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Il transatlantico

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Uno dei primi parlamentari a rompere gli indugi su Mario Draghi, su Mister Banca centrale europea, ormai issato a «salvatore della patria», è l’azzurro Osvaldo Napoli.

Pochi minuti dopo la convocazione dell’ex governatore di Bankitalia al Colle, Osvaldo da Torino, una vita nel campo berlusconiano, di formazione democristiana, verga un comunicato che recita così: «Auguri e notte serena a quegli esponenti politici che hanno minacciato le elezioni e a quelli che le hanno invocate. Dormano tranquilli Salvini, Meloni, Zingaretti, Di Maio. Domani, con tutta calma, ragioneranno e si metteranno alla ricerca delle ragioni per pronunciare un “no” a Mario Draghi, cioè al solo italiano, nominato dal presidente Berlusconi alla guida della Bce, che ha saputo spiegare la resistenza ai tedeschi, varare il Quantitative leasing e inondare l’Europa di miliardi di euro per sostenere l’economica».

Si scorge un tocco di polemica nei confronti degli alleati sovranisti che bocciano Draghi ma è più o meno questo il clima all’interno di un Parlamento che trasecola al solo sentire il nome e il cognome di «Super Mario». «Nulla da dire sulla qualità, l’autorevolezza del presidente Draghi» è il refrain che ricorre nel cortile di Montecitorio. I Cinque Stelle sono già in crisi. Non sanno come sbrogliare la matassa, si riuniscono per ore via Zoom. Sostenere o no quello che un po’ tutti chiamano «il tecnocrate di Bruxelles»? Alessandro Di Battista non perde tempo e boccia l’incaricato dal Quirinale: «Quel che penso è che il governo Draghi lo debbano votare, semmai i rappresentanti dell’establishment».

Riccardo Fraccaro, il più contiano fra i membri del governo in quota Cinquestelle, poco prima di mezzanotte scrive su Instagram: «Ringrazio il presidente Mattarella per il suo impegno nel voler dare un governo al Paese, ma noi siamo sempre stati chiari con gli italiani dicendo apertamente che il M5S avrebbe sostenuto solo un esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Su questo, con coerenza, andremo fino in fondo».

La galassia pentastellata è assai tormentata perché «Conte è stato ed è il punto di equilibrio» ma ora si entra in una nuova fase. E la faccenda non piace. Vito Crimi, l’eterno reggente del M5S, si mette di traverso: «Il M5S, già durante le consultazioni, aveva rappresentato che l’unico governo possibile sarebbe stato un governo politico. Pertanto non voterà per la nascita di un governo tecnico presieduto da Mario Draghi». E ancora: «Proviamo con un esecutivo politico ancora una volta». Per non parlare di Beppe Grillo che è uscito allo scoperto con i suoi: «Leali a Conte, no a Draghi».

E dunque il ciclone Mr. Bce sconquassa il palazzo. Matteo Renzi esulta. In un colpo solo il leader di Italia viva è ritornato centrale, ha distrutto l’asse Pd-Cinquestelle che lo aveva di fatto marginalizzato costringendolo alla scissione e alla nascita del contenitore Iv. E poi altro capolavoro di spregiudicatezza ha rimesso in pista Matteo Salvini. Il leader della Lega è combattuto. Il numero due del Carroccio, Giancarlo Giorgetti, caldeggia da sempre un gabinetto di salvezza nazionale a guida Draghi. E allora cosa fare? Salvini ascolterà il tessuto produttivo del Nord e di conseguenza l’ala moderata della Lega o seguirà le mosse di Giorgia Meloni? La pasionaria di Fratelli d’Italia ha già scolpito la posizione della destra: «Sarò chiara. Non c’è alcuna possibilità di una partecipazione o anche di un sostegno da parte di FdI al Governo Draghi. Gli italiani hanno il diritto di votare. Continuiamo a lavorare per tenere il Centrodestra unito e portare gli italiani alle elezioni. Fatevene una ragione».

Il centrodestra si potrebbe dividere in tre blocchi? Un’ipotesi è che Meloni dirà no, Salvini “ni” e il Cavaliere, senza ombra di dubbio, sì. Così Forza Italia si libera del duo sovranista e promuove l’operazione tecnica a guida Draghi. È in difficoltà il Partito democratico. Nicola Zingaretti subisce Draghi perché il numero uno del Nazareno ha investito sul governo dei giallorossi, immaginando che il nuovo campo progressista dovesse ruotare attorno all’asse Pd-M5S allargato a una stampella centrista a guida Giuseppe Conte, definito «il punto di riferimento dei progressisti».

Eppure, nonostante i tormenti, i malumori, la delusione del gruppo dirigente del Pd, l’appoggio di Zingaretti e dei gruppi parlamentari democrats appare scontato: «Con l’incarico a Draghi si apre una fase nuova che può portare il Paese fuori dall’incertezza creata da una crisi irresponsabile e assurda».

Non a caso Dario Franceschini prova a salvare quello che si è costruito in questi mesi con i Cinquestelle e fa un appello al movimento fondato da Grillo: «Sostenete Draghi con noi». Poi in serata le delegazioni di Pd, M5S, LeU, si confrontano su Zoom. Una mossa per salvare il salvabile e rilanciare un’alleanza che è stata costruita in questi mesi dalle tre forze. Basterà?

E infine si segnale il silenzio di Luigi Di Maio. Nei colloqui l’ex ministro degli Esteri ripete di attenersi alla posizione del Movimento, ma è certo quello che più soffre. E continua a dire che i cinque stelle che non si divideranno.


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