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UN TASSELLO importante si aggiunge al quadro generale del sistema produttivo in Italia: la crescita dell’occupazione, in un momento segnato da forti contrasti sociali e politici per la cancellazione del reddito di cittadinanza, rappresenta un elemento che potrebbe contribuire a rasserenare il clima nel Paese. L’incremento rilevato dall’Istat, relativo a giugno, ha evidenziato un consolidamento del trend positivo.

L’occupazione in Italia è cresciuta rispetto a maggio dello 0,3% con 82mila unità in più e ha interessato uomini, donne e dipendenti con l’eccezione degli autonomi. Contestualmente si sono ridotti i disoccupati e gli inattivi: il tasso di disoccupazione è calato al 7,4% (21,3% per i giovani), al 33,5% quello di inattività. L’aumento è stato riscontrato anche nel secondo trimestre rispetto al primo. Ancora più evidente l’andamento favorevole sull’anno scorso. Rispetto a giugno 2022, infatti, l’occupazione in Italia si è “rafforzata” con 385mila unità in più segnando un incremento dell’1,7% che ha interessato uomini, donne, dipendenti e autonomi. Il tasso di occupazione ha segnato +1,1%, sono calate di 178mila unità le persone in cerca di lavoro (-8,7%), così come gli inattivi compresi nella fascia di età tra 15 e 64 anni (-2,2%, pari a -280mila unità).

Nel commento l’Istituto di Statistica ha sottolineato come sia proseguita la crescita e gli occupati abbiano così raggiunto quota 23 milioni e 590mila. E un altro dato rilevante è il consolidamento del “posto fisso”. Più lavoratori dunque e sempre meno precari. Ci sono infatti sempre più dipendenti permanenti e autonomi che hanno compensato la flessione dei lavoratori a termine. A giugno inoltre non sono emersi scostamenti tra la situazione lavorativa degli uomini e delle donne. La variazione congiunturale infatti è quasi allineata (+0,3% per gli uomini e +0,2% per le donne), un po’ meno su base tendenziale: rispetto al 2022 +1,3% per gli uomini e +0,9% per le donne. Si tratta complessivamente di performance positive per il mercato del lavoro, come ha commentato Confcommercio sottolineando che si è trattato dell’aumento più elevato del semestre. Un recupero – ha notato l’organizzazione – associato alla contrazione del Pil. Una (apparente) contraddizione che secondo Confcommercio può essere spiegata dal fatto che “le imprese, sulla scorta di un primo trimestre particolarmente positivo e di un sentiment a medio termine ancora favorevole, abbiano programmato di espandere i propri livelli occupazionali, soprattutto nei comparti dei servizi, il cui valore aggiunto ha registrato un lieve aumento nel periodo aprile-giugno rispetto al trimestre precedente”.

Viene evidenziato però un elemento di fragilità nel calo sul mese precedente degli autonomi e nella crescita “gravemente stentata” rispetto a un anno prima. Resta il fatto che i numeri sull’occupazione in Italia stiano premiando il mercato del lavoro. Che addirittura potrebbe dare ulteriori soddisfazioni se riuscisse a recuperare i lavoratori in nero. Un recente studio della Cgia di Mestre (che ha escluso però lavoratori agricoli e domestici) ha rilevato che ci sono ancora troppe sacche di “irregolari” soprattutto nel Mezzogiorno. E si tratta dunque di ore lavorate irregolarmente che restano fuori dalle statistiche ufficiali. E che restituiscono un’immagine non corretta del Sud dove probabilmente, secondo la Cgia, si lavora anche di più che in altre aree del Paese, “purtroppo lo si fa in nero”. E il risultato è che in base alle statistiche ufficiali risulta che i dipendenti del Nord lavorano due mesi in più all’anno di quelli del Sud. Inoltre l’irregolarità contribuirebbe a tenere basse le retribuzioni degli occupati “in chiaro” per effetto della concorrenza sleale praticata dalle realtà completamente o in parte sconosciute al fisco e all’Inps.

Secondo i calcoli fatti nel 2021 la retribuzione media giornaliera lorda si è attestata al Nord attorno a 100 euro, 75 nelle aree meridionali, con una paga giornaliera più elevata del 34%. Per l’ufficio studi della Cgia quindi il vero problema è la diffusione del sommerso che “rende l’occupazione del Mezzogiorno fragile e povera”. Ora poi nel Sud il mondo del lavoro è alle prese con un’altra emergenza, il caldo. Dopo alcuni drammatici casi di morti sul lavoro per le altissime temperature il Governo ha varato un decreto, in vigore dal 29 luglio scorso, finalizzato a tutelare i lavoratori più esposti al clima rovente e cioè quelli dell’edilizia e dell’agricoltura. Si tratta di integrazioni salariali, proroghe dei versamenti contributivi e “istruzioni” per garantire salute e sicurezza. Il decreto legge 98 del 28 luglio prevede infatti che i ministeri del Lavoro e delle Politiche sociali e della Salute favoriscano la sottoscrizione di intese tra organizzazioni datoriali e sindacati per l’adozione di linee guida e procedure concordate come previsto dal decreto legislativo n.81 del 2008 finalizzato alla messa in campo di interventi da adottare per tutelare l’incolumità e la salute dei lavoratori. D’altra parte, soprattutto per il settore agricolo, questa è un fase intensa di attività tra lavorazioni in campo e raccolte.

Oggi, per esempio parte la raccolta del pomodoro. Coldiretti ha apprezzato l’impegno del Governo a garantire condizioni di lavoro compatibili con le alte temperature consentendo l’accesso alla cassa integrazione per l’edilizia e la Cisoa per gli operai agricoli a tempo indeterminato come pure la deroga ai 90 giorni annui di utilizzo. Ma per l’organizzazione agricole è importante anche prevedere interventi che garantiscano i lavoratori, ma non blocchino la produzione. In questo periodo per le operazioni in campagna, secondo Coldiretti, è impegnato mezzo milione di persone, dalla raccolta della frutta e verdura, mentre è alle porte la vendemmia. Per questo l’organizzazione agricola ha chiesto che vengano sostenuti “gli accordi tra le parti sociali per adottare strategie ad-hoc, dall’utilizzo dei dispositivi di protezione allo stop alla raccolta nelle ore più calde fino al lavoro notturno”. Si tratta di misure adottate in molte realtà dove per esempio in deroga al contratto collettivo si prevede una distribuzione diversa dell’orario di giornaliero anticipando (prima delle ore 6) e posticipando (dopo le ore 22) l’inizio e il termine della prestazione lavorativa considerando l’intero orario come ordinario. Si tratta di misure necessarie anche perché il decreto del Governo riguarda solo l’occupazione in Italia a tempo indeterminato, mentre sia nell’edilizia che nell’agricoltura la maggiore parte degli addetti è a tempo, con la presenza numerosa di stagionali. I campi poi non si possono “chiudere” per ferie come pure non è applicabile al settore lo smart working .

L’attività non può essere fermata anche perché occorre garantire forniture alimentare ai cittadini, salvare i prodotti deperibili anche per combattere il caro prezzi che continua a picchiare duro proprio sul fronte degli alimentari freschi(ortofrutta), ma nello stesso tempo bisogna tutelare i lavoratori. Per evitare i colpi di calori di un’attività all’aperto, lavorare nelle ore in cui il sole non picchia è l’unica alternativa. Sempre che non arrivi il brusco cambio di temperature previsto dai meteorologi.


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