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Palazzo Chigi

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Davvero siamo ad una specie di redde rationem per l’attuale coalizione di governo e per il suo premier? Questa è la domanda su cui si interrogano, con molto scetticismo, la maggior parte dei commentatori politici. L’ambiguità della situazione è molto evidente. Da un lato si sottolinea la scarsa plausibilità di attivare una crisi di governo adesso, con la situazione difficile della pandemia, con la sessione di bilancio praticamente già in corso, con l’esigenza di gestire i piani per tentare di acciuffare i fondi del Next Generation UE. Dal lato opposto si evidenziano le debolezze di un governo che non riesce a darsi una prospettiva e una leadership, lascia irrisolte molte questioni (Ilva, Autostrade, Alitalia, ecc.), non trova un rapporto decente con le opposizioni (impresa per la verità ardua), e che dunque si rifugia in una defatigante tecnica del rinvio e del vivacchiare.

Vista la quasi-impossibilità di andare ad elezioni anticipate almeno fino alla designazione del successore di Mattarella, ci si arrovella, dentro e fuori i gruppi dirigenti della politica, sulle possibili soluzioni che consentano di uscire dall’impasse attuale. In fondo si tende a credere che questo sia il vero obiettivo della mossa di Renzi che ha stoppato la riformetta sull’abbassamento della soglia di voto per il Senato (e, di conseguenza, quella assai più discutibile e che realmente cambiava l’impianto originario della nostra Carta, cioè la proposta Fornaro di togliere per il senato i collegi a base regionale). Già, ma con quale soluzione?

SEMPLICE SOSTITUZIONE

L’interpretazione corrente è che si punti, magari non solo da parte di Renzi, ad un rimpasto, cioè ad una semplice sostituzione di un certo numero (piccolo) di ministri. A nostro modesto avviso è una soluzione che non ci pare al momento percorribile, per una semplice ragione: per sostituire dei ministri bisogna che questi si dimettano per loro iniziativa. Nella proposta di riforma costituzionale avanzata dal PD, e subito seppellita nel fondo di un cassetto, è previsto che il presidente del consiglio abbia il potere di chiedere al Capo dello Stato di licenziare uno o più ministri, ma oggi non è così. Nei rimpasti dei vecchi tempi i ministri venivano dimessi dai rispettivi partiti che avevano su di loro un notevole potere avendoli designati ed essendo di fatto arbitri del loro destino. Oggi non ci pare sia più così.

CI VUOLE L’ALGORITMO

Aggiungiamoci una considerazione banale. L’eventuale rimpasto dovrebbe essere bilanciato in modo da non alterare gli equilibri fra le componenti della coalizione, almeno non più di tanto e non platealmente. Qualcuno dispone dell’algoritmo (per usare un termine di moda) che possa realizzare questo scopo? Non lo vediamo. La sostituzione di alcuni ministri, qualche Cinque Stelle e qualche PD, perché non vediamo come si possano toccare le striminzite pattuglie di IV e LeU, suonerebbe come un giudizio di inadeguatezza sui prescelti, che pensiamo sarebbero poco disponibili a mettersi di propria iniziativa nel ruolo delle vittime sacrificali. Del resto non avrebbe senso sostituire ministri che si considerano adeguati, e in ogni caso le sostituzioni avverrebbero con personalità che, almeno sulla carta, vengono presentate come di gran lunga migliori.

Insomma è un bel pasticcio, anche tralasciando la considerazione che ci sono anche ministri piuttosto deboli che però non possono essere toccati, perché rivestono posizioni chiave nei rispettivi partiti di appartenenza. Conte questo panorama ce l’ha perfettamente presente e pertanto ritiene che la via del rimpasto sia difficilmente percorribile, anche perché i colpi di coda di un’operazione simile renderebbero ancora più problematica la tenuta delle maggioranze parlamentari.
Se davvero si volesse riuscire a dare un segnale di cambiamento di verso all’attuale gestione della politica, la via obbligata sarebbe un cambio di governo, ovviamente con quella che si definisce una crisi pilotata, cioè che si apre e si chiude nel giro di pochissimi giorni. In astratto potrebbero esserci dei vantaggi: mostrare al paese un incremento di responsabilità nella gestione dell’attuale passaggio difficile, favorire un possibile rapporto meno conflittuale con le opposizioni, cosa che aiuterebbe nella gestione della nostra ripartenza post pandemia (ci vorrebbe anche una diversa disponibilità da parte delle opposizioni e non è cosa così facile da ottenere).

CRISI PILOTATA

In concreto però le possibilità che si arrivi ad una crisi pilotata ci paiono minime (giusto per essere ottimisti). Il governo può essere sostituito se si dimette il presidente del consiglio o se viene meno la sua maggioranza parlamentare. Non vediamo come possa realizzarsi la prima ipotesi, se non dando a Conte ampie e granitiche garanzie di succedere a sé stesso, ma in questo caso il senso di una svolta sarebbe molto ridimensionato e le difficoltà di rapporto con l’opposizione permarrebbero. Quanto alla seconda ipotesi, non darebbe vita ad alcuna crisi pilotata, ma, dati i tempi e il contesto, ad una crisi al buio dagli sbocchi non solo incerti, ma dilazionati nel tempo oltre i limiti che possono essere consentiti dal concorrere della sfida del Covid, della difficile situazione economica e del rapporto con l’Europa per ottenere i fondi sperati. Insomma sembra che l’iniziativa di Renzi e l’uso che ne stanno facendo tutti possa finire non a sbloccare una situazione di immobilismo, ma a farci ancor più intrappolare nelle sue paludi.


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