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Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni

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Sapremo solo oggi se prevarrà la linea della prudenza, che ha ispirato la prima manovra economica firmata dal governo Meloni o se, invece, la spunterà il partito del “deficit” che vorrebbe avere più margini di spesa anche in vista della prossima competizione elettorale delle europee. Un fatto è certo: la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, che sarà approvata oggi dal Consiglio dei ministri, dovrà rivedere al ribasso i numeri presentati ad aprile, alla luce del rallentamento dell’Azienda Italia. L’altro dato, altrettanto sicuro, sono le variabili esogene che pensano sul bilancio pubblico: dai ritardi nella spesa del Pnrr alla mina del superbonus, dall’allungamento della guerra in Ucraina fino al rialzo dei tassi deciso dalla Bce. Tutti elementi che tendono a peggiorare il quadro congiunturale e, soprattutto, rischiano di ridimensionare fortemente le stime di crescita.

Secondo fonti attendibili, come del resto già anticipato nei giorni scorsi, la stima del Pil di quest’anno si fermerebbe allo 0,8%, due decimali in meno rispetto all’1% indicato in primavera. Ma la vera novità sarebbe la crescita del 2024 che dall’1,4% scenderebbe all’1% o, come si sussurrava ieri, allo 0,9%, in linea con le previsioni della Commissione Europea. Di conseguenza aumenterebbe anche il deficit programmato. Per quest’anno la variabile da tenere in considerazione è quella del superbonus, con i 30 miliardi di sconti fiscali in più che il ministero dell’Economia si è trovato sul groppone.

Tutto dipenderà dalle decisioni di Eurostat sui criteri di calcolo: se passasse la linea di far pesare tutti i crediti negli anni in cui maturano, il deficit di quest’anno potrebbe schizzare al 5,5%-6%, rispetto al 4,5 programmato. Poco male, si dirà, dal momento che per tutto il 2023 le regole del patto di stabilità europeo continueranno ad essere sospese. Il problema vero, però, riguarda l’anno prossimo. Il rallentamento del Pil, di fatto, ha “cancellato” il tesoretto di 4-5 miliardi dovuto alla differenza fra il deficit tendenziale e quello programmato, attestato sui 3,7%. A questo punto, per liberare risorse da destinare alla manovra, il governo potrebbe alzare l’asticella portando il tendenziale a ridosso del 4% (3,9%) e il programmato a qualche decimale in più. In questa maniera si recupererebbero circa 6 miliardi di euro da dirottare sulla manovra economica.

Tutto bene se non fosse per le conseguenze che questa operazione avrebbe sul debito pubblico. Già una riduzione della crescita del Pil da 1,5 a 1% è sufficiente ad annullare del tutto la prevista riduzione dello 0,7% messa nero su bianco nel Documento di Economia e Finanza. E, del resto, lo stesso effetto avrebbe anche un aumento di 100 punti base dello spread, con un considerevole aumento negli anni successivi. Senza contare, poi, la spesa per gli interessi sul debito che, con l’aumento dei tassi deciso dalla Bce, è già lievitata dello 0,3%, e potrebbe arrivare nel 2024 ai 100 miliardi. Ieri lo spread ha raggiunti i massimi da marzo arrivando a 193 punti mentre i rendimenti sono balzati al 4,7%.

In queste condizioni al ministero dell’Economia la linea potrebbe essere quella di mantenere la manovra 2024 fra i 25 e i 30 miliardi di euro, un po’ meno rispetto a quella dell’anno precedente anche per dare un segnale ai mercati. Il problema resta quello delle coperture. Oltre ai 6 miliardi di maggiore deficit, ai 4 dovuti all’extragettito per l’aumento dei prezzi dei carburanti e ai 4-5 miliardi di tagli agli sconti fiscali, c’è poco altro. La spending review dei ministeri non dovrebbe dare più di 300 milioni nel 2024, mentre le entrate della cosiddetta “digital tax” sono ancora molto incerte. Per fare cassa, così, si è riaperta la strada a nuovi condoni. Il più attivo su questo fronte è Matteo Salvini che ieri ha confermato gli stanziamenti in manovra per far partire, entro agosto del 2024, i cantieri del Ponte sullo Stretto.

Dopo aver fatto balenare l’idea di una nuova sanatoria edilizia sui piccoli abusi, è tornato alla carica proponendo un nuovo “saldo e stralcio” per le micro-cartelle, ampliando di fatto il condono di un altro anno. L’idea è di ripetere la “pace fiscale” varata nel 2018 per le cartelle fino a 20mila euro. L’operazione sarebbe limitata, però, solo ai cittadini al di sotto di una fascia di reddito Isee (fra i 30 e i 35mila euro). Altre risorse (fino a 2 miliardi) potrebbero arrivare dai nuovi bandi per la gestione dei giochi pubblici, come il lotto o il gratta e vinci, con un meccanismo competitivo che potrebbe far lievitare le concessione. Infine, ci sono gli incassi del cosiddetto “concordato preventivo”, che potrebbero portare circa 3 miliardi e la tassa sugli extra-profitti delle banche. Ma su quest’ultima voce pesano gli emendamenti ispirati soprattutto da Lega e Forza Italia che potrebbero ridimensionare fortemente l’impatto della misura sui conti dello Stato.


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