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Matteo Salvini in un murale

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Draghi è una presenza ingombrante, non c’è dubbio. I partiti vogliono conquistarsi un po’ di palcoscenico, perché ci sono scadenze elettorali e perché ormai la presenza costante dei sondaggi condiziona la loro immagine. Ovviamente c’è chi è più abile nel ritagliarsi spazi senza mettere in discussione i delicati equilibri politici di questa fase e chi non riesce a darsi un po’ di disciplina.

Salvini rientra indubbiamente nella seconda tipologia. Nonostante abbia una buona presenza al governo e goda persino dell’ingenua propaganda che gli fanno gli spodestati dell’era Conte con le loro denunce (infondate) di un governo sbilanciato sul centrodestra, il leader della Lega sembra incapace di rinunciare alla retorica del demagogo per principio. Si dice che lo faccia timoroso della concorrenza di Giorgia Meloni, ma per la verità per ora questa non è così impattante. È vero che Fratelli d’Italia va bene nei sondaggi, ma rimane un po’ sotto la Lega, che magari perde qualcosina, ma resta il primo partito.

Altrettanto si può osservare per l’ossessione aperturista di Salvini. Punta a tenere agganciati a sé gli scontenti delle chiusure, ma la maggioranza del paese ha ormai compreso che la situazione è molto seria e non sembra così vogliosa di correre dei rischi per aperture momentanee che poi ci facciano ripiombare nel dramma delle chiusure a singhiozzo. Se il centrodestra vuole legittimamente capitalizzare la sua esperienza nel governo di solidarietà nazionale, non può continuare in questa politica che gli impedisce di voltare pagina rispetto al passato della demagogia. Si capisce che è un passato che pesa come è sempre inevitabile nei movimenti che si sono gettati a nuotare in quella corrente.

Si tratta di una stagione in cui hanno dato spazio a personaggi buoni per le rodomontate di un tempo, ma che diventano ingombranti una volta che si opti per una politica all’altezza di una emergenza drammatica. Invece non passa giorno che non ci siano casi di dirigenti leghisti che si rendono protagonisti di brutte pagine: dall’ex presidente della Lega trentina che ha inviato insulti volgarmente sessisti a due esponenti del suo partito passate a FdI al sottosegretario all’istruzione che assume come collaboratore un leone da tastiera perché demagogo dei precari, ma che si è esibito in attacchi inaccettabili contro l’ex ministra Azzolina. E citiamo solo i casi più eclatanti, ma che dimostrano bene come ci sia una carenza di formazione e di selezione nelle fila leghiste.

Si può obiettare che episodi più o meno della stessa natura si registrano anche in altri partiti ed è vero, ma almeno in molti casi i vertici intervengono subito a reprimere. Salvini non si rende conto che è stato lui a sdoganare un certo modo di fare politica (sebbene la definizione sia impropria) e che dunque spetterebbe a lui dare l’esempio che adesso si suona un’altra musica. Il problema del ruolo del centrodestra è importante in un sistema che sta affrontando una delicata transizione: una corretta dialettica politica favorisce il mantenimento degli equilibri necessario quando si deve affrontare una ricostruzione mentre è ancora in corso una pandemia difficile da mettere sotto controllo.

Notiamo un fatto banale. Più il centrodestra si fa risucchiare nel gorgo del becerismo populista, più il centrosinistra sarà spinto a credere che non gli serva elaborare idee politiche perché gli basterà la vecchia retorica della resistenza al demonio che sta alle porte. Non giova a nessuno. Il calcolo di fare due parti in commedia, da un lato il collaboratore del risanatore Draghi, dall’altro il demagogo che urla che si può fare come piacerebbe a chi non vuole arrendersi alla difficile realtà, non è una strategia che paga. Indebolisce l’azione di risanamento, perché la priva di un largo consenso popolare, che è necessario per sopportare una situazione difficile.

Al tempo stesso non porta nessun giovamento agli interessi che dice di voler tutelare, perché così è un’impresa impossibile per cui anziché puntare a trovare elementi per sollevare situazioni poco gradevoli si anima la rabbia di coloro che sono colpiti da una sorte avversa. Concentriamo la nostra attenzione sulla Lega non solo perché al momento è il partito di maggioranza relativa nel centrodestra, ma perché i suoi partner sembrano godere di questa sua situazione che non sono interessati a mutare. Fratelli d’Italia può approfittare di una politica come quella di Salvini che cerca di rincorrere Meloni e soci restando però al governo, il che la rende ambigua e poco credibile. Forza Italia si compiace di osservare in silenzio, perché così pensa di riuscire a non essere coinvolta nelle intemerate salviniane senza però pagare il pegno di prendere apertamente le distanze da questo modo di fare politica.

Il blocco di centrodestra non può permettersi il lusso di alcun serio confronto dialettico al proprio interno, perché deve condividere la gestione comune del potere in molte regioni e comuni, nonché cercare di marciare unito in vista delle scadenze elettorali d’autunno. La sua speranza è che il blocco di centrosinistra chiudendosi a riccio nella necessità di tenere insieme un po’ di grillismo e un po’ di sinistrismo d’antan renda impossibile che quote del suo elettorato lo abbandonino stufe della demagogia. Non essendo attrattiva l’altra parte per le ragioni appena dette non si correrebbero rischi, ragionano in molti nel centrodestra, ma scordano che c’è sempre la grande fuga nell’astensionismo che non è più vissuta come disdicevole.


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