti a quel tavolo per offrire garanzie di sicurezza».  

Nei giorni scorsi, il capo di Stato francese ha presentato la sua proposta per una “Comunità politica europea”, con l’obiettivo di creare un passaggio intermedio verso l’ingresso a pieno titolo nella Ue per quei Paesi che non offrono ancora tutte le garanzie necessarie. Prima tra tutte, l’Ucraina.  Ma la proposta francese, al vaglio delle istituzioni di Bruxelles, è vista come fumo negli occhi da parte di Zelensky che vi legge un modo ambiguo per rimandare di decenni l’adesione di Kiev al blocco europeo. Il presidente ucraino è consapevole che l’allargamento richiederà tempo, ma sa che la concessione dello status di candidato all’Ucraina fornirebbe un’inestimabile spinta politica al suo Paese.

Il confronto si svolge in un momento cruciale perché i leader europei dovranno valutare la possibilità di concedere lo status di candidato all’Unione di Ucraina, Moldova e Georgia proprio nel vertice del Consiglio europeo della prossima settimana, mentre la Francia detiene la presidenza di turno del Consiglio della Ue. Ultimo, ma non ultimo, della triade dei leader europei in visita oggi a Kiev, Mario Draghi arriva come il più netto sostenitore della posizione euroatlantica.

Il massimo sostegno del premier alla resistenza ucraina si spiega nel nome del rispetto del diritto internazionale: le democrazie occidentali non possono ammettere che la volontà di conquista di un Paese – benché si tratti di una superpotenza militare – possa far crollare l’ordine liberale basato sul rispetto della sovranità e integrità territoriale e dei diritti dei popoli. In più, «l’Italia sostiene e continuerà a sostenere in maniera convinta l’Ucraina, il suo desiderio di far parte dell’Unione europea», ha ripetuto il premier italiano nel corso della sua recente visita in Israele.  

DRAGHI ATTESO AL VARCO IN PARLAMENTO

Anche Draghi, però, arriva a Kiev con il fardello di un’opinione pubblica sempre più preoccupata, proprio come quella francese e quella tedesca, per le conseguenze economiche del conflitto sulla vita quotidiana delle famiglie e delle imprese. Ma la pressione più urgente è quella che viene dall’interno della maggioranza di governo. Il 21 giugno Draghi è atteso in Parlamento per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo dedicato alla guerra in Ucraina. Dopo il flop delle amministrative, Matteo Salvini e Giuseppe Conte hanno fatto capire che non faranno sconti al governo. Neanche sull’invio delle armi all’Ucraina.

Si capisce bene, pertanto, che la visita di Draghi, Scholz e Macron a Kiev potrebbe diventare un passaggio cruciale. I “tre tenori” europei saranno capaci di far parlare la  Ue con una voce forte e chiara? «Ora che Angela Merkel è andata via, l’Europa ha bisogno di una leadership forte e responsabile» aveva detto l’altroieri a Draghi Naftali Bennett, primo ministro di Israele.


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