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Giorgia Meloni

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L’Europa, l’Italia e i timori sulla vittoria della Destra

Una parte consistente del dibattito di questa strana e a tratti poco comprensibile campagna elettorale, in tempi di guerra e di crisi economica, è ruotato attorno all’immagine e al ruolo futuro del nostro Paese nello spazio europeo e più in generale nella sua proiezione di politica internazionale. Se si cerca di prescindere dall’uso politico (assolutamente legittimo) che i protagonisti della contesa elettorale hanno fatto dei differenti punti di vista, delle considerazioni e delle critiche giunte dall’esterno, si possono isolare due sentimenti costantemente presenti in vista dell’esito elettorale italiano: timore ed incertezza.

Rispetto all’incertezza vi sono tra gli altri due motivi di interesse nel valutare la situazione del nostro Paese, diciamo così, “vista da fuori”. Da un lato il punto interrogativo riguarda non tanto e non solo l’esito del voto, ma se finalmente a Roma diventerà presidente del Consiglio il leader o la leader del partito più votato dagli elettori italiani. L’ultima volta tale evento, scontato nelle democrazie mature e verrebbe da dire “normali”, si è verificata alle nostre latitudini nel 2008, con Berlusconi presidente del Consiglio.

DA MONTI A DRAGHI MANCANO I GOVERNI DEL LEADER PIÚ VOTATO

Da Mario Monti sino a Mario Draghi (passando per Letta, Renzi, Gentiloni e due esecutivi Conte) si sono alternati Primi ministri legittimi e legittimati dal voto parlamentare, ma non identificabili con il leader del partito più votato. Che si sia trattato di tecnici, di politici o di docenti universitari, la regola è sempre stata la medesima: si vota e poi di fronte all’incertezza più totale, si opta per soluzioni di riserva. Dall’altro lato è elemento di grande e patologica incertezza, l’incognita che permane sul successore di Mario Draghi. Anche su questo punto occorre approfondire. Se del cosiddetto “timore Meloni” si parlerà tra poco, quella che occorre sottolineare è una vera e propria “sindrome Draghi”.

L’ITALIA, LA DESTRA E LA VOGLIA DI DRAGHI DELL’EUROPA

L’impressione è che anche un risultato che dovesse discostarsi dalla vittoria del centro-destra a guida Meloni non risolverebbe più di tanto, a Bruxelles in particolare. Un voto favorevole al PD e al Movimento Cinque Stelle riporterebbe Draghi a Palazzo Chigi? Lo scenario appare da escludere e allora l’incertezza è destinata a regnare sovrana. Occorre per inciso ricordare che il PNRR del quale spesso si parla a sproposito, in particolare con la pretesa di rinegoziarlo, è in larga parte un insieme di progetti che la Commissione europea aveva in parte criticato e sui quali aveva espresso l’intenzione di porre il proprio veto. Solo la garanzia “personale” offerta dal presidente del Consiglio uscente ha permesso di rimuovere il blocco. A partire da fine ottobre chi vi sarà a garantire?

Ecco la drammatica incertezza. Un ultimo inciso va fatto a proposito di questa anomalia italiana, con al centro un infantilismo istituzionale trentennale, solo parzialmente nascosto dal primato del ruolo della presidenza della Repubblica. E, si permetta l’ultima digressione, quasi certamente si starebbe raccontando un’altra storia (con molte meno incertezze) se al Quirinale oggi sedesse proprio quel Mario Draghi, garante indispensabile perlomeno sino all’esaurirsi di Next Generation Eu e del connesso PNRR.

L’EUROPA E IL TIMORE DELLA VITTORIA DELLA DESTRA IN ITALIA

Se dall’incertezza si passa al timore, a dominare le analisi e i campanelli d’allarme che suonano un po’ in tutte le capitali europee, prima fra tutte Bruxelles, è la figura di Giorgia Meloni e del suo partito Fratelli d’Italia, rispetto al quale i sondaggi, in maniera unanime, attribuiscono almeno un quarto dei voti che verranno espressi dall’elettorato italiano la prossima domenica. Ebbene riflettere su questo punto implica soffermarsi su tre timori in particolare.

IL DILEMMA DELL’INCOMPETENZA

Il primo di questi è forse quello più oggettivo e può essere definito il dilemma dell’incompetenza. Quali e quanti rischi nasconde l’arrivo alle massime responsabilità di un partito politico, ma meglio sarebbe affermare, di una classe dirigente, impreparata, per ragioni appunto oggettive, a ruoli apicali, di governo. Fratelli d’Italia può contare solo alcuni responsabili a livello locale (sindaci e governatori di regione) e ha legami scarsi se non nulli con i tre principali partiti all’interno del Parlamento europeo (sono peraltro quattro i parlamentari europei che siedono a Strasburgo). E se fossero confermati gli ultimi sondaggi, che parlano degli altri due partners della coalizione ridotti ai minimi termini dalla logica del cosiddetto “voto utile”, anche il bagaglio di esperienza maturato dagli eletti e dagli amministratori leghisti e di Forza Italia potrebbe venire meno. Su questo fronte i timori appaiono più che giustificati.

LA PREOCCUPAZIONE DELL’EUROPA PER LE AFFERMAZIONI SPAVALDE DELLA DESTRA IN ITALIA

Il secondo timore è strettamente connesso alle affermazioni spavalde della leader di Fratelli d’Italia riguardo alla difesa dell’interesse nazionale italiano e la presunta fine, in caso di suo arrivo alla guida del Paese, del monopolio franco-tedesco alla guida dell’Ue. Come dimostrato dall’anno e mezzo abbondante di governo Draghi, lo spazio per un’Europa guidata dai tre grandi Paesi fondatori esiste e la presenza italiana è determinata prima di tutto dalla serietà, dalla leadership e dai rapporti internazionali di chi siede a Palazzo Chigi. Si tratta di una condizione che potrà non essere sufficiente, ma è sicuramente necessaria.

E dipendono da questa credibilità nello stare “dentro” le istituzioni europee l’interesse nazionale del nostro Paese e la possibilità di poter aggiungere un “cilindro italiano” al motore franco-tedesco. Su questo punto sarà opportuno verificare quanto Giorgia Meloni stia lavorando per motivare l’elettorato e quanto sia realmente convinta di poter scardinare quell’asse attorno al quale ruota il processo di integrazione europea sin dal 1950. In definitiva, se è propaganda, la leader di FdI non sta facendo altro che solleticare, nell’elettorato conservatore italiano, il nervo scoperto dello sgarbo di Merkel-Sarkozy del novembre 2011. Se crede davvero nella nuova triangolazione con Polonia e Ungheria bisogna per forza condividere i timori di chi ci osserva dall’esterno.

L’EUROPA E LA PAURA DEL DIBATTITO CHE NASCEREBBE DALLA VITTORIA DELLA DESTRA IN ITALIA

Il terzo timore paradossalmente è quello che fa dormire sonni davvero poco tranquilli sia ai vertici dei principali e tradizionali partiti politici europei (popolari, socialisti e liberali), sia alle cancellerie di non pochi Paesi, in particolare della cosiddetta “vecchia Europa” (penso a Francia, Spagna, Svezia in primis). Un successo importante di Fratelli d’Italia aprirebbe un dibattito, per certi versi forse anche interessante ma per altri molto delicato per non dire imbarazzante, a proposito della legittimazione dei movimenti e partiti di destra estrema a livello continentale. FdI primo partito in Italia e potenzialmente alla guida di un governo di coalizione costituirebbe una vera novità nella storia europea dal dopo 1945.

UNA SITUAZIONE SENZA PRECEDENTI IN ITALIA E IN EUROPA

Nulla in confronto rispetto al 1994 italiano (con Forza Italia alla guida della coalizione che aveva al suo interno, ma in posizione comunque subalterna, Lega ed AN). Ma niente di accostabile nemmeno al caso Haider in Austria.

Nel 1999 il suo FPO superò di una manciata di voti i popolari, ma il governo che nacque era comunque guidato dal leader popolare Schüssel. E nulla allo stesso modo di comparabile al caso Rassemblement National in Francia, con Marine Le Pen per ora lontana parecchi milioni di voti dall’Eliseo e il suo partito rappresentato in maniera consistente, ma per nulla maggioritaria all’Assemblea nazionale; o a quello dei Democratici svedesi, forti del recente 20,5% (secondo partito di Svezia), ma quasi sicuramente destinati ad un appoggio solo esterno al governo guidato dalle formazioni di centro-destra. In definitiva l’Italia tornerebbe ad essere un delicato “laboratorio politico” a livello continentale. E questo inevitabilmente finirebbe per favorire quelle forze politiche ma anche economiche e finanziarie, pronte a scommettere e a prosperare sull’incertezza, sul timore e sul cosiddetto “rischio Italia”.

C’è davvero da augurarsi che quello appena descritto possa essere archiviato come un eccessivo e sovrabbondante esercizio interpretativo di natura distopica. L’inconcludente transizione nazionale apertasi con Tangentopoli e mai nemmeno lontanamente chiusa contribuisce però ad alimentare questo genere di analisi ed interpretazioni, in chi osserva dall’interno e ancora di più in chi ci giudica e guarda da fuori.


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