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MArio Draghi

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L’Europa “cresce”, si allarga, diventa “sempre più importante”. E risponde sempre meglio alle sfide della storia. È questo il messaggio che Mario Draghi consegna alla fine dei lavori del Consiglio europeo che si è svolto a Bruxelles ieri e l’altroieri e che ha visto il riconoscimento dello status di candidati all’adesione per Ucraina e Moldavia.

Non senza rivendicare un ruolo dell’Italia in questo “passo straordinario”. O, meglio, una serie di piccoli passi che, dal fatidico 24 febbraio, giorno dell’attacco di Mosca a Kiev, vedono l’Unione europea impegnata nella progressiva conquista di una soggettività politica finora deficitaria.

Per il premier italiano, l’Ue “sta diventando quell’istituzione a cui ormai tutti i paesi d’Europa guardano perché capace di dare prosperità, stabilità e sicurezza. Un passo straordinario nella storia dell’Unione, una dimensione che ha acquistato sempre più importanza per la guerra in Ucraina. Paesi che prima non ci avrebbero pensato, vogliono lo status di candidato”.

Un “processo complesso”, ammette Draghi, ma soprattutto “un salto identitario dell’Ue, un passaggio storico in cui l’unione sta acquisendo una identità diversa e molto più importante”. Tra le principali critiche rivolte all’Ue in questi anni c’è senza dubbio l’incapacità di esprimere una politica estera comune. L’Unione resta un mercato basato sulla libera circolazione di beni, merci e persone. Ma poi ogni stato fa a modo suo quando si tratta di gestire le relazioni esterne con il resto del mondo. Ebbene, il capo del governo italiano torna da Bruxelles con una consapevolezza nuova: l’Unione comincia a elaborare una politica estera comune e, nel confronto col dispotismo russo, ispirato da un’aggressività imperialista, diventa un punto di riferimento per tutti gli stati europei.

“Proprio a causa della guerra in Ucraina, paesi che prima non avevano pensato di chiedere di entrare nell’Unione oggi vogliono rapidamente lo status di candidato. L’Unione Europea ha cominciato a rispondere a queste richieste”, ricorda Draghi.

Un fenomeno che assomiglia molto a quello che sta avvenendo, parallelamente, con la richiesta di Svezia e Finlandia di aderire alla Nato, in cerca di protezione militare dalla minaccia di un’invasione russa. Tutto questo, continua il premier, “assume una fisionomia diversa in tempo di guerra. Questi paesi hanno deciso che la loro ancora di sicurezza non sta altrove, sta in Europa. Ed è pure un’ancora di prosperità”.

In verità, negli ultimi anni l’Ue è apparsa bloccata da un’impasse con il rischio di trasformarsi in una fortezza impermeabile, concentrata sugli affari ma insensibile alle attese provenienti dai paesi ai suoi confini. La narrativa populista e sovranista, esplosa all’interno dei diversi paesi membri, ha insistito a lungo sullo spauracchio di un’Europa ‘matrigna’, incapace di fare tutto il necessario per il benessere dei propri cittadini. Le istituzioni di Bruxelles sono state accusate di eccessiva lentezza nell’assunzione di decisioni cruciali. L’immagine della comunità europea è stata spesso associata a quella di una burocrazia fredda e meccanica, dimentica delle “magnifiche sorti e progressive” sognate al momento della fondazione. La reazione alla pandemia, prima, e alla guerra, poi, hanno completamente trasformato questo scenario.

“Le decisioni che abbiamo preso sullo status di candidato a Ucraina, Moldavia e Georgia, la decisione di avviare rapidamente questo status per sei stati dei Balcani, offre l’immagine di un’Europa meno arcigna, meno burocratica rispetto al passato”, spiega Draghi nel corso della conferenza stampa dopo il Consiglio europeo. Il tempo dell’Europa “arcigna”, eccessivamente “fiscale” verso i paesi candidati e verso i suoi stessi membri, sembra pian piano superato.

“Uno degli effetti della riunione di ieri, quando i leader dei paesi dei Balcani hanno protestato, chiedendo aiuto, è che non ci saranno ritardi” nei processi di integrazione, continua il premier, ricordando le tensioni emerse con i paesi che si sono visti superati da Ucraina e Moldavia dopo anche più di dieci anni di attesa. Ma la volontà di accogliere i sei paesi dei Balcani occidentali tra i membri dell’Ue è sempre più forte: “tutti questi processi naturalmente sono lunghi, ma queste decisioni per cui alcuni di questi Paesi hanno già aspettato 10-12-16 anni sono state prese”, assicura Draghi. In sostanza, il processo di ammissione “rimarrà esigente, perché è importante che le riforme che si chiedono ai Paesi vengano attuate, ma sarà molto meno burocratico”.

La novità sul piano politico è che i paesi membri non si atteggiano più soltanto a censori dei nuovi richiedenti, ma cominciano a cambiare postura: certo, quelli che bussano alle porte dell’Unione “devono fare le riforme necessarie per adeguare le loro società agli standard dell’Ue”, ma – questa è la novità secondo il premier – l’Ue deve aiutare questi paesi a fare ciò che si chiede loro”. La logica è quella di una istituzione aperta e accogliente che vuole giocare un ruolo nello scacchiere geopolitico globale. Anche a partire dalla sua capacità di attrazione nei confronti dei paesi europei che sono ancora indietro sul piano economico o in pericolo per via delle mire espansionistiche della Russia. Se questa svolta storica si sta compiendo, molto si deve alla determinazione e all’abilità del governo italiano. Che in questi mesi ha esercitato un ruolo cruciale.

Draghi lo rivendica con forza. “L’Italia è stata molto attiva nel promuovere lo status di paese candidato dell’Ucraina”, dice. Prima ancora della sua conferenza stampa, il presidente dell’Ucraina Zelensky aveva pubblicamente riconosciuto il ruolo dell’Italia e ringraziato la “forza” del presidente del Consiglio. Lo stesso impegno riguarda i Balcani. “Abbiamo sostenuto l’allargamento ai Balcani prima di tutti gli altri”, ricorda Draghi. E aggiunge che la decisione del parlamento bulgaro di togliere il veto alla candidatura della Macedonia del Nord è frutto di questa coriacea insistenza. Al punto che, avverte il premier, “se ci fossero altri ostacoli vogliamo che l’Albania vada avanti da sola senza essere bloccata dalla Macedonia del Nord”.

Ulteriori ritardi nei confronti dei paesi balcanici da parte dell’Unione comporterebbero il rischio che questi stati, studi della lentezza dei processi decisionali comunitari, possano volgere lo sguardo verso Mosca. Uno scenario che l’Europa non può assolutamente permettersi. Ecco perché il presidente del consiglio italiano cerca di disegnare una Unione nuova, sempre più ispirata dall’impegno alla corresponsabilità, all’aiuto reciproco e alla cooperazione. Le prossime sfide – la capacità fiscale e la sovranità energetica – sono già nell’agenda dei prossimi mesi. E Mario Draghi sta già tessendo la sua tela. Le fibrillazioni nei partiti italiani sono ben poca roba al confronto.

Il premier archivia la scissione nei Cinquestelle: “Alla domanda se mi sento con il mandato di governo più forte o più debole, rispondo che mi sento con lo stesso mandato”. Nessun rimpasto all’orizzonte.


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