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Enrico Letta e Giuseppe Conte

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L’incontro tra due ex normalmente apre la stura ad una sequela di rimembranze nostalgiche. O di litigi mai sopiti. Invece quello tra il neo segretario del Pd, Enrico Letta, e il “costruttore” della nuova leadership pentastellata, Giuseppe Conte, è stato giudicato “affascinante” dal primo. Chissà.

Il fattore ex che davvero li unisce è quello di essere stati entrambi presidenti del consiglio e dunque di conoscere bene la precarietà di quella postazione e la sicurezza effimera che comporta. Adesso si tratta di rimettere in equilibrio il sistema- Italia, scosso dal terremoto di Tangentopoli e da uno sciame sismico di notevole intensità che invece di affievolirsi si gonfia ad ogni elezione politica almeno da un quarto di secolo.

È presto per dire come finirà. Però o Pd e Cinquestelle (o come si chiameranno) si faranno la guerra per sottrarsi vicendevolmente consensi che pescano nello stesso bacino un po’ come avviene tra Lega e Fdi, oppure dovranno acconciarsi a collaborare. È chiaro che molto dipenderà da quale legge elettorale verrà varata. Oppure dal fatto che resterà quella che c’è.

DUE CONTENITORI

Il punto comunque è che l’assestamento del quadro politico avverrebbe su due contenitori che competono per la vittoria elettorale entrambi basati su due forze di grandezza più o meno simile. E in mezzo un’area che, allo stato attuale, va da Forza Italia e Cambiamo per arrivare a Renzi e Calenda che è a due cifre e potrebbe ambire ad un 15 per cento di suffragi. Bene. Se la torsione avverrà in senso maggioritario ripescando il Mattarellum caro a Letta ma fortemente inviso al M5S (e già questo è un elemento di divaricazione tutt’altro che trascurabile), quella forza centrale necessariamente si spaccherà mantenendo comunque una grandissima utilità marginale.

Nel senso che diventerebbe certo il segmento junior della coalizione, ma tale però da condizionarla e minacciare di farla perdere laddove dovesse staccarsi. Il Mattarellum infatti ha garantito la vittoria ad uno dei due schieramenti consentendo “la sera stessa delle elezioni” di sapere chi aveva vinto, ma non ha poi assicurato compattezza e unitarietà di intenti.

La vicenda del “subgoverno” Fini-Casini a capo rispettivamente di An e Udc nei governi Berlusconi o di Rifondazione o Udeur di Bertinotti e Mastella per gli esecutivi di Prodi, ne sono testimonianza storico-politica.

LA VARIANTE TEDESCA

Le cose possono cambiare se invece si va verso un meccanismo elettorale di tipo proporzionale. Nel senso che le forze “centriste” possono lo stesso mantenere una capacità aggregativa ma non più così determinante perché le alleanze si fanno in Parlamento dopo la chiusura delle urne e non prima.

Esiste anche una non effimera possibilità data dalla “variante tedesca”: un Cancellierato che riprodurrebbe le dinamiche che nei decenni scorsi hanno prodotto in Germania maggioranze a Cdu-liberali o Spd-liberali ma che adesso sono inficiate dal tracollo dei socialdemocratici e dall’avanzata di Verdi ed estrema destra.

Insomma il maggioritario spacca il centro ma rende le forze moderate vere arbitre della governabilità. Il proporzionale lo giustifica ma prevede in qualche modo anche il suo superamento. La cosa che più intriga è che il riassetto del panorama politico in senso sistemico fa si che da un bipolarismo sui generis si finisca per passare ad un quadrilatero con il Carroccio nella parte della città fortificata di Verona (e forse a Salvini non dispiacerebbe dal punto di vista identitario-territoriale) e gli altri partiti nelle vesti di Peschiera, Mantova e Legnago.

Il nodo rimane sempre lo stesso: funziona? Questo bilanciamento a quattro rende i governi più solidi, le eventuali maggioranze più coese, i partiti meno rissosi e insomma l’Italia più stabile e affidabile?

IL QUADRILATERO

La risposta è impossibile da dare e bisognerà attendere gli eventi. Ma perché il quadrilatero (o qualunque adattamento alla fine si determini) possa esprimere frutti positivi è necessario alleggerire la legge elettorale dal peso esclusivo di promanare saldezza di sistema e uniformità di indirizzo. Alla riforma elettorale andrebbe infatti affiancata quella costituzionale in senso semipresidenzialista o del Cancellierato con annessa sfiducia costruttiva: allo stato, poco più che chimerici vaneggiamenti.

CORSA PER IL QUIRINALE

Chissà se anche di questo hanno discusso Letta e Conte. E chissà se nel fronte opposto, tra Salvini e Meloni queste tematiche vengono mai toccate. Adesso bisogna pensare alle vaccinazioni di massa e all’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Poi però le elezioni politiche saranno vicinissime. Perdere l’ennesima occasione per stabilizzare il sistema con le giuste riforme, per di più dopo il taglio dei parlamentari, metterebbe l’Italia in una condizione di accentuata instabilità e insicurezza. Di cui non si avverte il bisogno.


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