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Matteo Renzi e, sullo sfondo, Giuseppe Conte

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Doveva essere il giorno dei contenuti ed è stato invece soltanto un altro giorno di trovate di scena. Il grande tavolo intorno al quale tutti si sono seduti sapendo che non era quello il luogo delle decisioni, mentre il Presidente esploratore Fico cercava di rimettere in piedi i pezzi di un puzzle scombinato. Intanto arrivavano i dati sulla disoccupazione molto più gravi del previsto e segnali di un’economia a macchia di leopardo: il manifatturiero avanza con coraggio, ma tutto il resto si ferma e il governo non c’è.

Al suo posto prosperano i cabaret televisivi in cui la sciagura di una crisi politica inutile perché senza ragioni evidenti né soluzioni credibili viene rappresentata sotto forma di evento mondano: gli ospiti si divertono, conduttori e conduttrici fanno le loro ospitate quasi sempre alla caccia dei nomi e senza ascoltare le risposte, con esibizioni saltuarie di creature bizzarre o mostruose come qualche antivax dall’aspetto cavernicolo o donne cannone.

Dove sta in questo momento la crisi? È ben nascosta. Si finge di discutere di questioni di forno e Renzi mette in acqua l’ultima trovata fantozziana: una bicamerale (cioè una commissione di venti senatori e venti deputati ammucchiati per tre ore alla settimana in una delle aule del palazzo di San Macuto) dove varare le grandi riforme facendo uso del Recovery fund.

Ha senso? No, si tratta soltanto di espedienti. Il Pd pone la pregiudiziale sul nome di Conte perché non vuole davvero che Conte libero da vincoli metta insieme un partito del dieci per cento che pascoli nel suo giardino. Tutti coloro che facevano parte della vecchia maggioranza vogliono Conte e come previsto lo stesso Matteo Renzi, che ha svolto in Senato la sua requisitoria apparentemente mortale contro il Presidente del Consiglio, ha detto che tutto sommato a pensarci bene anche un Conte ter si potrebbe fare, che volete che sia.

I Cinque Stelle da parte loro – già lo abbiamo visto – si sono esorcizzati fra di loro fra anatemi e sacrifici umani per dire che, vabbè, possiamo anche tenerci l’odiato Renzi, tanto che volete che sia. Il Quirinale è blindato e dà segni di insofferenza, ma aspetta che la giornata di oggi si chiuda con il ritorno dell’esploratore Fico il quale riferirà tutto ciò che già sappiamo: Renzi è d’accordo su Conte, i Cinque Stelle sono d’accordo su Renzi, Conte sembra che abbia del resto già scelto la cravatta della terza inaugurazione, mentre intanto da Catania filtrano indiscrezioni secondo cui il Gip dal quale dipende la sorte di Salvini potrebbe decidere per il rinvio a giudizio sia pure per motivi strettamente tecnico-giuridici, il che metterebbe automaticamente il leader leghista fuori dalla rosa dei papabili futuri primi ministri anche nel caso si arrivasse davvero alle elezioni anticipate che tutti vogliono scongiurare auspicando una navigazione a vista fino all’estate quando scatterà il semestre bianco che vieta di sciogliere le Camere e dunque il problema sarà risolto da solo.

E allora? Quale dovrebbe essere il senso di tutto ciò? È un puro esercizio di retorica. Ma potrebbe darsi che alla fine della storia si assista all’atteso fenomeno di Renzi alla Farnesina e Di Maio alla Vicepresidenza del Consiglio, affinché si avveri la profezia secondo cui tutto questo terremoto di parole con pochi fatti sarebbe stato innescato dall’aspirazione di Renzi di essere promosso agli Esteri, così da rendersi papabile per una importante carica internazionale, cosa che è stata velatamente confermata dalla strana ma realissima missione dello stesso Renzi in Arabia Saudita che ha suscitato finto stupore.

Il centrodestra ha ripetuto a macchinetta di volere le elezioni anticipate che in realtà non vuole perché l’unica cosa che tutti legittimamente vogliono è partecipare alla gestione del tesoro in arrivo dall’Europa. Per questo è cresciuto il livello del chiacchiericcio generico sulle cose da fare e programmare, ma non risulta che sia stata assunta alcuna decisione o richiesta definita sulla questione del Sud italiano che, essendo stato depredato e dissanguato come una cavia, è diventato il maggior problema del Nord che si trova a corto di mercato. Di problemi strutturali si parla molto, ma nessuno ha presentato soluzioni radicali. Solo genericità poco impegnative.

Renzi, per pagare la sua penalità ha rinunciato al Mes – non proprio a tutto, ma a una quota – dicendo che in fondo si possono assegnare alla Sanità altri miliardi estratti dal Recovery e dunque alla fine di una apparente crisi isterica collettiva si prospetta un ritorno all’ovile di tutti, salvo complicazioni dell’ultim’ora. Non è neanche il caso di perdere altro tempo per cercare le cause e le radici della crisi, le insofferenze personali che, pure, hanno diritto di cittadinanza nella politica perché il fattore umano è non meno potente di quello di rappresentanza degli interessi sia di parte che collettivi.

Ma qui c’è un intero Paese che si trova in un vero naufragio. Tutti i Paesi del mondo stanno male e la pandemia colpisce tutti, ma non tutti nello stesso modo, nessun Paese ha prodotto risultati cattivi come quelli dell’Italia e non vogliamo nemmeno occupare altro spazio per elencarli di nuovo. Forse la Presidenza della Repubblica che seguita a cercare il bandolo di questa matassa, potrebbe fare qualcosa di ancor più attivo che non la semplice (semplice?) registrazione notarile delle esplorazioni istituzionali.

Quali siano le urgenze e le emergenze sono sotto gli occhi di tutti, ma quelle del Sud sono molto più gravi e non sono affatto fra i primi impegni di un futuro governo. Però ricordiamo che il Presidente del Consiglio Conte aveva preso degli impegni non generici e tuttora attuabili. Abbiamo visto in televisione questo enorme tavolo intorno al quale le parti politiche si sono date appuntamento e sappiamo che quell’area appartiene al Parlamento e non alle competenze del Colle. Ma se fosse vero, come molti segnali lasciano prevedere, che la tempesta imperfetta si è ritirata, sarebbe un successo non aver interamente perso l’occasione varando un programma visto e accettato dal Presidente della Repubblica che ha tutti i titoli per certificare un risultato che ancora, mentre scriviamo, è fatto solo di parole e speranze generiche.


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