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Nasce la missione Aspides, una operazione navale nel Mar Rosso dell’Unione europea su proposta di Italia, Francia e Germania

NON si può certo dire che l’Oceano Indiano, il Golfo Persico e il Mar Rosso non siano ampiamente all’ordine del giorno di tutte le forze navali mondiali. Sicurezza della navigazione, lotta alla pirateria, contrasto al terrorismo, protezione contro i tentativi di chi, da terra, vorrebbe intralciare il libero transito di persone e merci, repressione del contrabbando di armi, e chi più ne ha, più ne metta. È quanto meno dal 2002 che è stata costituita una Combined Maritime Force, multinazionale, a integrazione e parziale sostituzione di una preesistente missione navale statunitense, per la protezione del Golfo e delle acque circostanti.

Ora dovrebbe aggiungersi alla lista Aspides, una missione dell’Unione Europea, che nasce su iniziativa di Francia, Germania e Italia, con il compito di aggregare anche la cooperazione di altri paesi della regione, per proteggere il traffico attraverso lo stretto di Bab el Mandeb, minacciato dalle milizie yemenite degli Houti (a loro volta armati e ispirati dall’Iran). In qualche misura Aspides dovrebbe operare in sintonia con un’altra missione navale europea, Agenor, creata nel 2020 per proteggere il traffico nello stretto Hormuz, tra il Golfo e l’Oceano Indiano, che ha poi esteso la sua attenzione a tutto il traffico nel Golfo, in stretta cooperazione con i paesi arabi rivieraschi. Già oggi Agenor si preoccupa della sicurezza della navigazione in quel tratto di Oceano Indiano che da Hormuz bagna le coste dell’Oman, sino allo Yemen.

Ora la missione Aspides dovrebbe allungare la linea di sorveglianza estendendola a tutto il Mar Rosso. Così facendo essa si troverà a collaborare con la missione europea Atalanta, che dal 2008 opera a contrasto della pirateria somala, in quelle stesse acque, con la missione a guida angloamericana Prosperity Guardian, appena costituita, che opera attivamente contro gli attacchi degli Houti e con le varie Combined Task Forces della già citata Combined Maritime Force: la 150, stabilita dopo gli attacchi dell’11 settembre, la 151 istituita nel 2009 e così via sino alla recentissima CTF 153 del 2022.

L’Italia già partecipa o collabora in vario modo a tutte queste missioni, anche grazie alla base logistica interforze Amedeo Guillet, operativa a Gibuti sin dal 2014 è utilizzata sia per la lotta alla pirateria e al terrorismo che per operazioni di emergenza (come l’evacuazione degli italiani dal Sudan in guerra) sia infine per favorire la cooperazione ad esempio addestrando le forze di polizia di Gibuti e della Somalia. Un panorama molto articolato dunque, che vede l’incrociarsi degli interessi sia di tutti i paesi della regione che di tutti quelli, dal Giappone alla Cina, che hanno interesse a difendere la libertà di navigazione. Ciò non esclude diversità di approcci o di punti di vista. Ad un primo sguardo, ad esempio, Aspides sembrerebbe puntare ad un approccio più difensivo e diplomatico di quanto non faccia Prosperity Guardian, che ha già condotto alcuni attacchi preventivi contro istallazioni missilistiche e di droni degli Houti, che minacciavano il transito attraverso Bab el Mandeb. Ma questo non toglie che anche Aspides preveda la possibilità di usare la forza.

È probabile che il diverso approccio voglia in primo luogo testare la disponibilità dell’Iran a ridurre la sua propensione all’uso della forza “by proxy”, cioè spedendo in prima linea, quale sacrificabile carne da cannone, i suoi “protetti”, dagli Houti appunto sino ad Hezbollah o ad Hamas. Ma è probabile che se il tentativo dovesse rivelarsi infruttuoso, gli europei saranno costretti a rivedere anch’essi i loro criteri operativi. Una cosa comunque va sottolineata: tutto questo conferma l’esistenza di una forte predisposizione europea a giocare un ruolo più significativo per garantire la sicurezza internazionale. Molte delle incertezze, ambiguità e debolezze che hanno accompagnato le scelte europee in questi anni, più che il portato di scelte politiche sono state la conseguenza delle debolezze istituzionali di un sistema europeo che ha ancora difficoltà a prendere rapidamente decisioni difficili. Ma ne siamo sempre più consapevoli.


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