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Ignazio Visco

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La sfida della crescita, da sostenere con le riforme e gli investimenti, e sfruttando l’occasione senza precedenti del Pnrr per sanare i divari che la zavorrano, da un lato. L’ “impresa” di ridurre il debito pubblico, il tallone d’Achille dell’Italia, che riduce gli spazi di manovra a sostegno dell’economia, esponendola peraltro «a tensioni sui mercati», puntando sulla qualità della spesa, dall’altro: sono i piani su cui Ignazio Visco incardina il suo ultimo intervento da governatore della Banca d’Italia – nell’ultimo giorno di un mandato lungo 12 anni, «anni complessi impegnativi e difficili» – che da oggi sarà guidata da Fabio Panetta, che rientra a Palazzo Koch (dove ha ricoperto i ruoli di vicedirettore generale con lo stesso Visco, di direttore generale e presidente dell’Ivass) da Francoforte, dove fino a ieri sedeva nel board della Bce.

Di fronte alla platea dell’Acri, che celebra la 99esima Giornata mondiale del risparmio, con il presidente Francesco Profumo, anche lui quasi a fine mandato, a fare da padrone di casa, e alla presenza del presidente di Abi, Antonio Patuelli, e del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, Visco, illustra i rischi che incombono sul Paese, sulla crescita in particolare che, indica l’Istat, nel terzo trimestre è rimasta al palo e che quest’anno, secondo il Bollettino di Palazzo Koch, si fermerà allo 0,7% allo 0,8% nel 2024 e all’1% nel 2025 ( 0,8%, 1,2%, 1,4%, rispettivamente, le previsioni del governo nella Nadef), con rischi orientati al ribasso «soprattutto per l’acuirsi delle tensioni geopolitiche e l’irrigidimento delle condizioni di finanziamento» di fronte all’inflazione in discesa ma non ancora domata.

Non solo, ci sono i timori per le ricadute della crisi immobiliare in Cina, di nuove crisi energetiche e alimentari. Rischi che gravano sull’economia globale e che, sostiene, «non possono essere contrastati con misure di natura domestica, ma richiedono interventi ad ampio spettro, condivisi e coordinati». Soprattutto mentre incombe il pericolo «grave» del ritorno a «un mondo diviso in blocchi».

Intanto, sul fronte dell’inflazione il governatore considera «saggia» la decisione del Consiglio direttivo della Bce di mantenere i tassi di riferimento sugli attuali livelli per un periodo sufficientemente lungo, una scelta che, sottolinea, «fornisce, in assenza di nuovi forti shock dal lato dell’offerta, il giusto equilibrio tra il rischio di fare troppo e quello di non fare abbastanza, riducendo allo stesso tempo le possibili ripercussioni sulla già debole attività economica e i rischi per la stabilità finanziaria».

«In ogni caso – avverte – occorrerà certamente prudenza nei prossimi mesi, dopo un aumento così marcato e veloce dei tassi ufficiali. Occorre garantire che il rientro dell’inflazione si compia nei tempi stabiliti» ma «al tempo stesso evitare che eccessi di restrizione monetaria e del credito abbiano inappropriati effetti recessivi, contribuendo anche per tale via ad alimentare l’incertezza sull’economia e sulla stessa stabilità dei prezzi».

Tornando all’Italia Visco rilancia l’allarme sul debito, per cui «nel prossimo triennio la flessione attesa nei programmi del governo è marginale», nel 2026 sarebbe poco sotto al 140% del Pil e rischia di salire ancora. Dunque occorrono «sforzi ulteriori» per ridurlo, tenendo presente che «il consolidamento dei conti non deve, come in passato, compromettere la qualità della spesa pubblica e la sua capacità di sostenere la crescita».

Ma non ci sono solo ombre: «l’economia italiana dispone di fondamentali nel complesso solidi», afferma il governatore e indica l’elevata disponibilità di risparmio del settore privato e un indebitamento «contenuto nel confronto internazionale», la «vitalità e la capacità di competere sui mercati» del sistema produttivo. «La sfida più importante resta quella di realizzare riforme e investimenti capaci di spingere verso l’alto il tasso di crescita potenziale», che passa anche dalla riduzione degli ostacoli allo sviluppo e da un’esplicita volontà di colmare i divari esistenti, cosa che «contribuirebbe a rafforzare la fiducia degli investitori» e che porterebbe pure «una riduzione dei rendimenti del debito pubblico». In questo senso «l’occasione offerta» dal Pnrr «non ha precedenti». Modifiche al Piano, dice il governatore, «restano possibili», ma «è necessario procedere senza dilazioni eccessive».

Intanto l’allarme sul debito il ministro Giorgetti ha dovuto lanciarlo più volte durante la costruzione della legge di Bilancio di fronte alle istanze «tutte legittime» dei partiti della maggioranza. «Il governo ha dovuto fare scelte dolorose anche rimediando a gravi errori compiuti in passato che hanno prodotto un carico notevolissimo sulla finanza pubblica», puntualizza.

«Il debito pubblico è il nostro punto debole» e ora «è suonata la sveglia: più debito – spiega – significa più spesa per interessi e più spesa per interessi significa risorse sottratte al sostegno alle famiglie e alle imprese. L’equazione è semplice ma non sempre sufficientemente chiara agli attori politici e sociali».

Intanto Giorgetti “pesa” gli effetti della politica monetaria restrittiva delle banche centrali «sia sul rallentamento dell’inflazione, sia sul rallentamento della crescita, oggi direi l’azzeramento». E rilancia la battaglia in sede Ue per arrivare alla definizione di regole «serie e credibili, comprensibili e realistiche» per la governance economica e finanziaria : «E’ difficile discutere di Patto di stabilità quando tutto intorno a noi è instabile», afferma. L’Italia continua a sostenere la necessità di riconoscere «uno spazio adeguato ad alcune tipologie di spese per investimenti, con particolare riferimento a quelli, assai consistenti, che stanno impegnando i nostri sistemi economici nelle difficili transizioni e in relazione alle maggiori esigenze di sicurezza e difesa», una posizione, riconosce che «non trova ampio consenso» ma «noi la ribadiamo con forza».


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