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Giugno è stato un mese da primato per l’occupazione italiana. Da record per il tasso di occupazione che ha raggiunto il 60,1%, la soglia più alta dal 1977, ovvero l’anno che ha inaugurato le serie storiche. Straordinario per il numero di contratti a tempo indeterminato registrati in un solo mese: +116mila. E sono proprio posti di lavoro “permanenti” che questa volta spingono l’aumento su base mensile che – considerata la leggera flessione dei dipendenti a termine (-3mila) e il più sostenuto calo degli autonomi (-27mila) – che porta a segnare 86mila posti di lavoro in più rispetto a maggio. Ed è buono anche il contributo al boom di giugno 2022, che ne guadagna 400mila in più rispetto allo stesso mese del 2021.

Numeri che “corroborano” le stime preliminari dell’Istituto che vedono l’accelerata del Pil – +0,1% la crescita del secondo trimestre rispetto al primo, +4,6% su base annua – che significa una crescita acquisita del 3,4% nel 2022). A smorzare un po’ gli entusiasmi arriva il rapporto degli ispettori del Fondo monetario internazionale al termine della missione annuale nel nostro Paese, secondo cui la crescita italiana rallenterà “bruscamente” nel 2022 – rispetto al 6,6% del 2021 – e resterà contenuta a causa delle condizioni di contesto, ovvero guerra in Ucraina, inflazione, caro energia, inasprimento della politica monetaria, colli di bottiglia nella catene di approvvigionamento: l’economia italiana, è la previsione, si espanderà del 3% nel 2022, soprattutto grazie al forte riporto dall’anno precedente, con un rallentamento a circa +0,7% della crescita del Pil nel 2023.

L’inflazione media annua toccherà il picco del 6,7% nel 2022, per poi scendere gradualmente negli anni successivi quando, con i prezzi dell’energia in calo, dovrebbe verificarsi anche un rafforzamento della crescita, sostenuta dalla spesa pubblica nell’ambito del Pnrr. Intanto anche il rapporto Fmi “certifica” come l’occupazione e la partecipazione alla forza italiana “si siano pienamente riprese”. I dati Istat relativi a giugno registrano la crescita del numero degli occupati e il calo dei disoccupati e degli inattivi.

Rispetto a maggio il numero dei posti di lavoro segna + 86mila unità (+0,4%), grazie alla crescita dei dipendenti “permanenti” (+116mila) – a fronte di una lieve calo dei contratti a termine (- 3mila) e più pesante degli autonomi (-27mila) – tornando a superare nuovamente i 23milioni. Un incremento che riguarda sia gli uomini sia le donne e tutte le fasce d’età, eccezion fatta per la fascia 35-49 anni tra i quali diminuisce. Il tasso di occupazione sale al livello record di 60,1% (+0,2 punti), il tasso di disoccupazione è stabile all’8,1% mentre sale al 23,1% tra i giovani (+1,7 punti). Rispetto al primo trimestre dell’anno, si registra un aumento del livello di occupazione pari allo 0,4%, per un totale di 90mila occupati in più. Nel confronto con lo stesso mese del 2021 l’incremento è di oltre 400mila occupati (+1,8%), e a spingere sono i “dipendenti” che arrivano a 18,1 milioni, il valore più alto dal 1977 dall’inizio delle serie storiche, si sottolinea nella nota di commento. Cresce il lavoro a tempo indeterminato (+1,3%), ma soprattutto a pesare è soprattutto quello a termine (+7,1%), stabili gli autonomi. Numeri accolti con un cauto ottimismo tanto dai sindacati quanto dalle associazioni di categoria.

A pesare è il contesto politico, con la crisi di governo che ha aperto i giochi elettorali, e la situazione internazionale. Insiste sul primo la Cisl chiedendo “al governo e al Parlamento uscenti di assicurare continuità nella gestione dell’emergenza e ai partiti in campagna elettorale di mettere al primo posto una seria agenda sociale”. Sulla stessa linea Ivana Veronese, segretaria confederale Uil, che di fronte “alle incertezze e turbolenze dei prossimi mesi”, chiama a un impegno comune “perché la ripresa sia costruita con lavoro stabile, a tempo pieno, con il pieno coinvolgimento di donne e giovani”.

“La crescita degli occupati a giugno conferma la vivacità del Pil del secondo trimestre dell’anno”, sottolinea l’Ufficio Studi di Confcommercio, evidenziando comunque la debolezza dell’occupazione indipendente (-27mila unità su maggio) i timori che “le fragilità prospettiche dello scenario internazionale che si rifletteranno in un forte rallentamento dell’attività economica e dei consumi nella seconda parte dell’anno”. Confesercenti sollecita il prolungamento delle misure fiscali volte a contenere la trasmissione dei prezzi internazionali sui prezzi nazionali: “Bisogna fare il possibile per fermare l’inflazione, concretizzando rapidamente i sostegni alle famiglie e alle imprese già annunciati”.

L’incertezza che avvolge i prossimi mesi, legata alla politica interna e alla situazione internazionale “spiega” le valutazioni del Fondo monetario internazionale. Che intanto mette nero su bianco il “vigoroso” rimbalzo del prodotto rispetto al forte calo legato al Covid, la piena ripresa dell’occupazione, e il rafforzamento delle banche. Ed elogia “l’efficace risposta politica alla pandemia delle autorità italiane, che ha consentito una ripresa robusta e completa”. Ma – si avverte – l’economia italiana “si trova ad affrontare nuove sfide importanti”.

A rendere l’orizzonte più fosco è la guerra in Ucraina, con le strozzature nelle catene di fornitura globali che spingono in alto i prezzi dell’energia e l’inflazione, e aggravano la carenza di materie prime. A questo si aggiunge l’emergenza siccità che affligge il Nord del Paese e che metterà sotto pressione i prezzi del cibo. La sicurezza energetica, poi, si sottolinea “è una priorità”: un eventuale blocco delle importazioni del gas da Mosca “potrebbe ridurre significativamente la produzione quest’anno e il prossimo rispetto alle stime di base”. C’è poi l’aumento dello spread Btp-Bund provocato dall’inasprimento della politica monetaria e dell’incertezza politica, in un contesto di indebolimento delle prospettive globali. Il rilancio della crescita tendenziale diventa quindi più che mai “essenziale” per rafforzare le finanze pubbliche per raggiungere gli obiettivi sociali e climatici in primis, “moderando al contempo l’elevato debito pubblico”.


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