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Recep Tayyip Erdogan

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Recep Tayyip Erdogan non è esattamente il migliore alleato che il capo di governo di un paese democratico possa desiderare. Non lo è sicuramente per il presidente americano Joe Biden che ha impostato tutta la sua politica estera sull’unità delle democrazie liberali contro la minaccia delle autarchie orientali.

Ma la Casa Bianca deve per forza di cose appoggiarsi alla Turchia, membro della Nato, nell’auspicio che possa dare una mano nella stabilizzazione dell’area mediorientale e – chissà – nel tentativo ricondurre Vladimir Putin a più miti consigli, spingendolo a porre fine all’invasione e alla distruzione dell’Ucraina. Erdogan non è il migliore alleato nemmeno per Mario Draghi, il premier italiano che il 9 aprile 2021 lo definì esplicitamente “dittatore”.

Erano i giorni dell’umiliazione di Ursula von der Leyen, quando alla presidente della Commissione europea, in visita ad Ankara, venne negata una sedia accanto al presidente turco e al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. “Mi è dispiaciuto moltissimo per questa umiliazione”, disse quel giorno Draghi. Che poi condì la dichiarazione con una schiettezza inusitata per gli affari diplomatici: “Con questi dittatori – chiamiamoli per quello che sono, di cui però si ha bisogno – uno deve essere franco nell’esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società. E deve essere anche pronto a cooperare”, disse Draghi.

Nell’arco di questi 12 mesi, dopo l’irritazione inevitabile del governo turco, la nostra diplomazia ha abbondantemente ricucito i rapporti tra i due paesi. Soprattutto, negli ultimi quattro mesi e mezzo, è stata la follia espansionistica di Putin a rivalutare la necessità di ottimi rapporti con la Turchia, testa di ponte della Nato nel Mar Nero e nel Medio Oriente, paese cruciale nello scacchiere geopolitico dove si affacciano i due stati in conflitto. La necessità di cooperare ritorna di pressante attualità. Erdogan sarà pure un dittatore, ma utile per molte cause. Ecco perché il presidente del consiglio italiano esordisce in conferenza stampa definendo la Turchia “un amico, un partner e un alleato”.

Ed ecco perché si presenta ad Ankara con un nutrito manipolo di ministri: Giancarlo Giorgetti (sviluppo economico), Lorenzo Guerini (difesa), Luigi Di Maio (esteri), Luciana Lamorgese (interni), Roberto Cingolani (transizione ecologica). È il terzo vertice nella storia dei rapporti tra i governi di Italia e Turchia, primo degli ultimi dieci anni, l’ultimo si era tenuto nel 2012 a Roma. I rappresentanti dei due paesi firmano ben nove documenti d’intesa sui temi più disparati: la reciproca protezione delle informazioni classificate dell’industria della difesa, il riconoscimento delle patenti di guida, il sostegno alle imprese, lo sviluppo sostenibile, la collaborazione nel campo della protezione civile e della formazione dei diplomatici, le consultazioni tra i ministeri degli esteri.

Ma le questioni più rilevanti sono quelle geostrategiche, legate al conflitto russo-ucraino, alla crisi della Libia e all’immigrazione nel Mediterraneo.

Draghi ringrazia Erdogan per i numerosi tentativi di compiuti per aprire un negoziato tra Mosca e Kiev. E ricorda che l’Italia è impegnata nella ricerca della pace, a condizione che siano rispettate le legittime aspirazioni dell’Ucraina.

Ma si capisce che l’obiettivo che più sta a cuore al premier italiano è lo sblocco delle forniture di grano. ”Voglio ringraziare la Turchia per il suo sforzo di mediazione, in particolare per quanto riguarda lo sblocco dei cereali fermi nelle città del Mar Nero. Dobbiamo liberare al più presto queste forniture, e quelle di fertilizzanti, per evitare una catastrofe umanitaria e sociale nei Paesi più poveri del mondo”, avverte Draghi. E poi ricorda il piano messo in campo dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres per realizzare questo obiettivo, con la collaborazione di Ankara e Kiev. Secondo Draghi, che ne ha parlato giorni fa al vertice del G7, il piano di Guterres è “incoraggiante” perché “non c’è bisogno di sminare i porti” e può godere di “corridoi sicuri”. E in questa iniziativa delle Nazioni Unite, “la Turchia gioca un ruolo cruciale”. Poi arriva la stoccata a Putin. “Le tre parti – Nazioni Unite, Turchia e Ucraina – sono pronte a far uscire il grano dai porti ucraini. Garantiranno che non ci siano attacchi e che le navi non trasportino armi. Adesso manca il sì definitivo di Mosca”, chiarisce Draghi.

Erdogan conferma: “cerchiamo di essere uniti sotto l’ombrello nell’Onu” e “tra 10 giorni speriamo di arrivare a un risultato”. Questo passaggio per il premier è cruciale. È l’unica volta durante la conferenza stampa in cui riprende la parola subito dopo l’intervento del partner turco. Per dire che “un accordo tra Russia e Ucraina sul grano avrebbe un importantissimo valore strategico” perché “nel complesso degli sforzi per la pace sarebbe un primo atto di concordia, un primo tentativo di arrivare a un accordo per un fine che deve coinvolgerci tutti. Ne va della vita di milioni di persone nelle aree più povere del mondo”.

Con riguardo allo specifico dei rapporti di collaborazione tra Italia e Turchia, i due statisti manifestano accenti diversi. Il leader turco, preoccupato per le complicate condizioni economiche del suo paese, sottolinea non a caso la progressiva crescita dello scambio commerciale tra Italia e Turchia che da poco ha raggiunto la soglia dei 23 miliardi e che entro la fine dell’anno potrebbe raggiungere il tetto dei 25 miliardi di dollari. Erdogan, inoltre, ricorda che “l’Italia è un partner per noi importante nel campo dell’energia. Nei nostri incontri, abbiamo dato grande importanza ai nostri progetti e interessi comuni per la sicurezza energetica. Tra questi la nostra cooperazione per costruire un gasdotto sottomarino nella riserva di gas di Sakarya sul Mar Nero”.

Il premier italiano, dal canto suo, sottolinea lo sforzo di collaborazione sui fenomeni migratori e sulla stabilizzazione della Libia, questioni cruciali che hanno una ricaduta diretta sul governo dell’immigrazione nel nostro paese. Sul punto Draghi, da una parte, chiede che l’immigrazione sia “umana ed efficace”. Dall’altra però, ricorda che “l’Italia è un paese aperto”, ma che “ci sono dei limiti” all’immigrazione e “noi ci siamo arrivati”. In conclusione, il clima generale dell’appuntamento appare idilliaco. Ma non manca qualche punzecchiatura reciproca. Succede quando Erdogan sottolinea: “abbiamo parlato di terrorismo” e “abbiamo delle aspettative dall’Italia in questo campo, e infatti ne ho parlato con il primo ministro”. Un sottinteso ma evidente riferimento alla questione curda. Dal canto suo, Draghi ricorda al suo omologo le carenze della Turchia sul fronte dei diritti civili. “Nella nostra conversazione, abbiamo discusso anche dell’importanza del rispetto dei diritti umani. Ho incoraggiato il presidente Erdogan a rientrare nella Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne”, dice Draghi. Insomma, il presidente della Turchia sarà pure un dittatore utile, ma resta pur sempre un dittatore.


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