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Mario Draghi, presidente del Consiglio

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DOPO aver visitato le macerie (vere e tragiche) di Irpin la settimana scorsa, ieri Mario Draghi si è presentato al Senato per le comunicazioni sul Consiglio europeo del 23-24 giugno. In aula ha trovato altre macerie: quelle (simboliche e tragicomiche) del M5s. Ai critici grillini, la relazione del premier sulla strategia italiana (ed europea) sull’Ucraina non ha concesso nulla. Al quarto mese dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, la strada è segnata. E non ammette deviazioni. «La strategia dell’Italia in accordo con l’Ue e con gli alleati del G7 si muove su due fronti: sosteniamo l’Ucraina e imponiamo sanzioni alla Russia perché Mosca cessi le ostilità e accetti di sedersi davvero al tavolo dei negoziati», ripete Draghi. E la recente visita a Kiev con Scholz, Macron e Iohannis è servita «per testimoniare di persona che i nostri Paesi e l’Unione sono determinati ad aiutare un popolo europeo nella sua lotta a difesa della sua democrazia e della sua libertà».

La pace resta sullo sfondo, ma una cosa è chiara da tempo nella visione del premier: «Solo una pace concordata e non subita può essere davvero duratura. La sottomissione violenta e la repressione di un popolo per mano di un esercito, non portano alla pace ma al prolungamento del conflitto». Poi infila la stoccata che chiude le chiacchiere di questi giorni: «Il governo italiano intende continuare a sostenere l’Ucraina così come questo Parlamento ci ha dato mandato di fare».

Non ci sono spazi per i malpancismi filorussi, né per le lamentele dei cacadubbi antioccidentali. Men che meno è il momento di fare storie sulla fornitura di armi – parola che il capo del governo nemmeno cita – indispensabili per garantire la resistenza di Kiev e la pari dignità al tavolo dei negoziati. Sempre che la Russia ne abbia voglia. Ma, nonostante i bombardamenti ancora in corso, si pensa già alla ricostruzione: tema che da qualche tempo sta scalando l’ordine delle priorità nell’agenda del dopoguerra. «Il nostro sostegno a favore di Kiev è anche un impegno alla ricostruzione del Paese… le conclusioni del prossimo Consiglio riaffermeranno questo impegno», annuncia Draghi. La ricostruzione è una roba seria. Non solo per le dimensioni economiche, ma anche per la responsabilità politica. Nel secolo scorso fu l’America a sobbarcarsi l’impegno di far ripartire i Paesi europei, Italia compresa, dopo la seconda guerra mondiale. Oggi sarà compito dell’Europa – Italia compresa – fare lo stesso con l’Ucraina. «Non è un’impresa che possono affrontare i singoli Stati. Lo sforzo deve essere collettivo e coinvolgere anche gli organismi internazionali e le banche di sviluppo, la Banca mondiale e il Fondo monetario primi tra tutti. Vogliamo ricostruire per ridare una casa alle famiglie che l’hanno persa, per riportare i bambini nelle scuole, per aiutare la ripresa della vita economica e sociale in Ucraina», promette il premier in aula.

Un impegno che fa il paio con quello per l’ingresso dell’Ucraina nella Ue. «Non tutti i paesi membri sono d’accordo», ammette, ma al presidente del Consiglio non mancano la determinazione e la capacità di persuasione. Ha già convinto Von der Leyen, Macron e Scholz. Lo stesso cercherà di fare con gli altri colleghi europei. E ricorda: «Se non sbaglio la prima volta che ho affermato questo punto è stato proprio in questo Parlamento». Un modo per dire: l’ho detto per primo, la strada è tracciata. Una manifestazione di leadership. Sulla questione dell’adesione all’Ue e dell’allargamento del blocco continentale, Draghi si sofferma a lungo. Sembra questa, per lui, la parte più futuribile e promettente del discorso. Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, i Paesi orientali vedono nell’Ue, ancor più che nel passato, un approdo di pace, libertà, sicurezza e benessere. Pertanto, l’allargamento ai Balcani occidentali, a partire da Albania e Macedonia del Nord, sostenute dall’Italia, sarà centrale al Consiglio europeo. Dopo una precisazione necessaria – la «Comunità politica europea» proposta da Macron «non sarà un canale sostitutivo allo status di Paese candidato» – Draghi ricorda che «negli ultimi decenni l’allargamento dell’Ue ha dato pace e stabilità a Paesi segnati dalla guerra».

Trasformando l’Unione «nel più grande mercato unico del mondo, che rappresenta tra il 5 e 6 per cento della popolazione e circa un sesto del prodotto globale». Da qui derivano «nuove opportunità di cooperazione tra paesi in aree di fondamentale importanza», «diritti e tutele assenti ancora oggi in altre parti del mondo», «un potente incentivo allo sviluppo della vita democratica, al rispetto della dignità umana e dello stato di diritto». Ecco perché l’allargamento deve continuare. Ma, avverte Draghi, alla promozione dei valori deve accompagnarsi una profonda riforma dell’Unione, con la modifica delle «regole che disciplinano il suo funzionamento, in politica estera, di sicurezza, in politica economica, in politica sociale».

Mai citato, incombe lo spettro del voto all’unanimità che l’Ue deve assolutamente superare per acquisire capacità decisionali più rapide e incisive. Nel corso del dibattito era atteso l’intervento del M5s. Dalle rovine fumanti, il rappresentante del movimento prova a difendere i resti del fortino snocciolando la solita litania di velleità pacifiste e assistenzialiste. Lo sguardo che gli rivolge Draghi è vitreo, tesi i muscoli del volto. Forse perché dalle parti dei Cinquestelle non c’è più niente da ricostruire.


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