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Giorgia Meloni (la prima a sinistra) al Consiglio europeo

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QUANDO Giorgia Meloni arriva a Bruxelles per il Consiglio europeo, che si apre con una colazione tra i 27 capi di Stato e di governo, prima di ogni cosa vuole chiarire un concetto che riguarda la posizione dell’esecutivo sull’Ucraina. È ancora aperta la ferita di quanto successo in aula in vista dell’appuntamento. Ed è ancora aperta la ferita all’interno della maggioranza, per l’atteggiamento ondivago della Lega di Salvini. Ed è qui, a Bruxelles, che l’inquilina di Palazzo Chigi prova a inviare un messaggio di unità ai colleghi che siederanno al tavolo del vertice Ue: «La linea italiana è molto chiara. Nell’attuale contesto non c’è misura più efficace di garantire un equilibrio tra le forze in campo, è l’unico modo per costringere a una negoziazione giusta, non si può prescindere da chi è l’aggressore e chi l’aggredito».

Va da sé che il tutto stride con la posizione della Lega che appare più che perplessa sull’invio di armi agli Ucraini guidati da Zelensky. Ragion per cui Meloni è costretta a metterla così: «La posizione della Lega sull’Ucraina francamente non mi preoccupa». «Dissimulazione» la chiamano nei corridoi dei palazzi della politica romana, dove il Carroccio si è smarcato platealmente sulla politica estera. A Palazzo Madama, Massimiliano Romeo ha smontato pezzo dopo pezzo la linea del governo italiano sull’Ucraina. Per di più fra i banchi del governo nei giorni in cui Meloni si presenta per le comunicazioni non compare nemmeno un ministro del Carroccio. Scena che si ripeta per ben due volte. Accanto a Meloni, a Montecitorio, il grande assente è Matteo Salvini, il vicepremier leghista, anche perché l’altro vicepremier, ovvero Antonio Tajani, è più che presente. «È impegnato a mettere a terra il Ponte sullo Stretto» scherza ma non troppo un meloniano. E anche se alla fine i leghisti corrono ai ripari mettendo in scena una sorta di staffetta tra i ministri di via Bellerio, la fotografia di giornata resta quella iniziale. Ed è figlia di un malumore diffuso all’interno del partito di Salvini che va avanti da settimane. Raccontano che i borbottii leghisti siano legati al piatto forte della partite delle nomine. In particolare, Salvini&co mettono in discussione il metodo portato avanti da Meloni nella selezione dei vertici delle società dello Stato.

E forse non è un caso se prima di volare a Bruxelles Meloni e Salvini abbiano avuto un confronto. «Ho sentito Giorgia anche stamattina – assicura il vicepremier leghista – Siamo d’accordo su tutto. Andiamo d’accordo su tutto. A sinistra si mettano l’anima in pace. Matteo e Giorgia sono in totale, perfetta, sintonia ed armonia. Chi proverà a farci litigare ci resterà male». Sia come sia, Meloni cerca di portare al tavolo del Consiglio europeo una maggioranza coesa e compatta, con una postura ben definita nel segno dell’euroatlantismo. Obiettivo: riuscire a portare a casa un risultato su quello che viene definito il dossier più scottante del vertice, ovvero i migranti. «Mi aspetto passi in avanti. Posso dire che sono soddisfatta della bozza di conclusioni, che chiede alla Commissione di precedere spedita» scolpisce la premier prima di entrare al vertice europeo. L’inquilina di Palazzo Chigi fa un punto stampa e ammette: «Possiamo confermare il fatto che il tema dell’immigrazione oggi è considerato centrale, una cosa se vogliamo impensabile sino a qualche mese fa, e che viene seguito passo a passo dal Consiglio. E questa è una ottima notizia».

E ancora: «Io posso dire che sono soddisfatta della bozza di conclusioni, dell’ultima versione che sta girando, che appunto chiede alla Commissione di procedere spedita e rimanda su uno stato di verifica di queste misure al prossimo Consiglio europeo». La premier al mattino annuncia contatti con Emmanuel Macron per fissare un incontro, alla conclusione dei lavori del primo giorno di vertice europeo. A metà pomeriggio è l’agenzia Ansa a far sapere che in serata «si terrà un bilaterale tra Macron e Meloni» che non potrà non passare in rassegna il caso migranti. Sul tavolo del Consiglio europeo anche il patto di stabilità: «Ci sono visioni sempre abbastanza differenti ma io penso che l’Ue debba imparare dai suoi errori, dal passato. Oggi a tutti sono chiesti importanti investimenti per la transizione ecologica, digitale, per le catene di approvvigionamento strategiche. Non si può pensare che gli investimenti necessari a rendere competitivo il nostro sistema non siano tenuti in considerazione nella governance».

In questo contesto continua la polemica fra la sinistra e la destra. E se Lucio Malan, capogruppo di Fd’I in Senato e fedelissimo della premier, osserva che «grazie all’Italia l’Europa ha cambiato atteggiamento e postura sui migranti», scuote la testa Elly Schlein, che fa notare come «nella bozza del Consiglio Ue ci siano solo poche righe sulle migrazioni, ma questa destra dov’era quando si è cercato di riformare l’accordo di Dublino? Io non li ho visti. Oggi cercano di rivendicare la centralità del tema migratorio con tre righe che non vogliono dire nulla». In scia Riccardo Magi di +Europa: «Il governo sta rivendicando dei risultati in sede europea che non ci sono».


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