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La ritirata da Kherson dell’armata russa non segnala la pace ma più che altro l’esigenza di attestarsi su solide linee difensive per il lancio di nuove offensive quando arriveranno i rinforzi
Molti sperano che le ripetute vittorie riportate sul campo dagli ucraini, l’annuncio russo della ritirata da Kherson per attestarsi di là dal fiume, alcuni accenni di Joe Biden a contatti diretti tra Washington e Mosca nonché alla necessità di mostrarsi disponibili a un eventuale negoziato con la Russia, siano il segnale di una svolta politica e militare che potrebbe portare alla fine, o quanto meno a una sospensione della guerra in Ucraina.
Certamente tutto è possibile, tuttavia sarebbe anche bene non farsi troppe illusioni. Sino a ora Vladimir Putin non ha mostrato alcuna disponibilità a un negoziato serio, che non equivalga alla pura e semplice capitolazione dell’Ucraina. Né Volodimyr Zelensky potrebbe accettare, dopo quasi un anno di guerra ed enormi perdite umane e materiali, di regalare a Mosca più del 20% del proprio Paese. Ossia quello che Putin, la Duma e la Corte costituzionale russa hanno dichiarato essere ormai stato annesso alla Russia.
RITIRATA RUSSA E SPERANZE DI PACE: PUTIN PRIGIONIERO DELLA PROPRIA TRAPPOLA
In realtà Putin sembra aver voluto costruire una sorta di inespugnabile trappola in cui poi si è volontariamente rinchiuso: quasi come se avesse voluto bruciarsi alle spalle i ponti di una eventuale ritirata, rendendo impossibile ogni cedimento o compromesso. Probabilmente ha fatto questo più per ragioni interne che internazionali. Così facendo, infatti, egli ha in qualche modo reso l’intera Russia corresponsabile delle sue scelte sbagliate, così che nessuno potesse più scavalcarlo cambiando strategia e ricercando un effettivo, più realistico, compromesso con Kiev.
Ma così facendo egli ha anche reso difficilissima, forse impossibile, ogni trattativa che comporti il ritorno dell’Ucraina alla sua integrità territoriale, magari con degli accomodamenti minori delle frontiere e statuti di autonomia speciale per alcune regioni.
In effetti sembrerebbe ora che per ottenere un simile obiettivo non basterebbe neanche più la sostituzione di Putin, ma servirebbe un vero e proprio terremoto costituzionale in Russia. In tal modo Putin ha probabilmente consolidato la sua presa del potere al Cremlino, ma ha anche condannato la Russia (e l’Ucraina) alla continuazione della guerra.
Se tale analisi è esatta, come spiegare dunque i mutamenti citati all’inizio?
I CONTATTI USA-RUSSIA
È probabile che i contatti diretti tra Mosca e Washington siano essenzialmente di natura tecnico-militare, resi necessari da due esigenze: la necessità di gestire gli incidenti e gli sfioramenti tra le forze russe e quelle della Nato che avvengono in continuazione, soprattutto nel Baltico, ma anche negli altri quadranti europei, e la necessità di stabilire un canale preferenziale tra i vertici politico-militari per evitare fraintendimenti circa l’uso o la minaccia dell’uso di armi nucleari.
Questo tipo di contatti è esistito per moltissimi anni, sin dalla crisi dei missili a Cuba. Ma recentemente era stato smantellato da alcune improvvide decisioni del presidente Donald Trump: è una prova di serietà sia da parte americana che da parte russa il fatto che in qualche modo essi siano stati ristabiliti.
Ma non si tratta né di accordi di pace né di controllo degli armamenti o altro: si tratta, molto semplicemente, di accordi per la migliore gestione e il controllo di una pericolosa situazione conflittuale.
LA RITIRATA RUSSA NON È UN SEGNALE DI TRATTATIVE DI PACE
Non è dato sapere se esistano contatti politici o diplomatici di altro genere, che possano preludere a un effettivo avvio di negoziati, di pace o, quanto meno, di armistiziali. Tuttavia le indicazioni sul campo non sembrano affatto sostanziare una tale ipotesi.
Il ritiro russo da Kherson segnala più l’esigenza di attestarsi su più solide linee difensive, che potrebbero fra qualche settimana o mese, quando l’esercito russo sarà stato rifornito di nuove armi e avrà pienamente addestrato e integrato i coscritti che Vladimir Putin ha deciso di arruolare, servire per il lancio di nuove offensive, o per il consolidamento definitivo di una nuova frontiera della Russia sulle terre ucraine. Né, in questa situazione, Kiev ha alcun interesse o ragione per porre termine alla propria offensiva vittoriosa.
IL SALVAGENTE LANCIATO DA BIDEN
Bene ha fatto Joe Biden a ricordare che non necessariamente ogni guerra deve finire con l’annientamento dell’avversario, con la sua debellatio. Guerre limitate e geograficamente circoscritte come questa hanno una molto maggiore probabilità di concludersi con un negoziato.
Ci sarà pur sempre un vincitore e un vinto, perché è del tutto improbabile che si possa raggiungere un accordo che soddisfi pienamente ambedue, ma potrebbe essere possibile trovare il modo di evitare che la sconfitta si riveli troppo amara oppure che la vittoria sia troppo trionfale. Così facendo, il Presidente americano ha implicitamente chiarito quale sia il nostro obiettivo, come alleanza occidentale, nei confronti della Russia. Vedremo se e quando a Mosca qualcuno deciderà di rispondere a tono.
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