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Il vicecancelliere tedesco e ministro dell’Economia, Robert Habeck

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Il nuovo Patto di stabilità non prevede deroghe: la Germania è adesso paradossalmente vittima della propria mancanza di flessibilità

IL VERTICE di ieri a Berlino tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Olaf Scholz segna senza dubbio un importante salto di qualità istituzionale nei rapporti bilaterali. Per un salto di qualità più sostanziale bisognerà però attendere l’esito del negoziato europeo sulla riforma del Patto di Stabilità, la cui sospensione scade il 31 dicembre prossimo. In mancanza di un compromesso sulle regole un po’ più elastiche presentate dalla Commissione, torneranno in vigore le vecchie regole che erano state sospese per fronteggiare un doppio shock: quello pandemico e quello energetico, quest’ultimo innescato dall’invasione russa dell’Ucraina.

IL BUCO DELLA GERMANIA DA 60 MILIARDI

Il tema è stato senza dubbio ampiamente discusso dai due leader al bilaterale di ieri. Ed è importante che le posizioni dei due in qualche modo si avvicinino. L’Italia, la cui Finanziaria è stata “vistata” con riserva dalla Commissione europea, continua a volere lo scomputo di alcune tipologie di investimento (green, digitale e Difesa) dal calcolo del deficit. Berlino finora non ha dato segno di cedimenti in proposito, anzi: al suo ministro delle Finanze, Christian Lindner, le proposte della Commissione (l’indicatore di riferimento diventerebbe la spesa netta, cioè senza il calcolo degli interessi sul debito e le voci eccezionali dovute a shock esterni) paiono troppo lasche. Almeno sulla carta, però, anche la Germania potrebbe avere bisogno di un po’ più di flessibilità. Soprattutto da quando, la settimana scorsa, con una clamorosa sentenza la Corte costituzionale ha bloccato i 60 miliardi destinati a finanziare il Fondo per il clima, quindi gli investimenti nella transizione energetica, nei prossimi tre anni.

Una decisione simile era nell’aria, perché ormai da anni Berlino fa un uso disinvolto dei cosiddetti fondi fuori bilancio e la cui spesa non incide sul calcolo finale dei conti pubblici a livello federale. Le critiche in proposito erano arrivare dalla Corte dei conti, dalla Bundesbank e dall’Ocse. I 60 miliardi, risorse non spese nell’ambito dei prestiti d’emergenza predisposti durante la crisi pandemica, erano stato dirottati dalla coalizione formata da Spd, Verdi e Liberali in questo fondo speciale che è, assieme a decine di altri utilizzati sia a livello federale sia di Laender, un vero veicolo finanziario di scopo. La Corte di Karlsruhe ha stabilito che lo spostamento di queste risorse contravviene alle regole costituzionali sull’indebitamento e sul deficit. Si è quindi creato un buco di 60 miliardi nel bilancio tedesco e un ulteriore buco nella già difficile coesione tra i partner di governo.

IL RIDIMENSIONAMENTO DELLA GERMANIA

La decisione dei giudici rappresenta un drastico ridimensionamento delle politiche di decarbonizzazione volute dal ministro dell’Economia e dell’Ambiente, nonché vicecancelliere, il Verde Robert Habeck, in contrasto sempre più aperto con il collega delle Finanze, il liberale Lindner, favorevole a una tradizionale ortodossia di bilancio. Buchi a parte, in Germania è almeno nato un dibattito interessante sull’utilità del freno costituzionale al debito che il Paese introdusse nel 2009 in seguito alla crisi finanziaria globale. Rispetto a quel lontano passato, l’Europa si è impegnata in un programma di decarbonizzazione che appare estremamente ambizioso e che richiede l’azione congiunta di investimenti comunitari e dei singoli Stati. Il nuovo Patto di Stabilità, così come è stato concepito dalla Commissione, non prevede delle deroghe particolari.

Alla Germania serve flessibilità, paradossalmente, perché è stata vittima dei suoi stessi paletti interni nel momento in cui è entrata n recessione e la sua base industrial-manifatturiera si sta riconvertendo a fatica. A ciò si deve aggiungere il fatto che negli ultimi vent’anni gli investimenti pubblici nelle infrastrutture (strade, autostrade, ferrovie, ma anche banda larga funzionale alla digitalizzazione) sono stati pesantemente deficitari.

GERMANIA SULLE ORME DI ROMA E DELLA FLESSIBILITA’

Non è escluso che altri fondi “fuori bilancio” – ve ne sono in tutto 29 solamente a livello federale, per una cifra complessiva di 870 miliardi di euro – possano subire il veto della Corte di Karlsruhe. Di sicuro, il loro utilizzo sarà sempre meno incentivato. Forse, allora, converrà alla Germania avere un atteggiamento più orientato alla flessibilità nei confronti della riforma del Patto. Prima era meno interessata perché i vincoli interni all’indebitamento potevano essere tranquillamente superati con la creazione dei veicoli finanziari di scopo. Ora che la creatività contabile sembra avere i giorni contati, forse a certe condizioni potrebbe esserle utile il famoso scomputo di alcuni investimenti tanto caro all’Italia (e alla Francia).

Il Fondo per il clima e la trasformazione (Ktf secondo l’acronimo tedesco), la vittima illustre della Corte costituzionale, era diventato anch’esso una sorta di coltellino svizzero multiuso. Finanziava la transizione green, ma anche la produzione di microchip sul territorio tedesco. Proprio da lì provenivano i sussidi che hanno convinto Intel e Tsmc a investire in Germania. Nonostante sia in difficoltà e il suo partito, la Spd, sia a bassi livelli di popolarità, il pragmatismo che Scholz mostrò come ministro delle Finanze durante la crisi pandemica e la creazione del Recovery Fund, potrebbero fare la differenza. Non è scontato, ma una possibilità residua.


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