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Oltre 51 milioni di elettori sono chiamati a votare, domenica 12 giugno, per cinque referendum. Un esercizio di democrazia diretta che la costituzione delimita e circoscrive, ammettendolo esclusivamente per abrogare una legge, o una parte di essa, sottoposta alla verifica della sovranità popolare per iniziativa di cinquecentomila i elettori o di cinque Consigli regionali.

Due referendum riguardano il processo penale o gli effetti di una condanna non definitiva. Sotto il primo aspetto la eliminazione della possibilità di motivare l’adozione di misure cautelari avendo come riferimento il pericolo che l’imputato commetta reati della stessa specie di quello per il quale si procede e che deve essere ancora accertato. Quanto agli effetti di una condanna non definitiva, la esclusione della automatica sospensione o decadenza da cariche elettive o di governo, o la incandidabilità senza una specifica valutazione del giudice.

Altri tre referendum riguardano l’ordinamento giudiziario e la presentazione delle candidature per il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Le disposizioni che si intendono abrogare hanno un impatto molto limitato sul contesto della disciplina che residua. La abrogazione del numero di firme, attualmente almeno 25 e non più 50, necessarie per la presentazione di una candidatura, non altera il sistema elettorale del CSM né il potere dei gruppi organizzati. La abrogazione della esclusione dei componenti laici dei Consigli giudiziari, avvocati o professori universitari, dalla partecipazione alle valutazioni di professionalità che riguardano i magistrati non sconvolge i contenuti del giudizio e, correttamente, la maggioranza togata che lo determina. La abrogazione delle disposizioni che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa cristallizza i magistrati nelle funzioni svolte ed ha la maggiore incidenza sulla loro condizione, pur preservando la unitarietà di carriera e di garanzie.

Ci possono essere buoni argomenti per scelte favorevoli o contrarie a ciascuno dei quesiti referendari. Del resto le riforme all’esame del Parlamento intervengono nella stessa direzione. Tuttavia i referendum “a grappolo” sulla magistratura hanno, nella intenzione dichiarata dei proponenti, una finalità ulteriore rispetto alla abrogazione delle norme che ne circoscrivono l’oggetto. Dovrebbero essere la premessa per una più incisiva riforma della magistratura e del CSM, i cui contorni tuttavia non sono oggettivamente desumibili dai risultati referendari e che sono comunque rimesse alla iniziativa e alle determinazioni del Parlamento.

Questa discrasia tra la portata oggettiva dei referendum e il significato che ad essi si intende dare segnala la evoluzione della prassi referendaria. La tecnica invalsa dei referendum cosiddetti “a ritaglio”, che intendono eliminare dal testo della legge singole parole, frasi o parte di frase, oltre al rischio di attribuire al testo un significato diverso sino alla non ammissibile introduzione di nuove norme, molte volte rende lacunosa e disorganica la disciplina che residua e richiede l’intervento del legislatore.

È probabile che nell’unica giornata di votazioni non si raggiunga il numero di votanti necessario, pari alla metà più uno del corpo elettorale, perché il referendum possa avere effetto. Tuttavia non si mancherà di assumere che i risultati del voto, inadeguati per abrogare le disposizioni sottoposte a referendum, valgano a manifestare un indirizzo della volontà popolare e a dedurne un vincolo politico per il Parlamento. In realtà non si è in presenza di referendum di indirizzo e non si può attribuire ai referendum abrogativi un significato e una forza della quale non sono dotati.

Rimarrebbe in capo al Parlamento e al Governo la responsabilità di dotare il Paese di una giustizia efficiente, tempestiva e giusta, agendo su tutti i fattori che concorrono a determinare questo risultato, dalla legislazione alla organizzazione giudiziaria, alla professionalità ed al costume dei magistrati e degli avvocati. Non c’è chi non voglia una “giustizia giusta”, per usare l’incisivo messaggio dei promotori dei referendum, e quali che siano i risultati del voto popolare, tutti gli attori del sistema giudiziario, sono tenuti a cooperare per perseguire questo obiettivo.


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