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Il ministro Roberto Calderoli

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«Non ho mai inteso dividere il Paese, né favorire Regioni che già viaggiano a velocità diversa rispetto alle aree più deboli dell’Italia, il mio auspicio è che tutti aumentino la velocità: il Nord che con l’autonomia può accelerare e un Sud che finalmente si avvicini alla velocità del Nord. In questo modo cresce tutto il Paese».

Queste ultime dichiarazioni di Calderoli ovviamente non possono che essere condivise. È come dire che vogliamo bene alla mamma, o che auspichiamo la pace nel mondo. Chi non è d’accordo che il Sud si avvicini alla velocità del Nord? E chi non è d’accordo sull’affermazione che in tal modo cresce tutto il Paese?

È la prima parte che è contestabile, quella in cui Calderoli dice di non aver mai inteso dividere il  Paese. Magari non è stata la sua intenzione, ma il  decreto sull’autonomia differenziata, poi retrocesso a bozza, ma ripresentato più o meno uguale al governo, non va nella direzione auspicata.

LA MOBILITAZIONE DEL MEZZOGIORNO

Non è vero che il decreto  non favorisce le Regioni che già viaggiano più velocemente rispetto alle aree più deboli d’Italia, perché statuisce che le risorse vengano distribuite in base alla spesa storica:  vuol dire che, a parità di popolazione tra Reggio Emilia e Reggio Calabria, anzi con Reggio Calabria un po’ più popolata, resterà la differenza, per cui alla prima verranno date risorse per gestire 60 asili nido e alla seconda per gestirne tre.

In realtà Calderoli la sua battaglia l’ha già persa, perché un’operazione come quella che voleva attuare era possibile solo se fosse stata fatta velocissimamente e nel silenzio dei media, bypassando il Parlamento.

Per fortuna l’operazione di stoppaggio è riuscita grazie alla grande mobilitazione di molti intellettuali meridionali, del Quotidiano del Sud, di alcuni attenti giornalisti che hanno aperto gli occhi a presidenti di Regioni e a sindaci, facendo capire quale posta è in gioco con l’autonomia differenziata.

Non ha potuto ripetere l’operazione  del federalismo fiscale del 2009, quando si decise di attribuire le risorse  per sanità, scuola e trasporto pubblico locale in base alla spesa storica. Quella volta non vi fu la mobilitazione di adesso e, grazie anche al contributo “scellerato” del Pd, si cominciò quel viaggio che ci ha portato a una perdita per il Sud di 60 miliardi l’anno. Anzi come disse all’audizione in commissione Finanze l’allora ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, erano allora 61,2 miliardi.      

L’insistenza di Veneto e Lombardia, ma anche di Emilia-Romagna con l’aggiunta recente della Toscana, per l’autonomia differenziata è dovuta a un motivo di sopravvivenza. Finora l’attribuzione delle risorse sulla base della spesa storica è stata assolutamente anticostituzionale, e come affermava recentemente il direttore Roberto Napoletano in un suo editoriale: «Si ritiene di poter fare strame dei diritti di cittadinanza  di 20 milioni di persone nonostante i solenni, ripetuti richiami del capo dello Stato, Sergio Mattarella».

RISCHI ANCHE PER IL NORD

Ma da quando la situazione è diventata più chiara, la partita è diventata pericolosa per il Nord, perché il rischio di avvicinarsi all’idea di attuare una spesa pro capite analoga per tutte le parti del Paese, così come prescrive la Costituzione, metterebbe in crisi le realtà settentrionali che hanno un welfare, una scuola, una sanità, un’infrastrutturazione, basate sulla spesa storica.

La diminuzione di risorse per consentire uguali diritti di cittadinanza anche al Sud, in costanza di crescita con incrementi di zero virgola qualcosa, porterebbe a un stravolgimento difficilmente gestibile.                   Perché puoi anche non dare alcuni servizi, sperando che non vi siano particolari rimostranze, visto la che la gente è abituata a non averli, ma è complessissimo toglierli a chi è stato abituato ad avere servizi sociali di buon livello senza sconvolgimenti popolari.

Per questo fare a meno  delle autonomie differenziate, che tengano le risorse prodotte da ciascuna realtà senza conferirne parte per le esigenze dello Stato nazionale, diventa estremamente complicato. Probabilmente l’autonomia così come è stata concepita, malgrado la forza e la determinazione di Calderoli,  non passerà perché prima si vorrà la determinazione dei Lep.

Ma, fatta la determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni, che dovrebbero essere in realtà i livelli uniformi, passare alla seconda fase, cioè quella dell’attuazione di essi, non sarà semplice e richiederà una massa di risorse che il nostro Paese non ha.

E allora quello che accadrà è che resteremo nell’incostituzionalità dei diversi diritti di cittadinanza. Quindi non passerà la legge sulle autonomie differenziate: magari saranno individuati i Lep, ma pensare che si possano attuare  in tempi brevi è cosa molto complicata, perché servirebbero risorse che non ci sono.

Soprattutto per la spesa corrente, perché è possibile anche che con il Pnrr alcune infrastrutture relative alla scuola, alla sanità, alle strade autostrade, alle  ferrovie si possano anche fare, ma che poi si abbiano risorse sufficienti per poter far andare avanti la macchina è  tutto da vedere.

L’ITALIA CRESCE SOLO SE CRESCE IL SUD

Per questo il nostro Paese non può che puntare a una crescita sostenuta del suo Pil, cosa che potrà ottenersi soltanto mettendo a regime il Sud, attraendo investimenti dall’esterno dell’area, puntando alla piattaforma logistica naturale finora trascurata, avendo un piano per uno sviluppo turistico che faccia i conti con numeri consistenti.

In realtà quello che serve è che il Paese si concentri finalmente su questa parte, che abbia programmi, obiettivi, controlli dell’attuazione di questi, verifiche in itinere. Cioè un progetto vero che venga tenuto in considerazione ogni qualvolta si prenda una decisione importante, evitando di andare in controtendenza rispetto a un obiettivo, come è accaduto con la Intel a Verona.

Se, invece, quando si tratta di raggiungere obiettivi strutturali,  come nel caso degli asili nido messi a bando, o quando si tratta di gestire leggi pur con obiettivi importanti,  come le Zone economiche speciali, si lascia che si trasformino in strumenti per raccogliere consenso per una politica estrattiva, allora è evidente che tutto rimarrà come è stato per decenni,  e magari si darà la responsabilità del fallimento alle norme, che saranno cambiate con altre, ma che in realtà non sono state mai applicate. Ricominciando il rito da zero: e questo porta all’eterno fallimento.


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