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Giancarlo Giorgetti

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Alla fine anche il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha dovuto dire sì all’accordo franco-tedesco sulla riforma del Patto di stabilità. Sia pure con qualche rammarico per l’accelerazione impressa da Scholz e Macron. Un blitz maturato lunedì sera che ha preso in contropiede la premier italiana, Giorgia Meloni, che puntava, invece, ad un rinvio dell’intesa a dopo le elezioni europee, a luglio, una proroga di sei mesi delle vecchie regole in attesa di capire il nuovo quadro politico dell’Europarlamento e, soprattutto, per avere qualche margine di manovra in più sulla delicata questione del Mes.

Era obiettivamente difficile rigettare una proposta di compromesso che, di fatto, viene incontro ad alcune delle richieste italiane evitando al governo l’imbarazzo di ricorrere ad un veto su un accordo decisivo per l’impalcatura europea. Veto che, tra l’altro, non avrebbe riguardato il cosiddetto “braccio preventivo” dell’accordo, dove si votava a maggioranza qualificata, ma altri documenti del nuovo patto.

Senza considerare che l’eventuale stop, dopo la mancata ratifica del Mes, avrebbe condannato l’Italia all’isolamento fra i partner dell’Unione con conseguenze pesanti anche sui mercati, dove la decisione italiana sarebbe stata interpretata come un segno di debolezza e di cedimento rispetto alle politiche di risanamento e di contenimento della spesa pubblica. Tutte considerazioni che hanno spinto il Ministro dell’Economia, Giorgetti, a dare il suo placet, sia pure con cautela. Nel nuovo patto di stabilità ”ci sono regole più realistiche di quelle attualmente in vigore, che naturalmente dovranno sottostare alla prova degli eventi dei prossimi anni che diranno se il sistema funziona realmente come ci aspettiamo”, spiega il responsabile di via Venti Settembre.

”Ci sono alcune cose positive e altre meno. L’Italia ha ottenuto però molto e soprattutto quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile volto da una parte a una realistica e graduale riduzione del debito mentre dall’altra guarda agli investimenti specialmente del Pnrr con spirito costruttivo”. Giorgetti sottolinea anche che l’Italia “ha partecipato all’accordo politico per il nuovo patto di stabilità e crescita con lo spirito del compromesso inevitabile in un’Europa che richiede il consenso di 27 Paesi”.

E punta il dito sui tre capitoli che vengono incontro alle richieste del nostro Paese: “L’estensione automatica del piano connessa agli investimenti del Pnrr, l’aver considerato un fattore rilevante la difesa, lo scomputo della spesa per interessi dal deficit strutturale fino al 2027”. Un passaggio, quest’ultimo decisivo. Molto probabilmente, in primavera, l’Italia potrebbe entrare nel braccio correttivo di Bruxelles ed essere oggetto di una procedura per deficit eccessivo. Certo, saremo in buona compagnia, con almeno altri 8 Paesi. Ma gli sconti sugli interessi per il debito saranno molto utili per far quadrare il bilancio nel momento in cui bisognerà decidere gli interventi di aggiustamento.

Un vantaggio di non poco conto per l’attuale governo. Tocca invece al Commissario Ue, Paolo Gentiloni, ridimensionare le polemiche sull’asse franco-tedesco come ispiratore della riforma, riconoscendo invece il ruolo decisivo giocato dal nostro Paese per la firma di un accordo storico: “Nonostante le differenze significative rispetto alla nostra proposta, le nuove regole garantiscono un migliore equilibrio tra stabilità e crescita con incentivi per gli investimenti e le riforme e una maggiore titolarità. E’ una buona notizia per l’economia europea”.

Ora i fari sono puntati su quello che succederà sull’altro capitolo caldo nei rapporti fra Roma e Bruxelles, quello del Mes. Fino ad ora la posizione italiana era stata chiara: nessuna firma sulla revisione del trattato se prima non si chiarisce il capitolo del nuovo patto di stabilità. Ma ora per la premier, Giorgia Meloni, si avvicina il momento delle scelte. L’ipotesi che l’esame del dossier parta oggi in Aula e si arrivi al voto delle forze politiche è ancora sul tavolo: il Trattato figura al terzo punto dei lavori, dopo il voto sull’esame d’urgenza dell’accordo con l’Albania sui migranti e gli illeciti agroalimentari.

A spingere per un nuovo rinvio non c’è solo la Lega ma anche Fdi che non vogliono, naturalmente, essere scavalcati a destra da Salvini. Il fronte del no nella maggioranza alla ratifica del Mes ragiona soprattutto su un emendamento soppressivo per abrogare la ratifica, altra strada potrebbe essere quella di votare articolo per articolo. In ogni caso da oggi diventerà sempre più difficile la strategia dell’attesa, l’alibi dell’Ecofin. Più facile, la situazione sul fronte dell’opposizione.

“Siamo sempre stati contrari al Mes, non lo abbiamo attivato. Non passerà con i nostri voti. Questo è certo”, spiega il presidente del Movimento 5 stelle Conte. “Non avranno il coraggio di portarlo in Aula, questa maggioranza sa solo fuggire”, il suo refrain. “Anche nel governo ci sono differenze sul Mes. Hanno differenze ma nessuno mette in discussione che siano in grado di fare un governo insieme”, sottolinea infine la segretaria del Pd, Schlein.


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