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Giorgia Meloni e Volodymyr Zelensky

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Che per l’Italia fosse un vertice in salita, si sapeva. Sull’’allentamento del regime degli aiuti di Stato come prima risposta all’Inflation Reduction Act di Biden e sulla gestione dei flussi migratori Giorgia Meloni era comunque pronta a dar battaglia per difendere gli interessi nazionali. Ma a renderla ancora più ripida è stato il rinsaldato asse Parigi-Berlino, “testato” prima con la missione dei rispettivi ministri dell’Economia, Bruno Le Maire e Robert Habeck, a Washington per provare a contenere le ripercussioni del pacchetto di sussidi da 370 miliardi messi in campo dalla Casa Bianca a sostegno delle imprese Usa di fronte all’inflazione e alla transizione green, e poi “certificato” con la cena organizzata dal premier Emmanuel Macron a Parigi con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e il cancelliere Olaf Scholz come unico altro ospite a tavola, con l’Italia, seconda potenza industriale in Europa (dopo la Germania)  e tra i principali sostenitori di Kiev, esclusa in entrambe le occasioni.

E sulle relazioni tra Roma e Parigi, che negli ultimi tempi sembravano volgere al sereno, è tornato il gelo.

Appena sbarcata a Bruxelles, Giorgia Meloni ha sferrato il suo affondo, “caricato” anche dalle stoccate in arrivo da Roma da parte delle opposizioni con l’accusa di essere responsabile dell’isolamento italiano. Ha sorvolato sulla missione americana – sull’affaire era già intervenuto il titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti: «Noi saremmo finiti a processo», la sua considerazione con alcuni giornalisti -, ma sul vertice a tre all’Eliseo non ha nascosto l’irritazione: «Quella del presidente francese è un’iniziativa inopportuna»: nessun giro di parole.

«Capisco le questioni di politica interna e la volontà di privilegiare le proprie opinioni pubbliche – ha aggiunto – ma ci sono momenti in cui privilegiare la propria opinione pubblica interna rischia di andare a discapito della causa e questo mi pare che fosse uno di quei casi. La nostra forza deve essere l’unità».

Altrettanto secca la risposta del premier francese, dopo un iniziale no comment. «Ho voluto ricevere il presidente Zelensky con il cancelliere Scholz, penso che eravamo nel nostro ruolo. La Germania e la Francia hanno un ruolo particolare da otto anni sulla questione» dell’Ucraina, «perché – ha spiegato – abbiamo anche condotto insieme questo processo». Poi la sua di stoccata: «Penso che stia anche a Zelensky scegliere il formato che vuole». Per il leader ucraino l’incontro di Parigi è stato «potente e importante», da cui arrivano «decisioni concrete» che non ha voluto rivelare. «Dico solo che lavoreremo per migliorare le nostre capacità difensive, con carri armati e artiglieria», ha affermato.

Meloni e Macron si sono scambiati un saluto fugace al momento della foto di famiglia del summit, con tutti i leader schierati e Zelensky in prima fila. Una stretta di mano e Meloni ha distolto subito lo sguardo. 

Con Zelensky il saluto è stato affettuoso. Era in programma un bilaterale che è saltato per il ritardo accumulato da Zelensky, tra la visita al Parlamento, conferenze stampa e colloqui informali. Nel pomeriggio i due si sono ritagliati una conversazione riservata, a margine dell’incontro di gruppo, assieme ai leader di Spagna, Polonia, Romania, Olanda e Svezia. Nel corso della lunga conversazione, Meloni ha confermato il sostegno italiano all’Ucraina contro l’aggressione russa. E il presidente Zelensky ha manifestato “la forte gratitudine per l’impegno di Roma”.

«Dirò a Zelensky che l’Italia continua a essere pienamente impegnata, la nostra contribuzione è a 360 gradi perché siamo consapevoli che il conflitto ci coinvolge tutti direttamente e che il modo migliore per costruire una azione di pace e di dialogo sia mantenere una situazione di equilibrio. Il sostegno all’Ucraina è anche il modo migliore per arrivare a una possibile trattativa e in ogni caso l’Italia continuerà a sostenere l’Ucraina oggi, e intende rimanere parte protagonista nella futura ricostruzione del Paese», aveva anticipato incontrando la stampa. Intanto si lavora all’organizzazione del viaggio a Kiev che la premier vorrei fare prima del 24 febbraio, l’anniversario dell’invasione russa.

Ad allontanare Italia e Francia ci sono anche le rispettive posizioni su l’allentamento del regime Ue sugli aiuti di Stato. E anche su questo punto Parigi fa squadra con Berlino, cui fanno capo oltre la metà delle misure approvate dall’Ue, come mostrano i dati elaborati dalla Commissione europea. La Germania ha messo in campo aiuti infatti per 356 miliardi, il 53% di quelli autorizzati da Bruxelles dallo scorso marzo, dopo lo scoppio del conflitto, pari a 673 miliardi. L’ampio spazio fiscale disponibile la rende la regina degli aiuti di Stato. E la Francia, con pari capacità, è al secondo posto con 162 miliardi (24%). Entrambe sono quindi favorevoli a un ulteriore allentamento delle regole che li governano. Terza, ma ben distante, l’Italia con 51 miliardi (7,6%): l’elevato indebitamento non consente ampi margini di manovra, limitando la possibilità di sostegno pubblico alle aziende. Per l’Italia «è importante immaginare un fondo sovrano (europeo) per sostenere le imprese e dare piena flessibilità ai fondi esistenti nel momento in cui alcuni (stati) che hanno uno spazio fiscale (di bilancio) superiore ad altri chiedono un allentamento delle norme sugli aiuti di Stato» alle imprese, ha sostenuto Meloni.

«Mi aspetto che le legittime aspirazioni delle singole nazioni non vadano a scapito delle altre e si possa trovare un equilibrio – ha affermato – da parte nostra abbiamo bisogno di difendere la competitività del nostro sistema non solo perché gli Usa hanno fatto l’Inflation Reduction Act, ma anche perché occorre discutere le scelte fatte in materia di catene di approvvigionamento il cui controllo è importante per la competitività del sistema produttivo senza creare disparità nel mercato unico».

Il nuovo piano industriale anti-Ira confezionato dalla Commissione europea sembrerebbe tenere insieme le diverse istanze: una deregulation delle norme sugli aiuti di Stato per i settori verdi, risorse dirottate – la flessibilità invocata da Meloni -, e possibili nuovi fondi da valutare sul medio termine.

Un quadro normativo semplice per sussidi pubblici fino al 2025, con un’avvertenza al rischio di frammentazione del mercato unico: dovranno essere circoscritti ai settori verdi (su tutti, pannelli solari, batterie, turbine eoliche o pompe di calore), ma anche agevolazioni e aiuti diretti alle aziende sul modello di quelli offerti dagli americani. E i sussidi potranno essere anche economicamente “corrispondenti”, andando cioè a toccare le stesse cifre offerte da Usa, Cina o altri Paesi terzi, per scongiurare il rischio di delocalizzazione. La Ue poi prevede di dirottare sull’industria i fondi ancora disponibili tra Recovery Fund e RePowerEu (250 miliardi nel complesso, 100 miliardi dalla politica di coesione, oltre alle risorse stanziate nei fondi InvestEu e per l’Innovazione). Mentre entro l’estate la Commissione dovrà presentare una proposta più strutturale per accompagnare le imprese nella transizione green, il fondo sovrano annunciato da Ursula von der Leyen che però potrebbe essere operativo solo a fine anno. Mentre sembra archiviata l’ipotesi di un nuovo indebitamento comune.


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