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Gualtieri, Conte e Catalfo

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Tutti o quasi sono convinti che l’impennata dei contagi blindi il governo Conte, ma altrettanto sottolineano che le divisioni e i contrasti nella coalizione non sono affatto sotto controllo. Paradossalmente, ma non più di tanto è l’immobilismo che garantisce tutti: sulla legge elettorale non c’è accordo, ma tanto non se ne farà nulla per un bel po’ di mesi; la riforma costituzionale proposta dal PD non piace ai Cinque Stelle, ma avrà tempi lunghissimi per cui non c’è da preoccuparsi; il MES continua ad essere un problema, ma sarà risolto dall’incombere della pandemia e dai tempi lunghi per l’arrivo dei fondi del Recovery.

È una buona situazione? Con un occhio alla visione politica no, ma se si guarda alle piccole tattiche manovriere del giorno per giorno può anche darsi che non sia così male. In fondo il tenere bloccata l’attenzione degli opinionisti su grandi questioni di scenario, che però si prestano solo a dibattiti accademici, distoglie almeno parzialmente dal constatare alcuni intoppi se non proprio fallimenti.

I BULLI E BENETTON

Il caso più clamoroso è quello di Autostrade, dove dopo l’ampio sfoggio di bullismo (fuori i Benetton e via dicendo), non si riesce a cavare un ragno dal buco: complicato procedere con la revoca della concessione che provocherebbe un crack economico di cui non c’è bisogno in questo momento, impossibile cedere a consentire che Atlantia dal disastro ci guadagni sia direttamente col prezzo di vendita sia indirettamente accollando allo stato i risarcimenti per i danni provocati dalla sua cattiva gestione delle tratte. Poi ci sono i casi Alitalia e Ilva, dove si annaspa e non si arriva a soluzioni.

È colpa di una fase politica in cui si sono fatte sempre scelte a pro della scena pubblica del momento: ci sono dentro tutti, è proprio il caso di dire chi è senza peccato scagli la prima pietra. Ci sarebbe anche da ragionare su questioni come la mezza farsa dei banchi monoposto che non si sa più se sono arrivati, arrivano o arriveranno e quando. Quanto al sistema di gestione della riapertura delle scuole è tutto un caos di situazioni una diversa dall’altra, con scarso o inesistente coordinamento: per esempio nessuno sa più cosa si sia fatto per formare i responsabili di istituto per il Covid, per l’arrivo del gel disinfettante che doveva scorrere a fiumi, non parliamo dei responsabili sanitari scolastici.

I DECRETI SICUREZZA

Un riga va dedicata anche alla questione dei decreti sicurezza, che devono sempre andare al prossimo consiglio dei ministri, ma su cui si continua a parlare di tensioni fra le forze di maggioranza. Quelli non sono DPCM, dovranno passare per il voto parlamentare e lì qualche tensione potrebbe esserci, visto anche l’improvvido clima determinato dalla concomitanza con il processo di Catania a Salvini. Su tutto però si stende la coperta della preoccupazione per una gestione un minimo razionale della scadenza economica. Confindustria e sindacati offrono quasi ramoscelli d’ulivo al governo purché ci si metta a lavorare insieme per tenere sotto controllo quel che si profila per fine d’anno. Il “sussidistan” non va bene a nessuno, ma tutti chiedono al governo sostegni per evitare un peggiorare della situazione. Lo fanno in un momento delicato perché l’esecutivo è impegnato a preparare la legge finanziaria dove deve mettere insieme deficit non proprio leggeri e speranze di arrivo di fondi europei che non sono certissimi, soprattutto come tempi di erogazione.

LA BASE ESISTE?

In questa confusione preoccupa naturalmente la situazione del più forte partito parlamentare, M5S, che non si capisce bene in che situazione versi realmente. La ragione è molto semplice: al momento domina la dimensione della sceneggiata, del resto si tratta del movimento fondato da un uomo di teatro grazie al successo di molte sue sceneggiate. È difficile capire se e quanto esista una “base” del movimento, perché si tratta di un “partito di sentimento”, cioè della raccolta di umori popolari che non si strutturano in una forma di militanza tradizionale e che per loro natura sono molto mobili. Non sappiamo quanto sia assolutamente fondata l’interpretazione per cui si trattava di una rivolta di quote della pubblica opinione disgustate, a torto o a ragione non importa, da una politica che si collocava in una fase ancora relativamente prospera del ciclo economico. La paura che questa prosperità andasse perduta era allora forte, ma altrettanto lo era la convinzione che in fondo bastasse ribaltare il tavolo e si sarebbe tornati ai bei tempi andati.

Oggi l’amarissima lezione della pandemia ha cambiato il contesto e questi sentimenti in buona parte o si sono radicalizzati a destra o sono finiti nella disillusione che porta all’astensionismo. La politica politicante pensa che tutto sommato questa nuova fase consegni nei Cinque Stelle il potere ai governisti e che i loro avversari al più possano sfogarsi un poco nei talk show, sicché tutto concorre a blindare il governo attuale, visto che i governisti per natura loro non possono permettersi di metterlo in crisi. C’è però in agguato l’imprevisto dei comportamenti individuali dei parlamentari, non sempre irreggimentabili. Poiché i numeri della maggioranza al Senato sono ballerini, può arrivare l’incidente imprevisto, e per questo si cercano di evitare tutte le occasioni che possano aprire varchi per questi rischi. Vale finché ci si riesce e finché la situazione complessiva rimane statica.


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