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Giuseppe Conte, in una vignetta tv di Nicola Porro

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In quel gioco dell’oca che sta diventando la politica italiana siamo tornati alla “casella MES”. Sotto la spinta di una pandemia che rialza la testa, si comincia a chiedersi perché mai si sia costretti a rinunciare ad un bel pacco di miliardi, 36 per la cronaca, che sarebbero disponibili subito e che farebbero tanto bene alla nostra sanità. Solo perché un movimento ideologicamente confuso come sono i Cinque Stelle non riesce ad abbandonare la fede cieca in uno dei suoi mantra? È una ragione, ma non è la sola. Se ci fosse solo quel problema non ci vorrebbe molto a costringere M5S alla ragione. Si sa benissimo che quel movimento non può permettersi una crisi di governo che gli darebbe un ulteriore colpo, soprattutto ora che siamo ormai in una zona in cui è difficile ricorrere allo scioglimento anticipato della legislatura. Non bastassero le ragioni dell’economia, perché non possiamo certo permetterci di andare all’esercizio provvisorio facendo saltare la sessione di bilancio mentre ci prepariamo a presentare a Bruxelles i piani per i fondi del Next Generation UE, ci sono quelli dell’emergenza per la seconda ondata Covid, che non si possono affrontare senza un governo per così dire “regolare”.

SURROGATO DI GOVERNO

Una crisi potrebbe semplicemente aprire la strada ad una maggioranza di emergenza nazionale, cioè ad un surrogato del governo di solidarietà nazionale a cui a questo punto non parteciperebbero solo i Cinque Stelle, partito di maggioranza relativa in parlamento, ma sulla base di numeri ormai sconfessati dai test elettorali e dai sondaggi. Solo che quella soluzione non è possibile perché la maggioranza dell’opposizione, cioè Lega e FdI, è altrettanto legata al mantra del “no al MES”. In sostanza, per paradossale che sia, è l’opposizione che non solo tiene in piedi il governo Conte, ma lo mette nelle mani dei ricatti pentastellati. Eppure le regioni, a prescindere dal colore delle loro giunte, i soldi del MES li vorrebbero eccome. Che sarebbero poi capaci tutte di spenderli presto e bene è da vedere, considerando la recente inchiesta della Gabanelli che ha svelato come ci siano giunte regionali che non hanno saputo spendere neppure la manciata di milioni raccolti grazie alla generosità dei cittadini che hanno contribuito alle sottoscrizioni volontarie. Il fatto è che la sanità è dovunque in sofferenza. Non illudano le rilevazioni alla buona sulle terapie intensive lontane dalla saturazione (per fortuna), sulla larga presenza fra i positivi di casi asintomatici o non gravi.

RITARDI SANITÀ

Le inchieste denunciano una defaiance sul trattamento di tutte le altre patologie, ritardi accumulati (anche molto notevoli) nei trattamenti e nelle operazioni per molte di esse. Ci si aggiunga che a fronte della necessità di aumentare di molto il numero dei tamponi e di ridurre drasticamente i tempi per processarli, si riscontrano carenze strutturali di personale e laboratori. Per non parlare del problema della riqualificazione della medicina territoriale, che sta avendo difficoltà anche solo a gestire la campagna di vaccinazioni anti influenzali, figurarsi a divenire la sede per eseguire tamponi presso medici e pediatri di famiglia. Come si uscirà da questo impasse? Non sappiamo prevederlo, perché la situazione confusa in cui si sta sempre più precipitando rende complicata qualsiasi sua gestione. C’è una certa gara fra le forze politiche a sfruttare il disorientamento attuale per portare a casa vantaggi in vista di elezioni che non si sa quando ci saranno, ma siccome l’incidente può sempre accadere, meglio mettere via delle riserve di consenso (dubitiamo che questa roba possa servire più di tanto per le elezioni comunali di primavera, perché in quel genere di competizioni i fattori locali contano molto di più).

Ovviamente la cosa più facile da fare, oltre lamentarsi a prescindere, è ergersi a tutori delle categorie che vengono toccate nei redditi dalle restrizioni imposte dalle norme sanitarie. Dagli addetti alla ristorazione ai lavoratori dello spettacolo, ciascuno trova più di un santo in paradiso che si batte perché la mano pubblica tuteli le loro entrate e arrivi in soccorso. Giusto, ma di tutti quelli, e non sono affatto pochi, che già prima redditi ne avevano pochi o nessuno chi si occupa più? E come si troveranno le risorse per venire incontro a questi problemi? Non sono questioni marginali, perché l’epidemia allarga le distanze sociali, inasprisce le diseguaglianze e davvero la rabbia verso i “garantiti” (tutti i dipendenti pubblici e para-pubblici, magari anche alleggeriti negli impegni dallo smart working) potrebbe assumere nei prossimi mesi dimensioni destabilizzanti.

PREVISIONI NERE

Teniamo conto che le prospettive per la nostra economia non sono brillanti. È appena uscita una stima del fondo monetario internazionale che rivede in peggio quelle già non esaltanti del nostro ministero dell’economia. E non sappiamo quanto la crisi che si inasprisce nel resto d’Europa e del mondo possa incidere ulteriormente in negativo: una questione che può essere presa in considerazione solamente sotto il profilo economico (e già non è poco), ma che andrebbe valutata anche sotto quello politico, perché alle turbolenze delle varie popolazioni i rispettivi governanti saranno tentati di rispondere in termini di difesa egoistica dei loro interessi nazionali. Un panorama che dovrebbe inquietare un governo come il nostro che sulla sua collocazione europea ed internazionale ha sin qui un punto di relativa forza.


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