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La notte è lunga dalle parti di Bruxelles. All’Hotel Amigo, nelle ore precedenti al Consiglio europeo, si ritrovano allo stesso tavolo prima Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron. E poi si siede anche Olaf Scholz. Notte di trattativa. Notte in cui i tre passano in rassegna una serie di dossier: la riforma del Patto di Stabilità, il bilancio pluriennale, l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europeo.

«È stata un’ottima discussione» ha spiegato Macron che ha giocato la parte del mediatore tra Italia e Germania, perché le due compagini sono su fronti opposte sul Patto Stabilità: i tedeschi schierati con i paesi frugali, mentre l’esecutivo Meloni chiede che la Ue metta a disposizione più risorse su migrazione e innovazione dell’industria, oltre che per il supporto all’Ucraina.

Se la notte si conclude su queste note, il mattino successivo si apre con il dispaccio firmato Palazzo Chigi in cui si dice che il governo Meloni sta lavorando a organizzare un bilaterale tra l’Italia e l’Ungheria di Orban a margine del Consiglio europeo. Meloni si dice convinta di convincere il premier ungherese.

Eppure prima del faccia a faccia tra l’inquilina di Palazzo Chigi e il premier ungherese, ce n’è un altro che fa discutere: il cancelliere tedesco e il presidente francese hanno un confronto con Orban, cui prendono parte anche il presidente del consiglio Ue Charles Michel e la presidente della commissione Ursula von der Layen. Italia esclusa? «E perché?» si domandano a più livelli nelle stanze del Consiglio europeo. Perché – sussurrano in tanti – «Macron e Scholz sarebbero i garanti della proposta di von der Layen e Michel» cosi da assicurare più risorse a Budapest in cambio dell’ingresso dell’Ucraina in Europa. Tuttavia sembra strano che non ci sia la premier italiana, in virtù del forte legame con Orban.

Si sprecano i retroscena. C’è chi sostiene a bassa voce che non ci sia nulla di strano e che Meloni avrebbe concordato tutto con Macron e Scholz. E c’è chi rilancia invece che Meloni sarebbe stata esclusa proprio perché assai vicina a Orban. Fatto sta che l’inquilina di Palazzo Chigi vedrà Orban dopo la conclusione del vertice ristretto. Orban, nel frattempo, chiude la porta a qualsiasi allargamento.

Il confronto tra Macron, Scholz, Orban von der Layen e Michel viene descritto molto teso. Anche perché Budapest non fa altro che ribadire la sua posizione: «L’allargamento non è una questione teorica, è un processo basato sul merito, giuridicamente dettagliato, che ha delle pre condizioni, ce ne sono sette per l’Ucraina e anche nella valutazione della Commissione europea tre su sette non sono state raggiunte, per cui non c’è motivo per negoziarla».

Antonio Tajani che si trova a Bruxelles per un pre vertice con il Ppe esterna la posizione italiana sul Patto di Stabilità. Non è una chiusura ma non è certo un’apertura: «Noi non siamo pregiudizialmente contro la riforma del Patto di stabilità al centro dei negoziati in Ue, ma vogliamo che ci sia equilibrio». E sempre il ministro degli Esteri italiano mette in chiaro quanto l’Italia sia favorevole ad aprire la porta della Ue all’Ucraina di Zelensky: «Guardiamo ai Balcani con grande attenzione perché sono Paesi con i quali abbiamo rapporti antichi e per i quali siamo sempre impegnati ma le due prospettive non sono alternative o in contrasto, ha spiegato il vicepremier. Si tratta di ricongiungere l’Europa a Paesi che sono europei e avviare con l’Ucraina un percorso che con i tempi dovuti la porterà a far parte dell’Unione europea».

Ed è la ragione per cui Tajani rivolge un appello a Orban: «Mi auguro che l’Ungheria si renda conto che è importante trovare unità all’interno dell’Ue e permettere all’Ucraina di avviare un negoziato” di adesione “durante il quale dovrà dimostrare di aver compiuto e di compiere passi in avanti».

E sempre sulla questione interviene Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo e dirigente di peso del Ppe: «Dobbiamo mostrare la nostra unità come lo abbiamo fatto finora, sull’allargamento la situazione è di win-win. Discuteremo anche dei fondi comunitari. Dobbiamo essere realistici, non vedo che differenze incolmabili, l’unità è la parola chiave. Sui migranti il nuovo patto è vicino. Siamo d’accordo su oltre il 90%. Non possiamo arrivare alle Europee senza un accordo, non possiamo permettercelo».

Tutto questo non basta a convincere Orban che arriva ad accusare la Ue di usare «dei doppi standard» nei confronti dell’Ucraina, da un lato e dei Balcani occidentali dall’altra. Per Budapest, inoltre, l’inclusione del pacchetto di aiuti per Kiev nel bilancio comunitario rappresenta una “linea rossa” che può essere superata solo dopo le elezioni europee, quando sarà insediata una nuova Commissione europea. Fino ad allora, secondo Budapest, se l’Ue vuole garantire un sostegno maggiore, dovrà farlo attraverso un fondo ad hoc fuori dal bilancio.

Tutto questo complica la trattativa e complica altresì la posizione dell’Italia, un Paese che è tra i fondatori dell’Europa ma oggi guidato da una leader di destra vicinissima a Orban. A un certo punto della giornata il confronto tra i leader Ue sulla revisione del bilancio 2021-2027, che dovrebbe assicurare risorse nuove per l’Ucraina e le maggiori sfide europee come la migrazione e l’innovazione, viene sospeso.

Il compromesso messo sul tavolo dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, per trovare una sintesi tra la proposta iniziale dalla Commissione europea e il ‘no’ dei frugali a risorse extra (salvaguardando quelle per l’Ucraina), troverebbe il favore dei Ventisette che tuttavia, spiegano fonti europee, devono ancora concordare «pochi aggiustamenti e dettagli». E a sera, nonostante le resistenze di Orban, il presidente Charles Michel annuncia che «il Consiglio europeo ha deciso di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldavia». I negoziati possono avere inizio. Fonti qualificati assicurano che all’interno del Consiglio Ue «nessuno ha obiettato».

Zelensky esulta: «Questa è una vittoria per l’Ucraina. Una vittoria per tutta l’Europa. Una vittoria che motiva, ispira e rafforza». E in fondo esulta anche Meloni che tira un profondo sospiro di sollievo. “Si tratta di un risultato di rilevante valore per l’Unione Europea e per l’Italia, giunto in esito a un negoziato complesso in cui la nostra Nazione ha giocato un ruolo di primo piano nel sostenere attivamente sia Paesi del Trio orientale sia la Bosnia Erzegovina e i Paesi dei Balcani occidentali”.


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