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Beppe Grillo

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Continua il travaglio dei Cinque Stelle. Grillo rilancia il suo intervento sulla necessità di mantenere il limite dei due mandati per gli eletti in parlamento, sostenendo che in caso contrario M5S scivolerebbe al 5%. Può darsi che la stima sia esagerata, ma certo il Garante/Elevato sa bene che continuare a toccare i miti fondativi del suo movimento comporta molti rischi.

I movimenti di protesta non cambiano natura tanto facilmente, a meno che non giungano a conquistare il potere in forma assoluta. Tanto i fascismi quanto i comunismi hanno potuto modificare assai radicalmente i loro mantra iniziali solo dopo che si erano consolidati al potere, da un lato perché non consentivano a nessuno di criticare le loro evoluzioni, dall’altro perché potevano far passare tutto come una forma di realizzazione di quelle mitologie che avevano sbandierato nelle loro fasi di assalto al potere. Questo non è evidentemente il caso dei Cinque Stelle, che non solo non hanno conquistato totalitariamente il controllo della sfera politica, ma che non sono neppure più il partito di maggioranza relativa. Inoltre quanto ad appeal populista hanno una bella concorrenza, tanto da destra, quanto da sinistra. Per questo Grillo, per quel tanto di fiuto politico che gli rimane, si erge a garante della vecchia ortodossia. Ciò non significa affatto che non possa poi escogitare qualche stratagemma per piegarla ai suoi fini e per aggirarla, ma a patto di mantenere la finzione che nulla cambierà.

Ciò che non è credibile è che l’Elevato pensi davvero di poter far fuori la vecchia guardia favorendo un ricambio totale. Non si vede infatti come potrebbe riuscirci. Innanzitutto in questi anni il vento è cambiato e parecchio, per cui non può illudersi che “basti la parola”, cioè il simbolo tradizionale, per convogliare voti su chiunque. In secondo luogo sa bene che di talenti nuovi da mettere in campo non ne ha, non almeno in numero sufficiente. La gestione del movimento dal 2018 in avanti ha praticamente disseccato ogni vita della base, né la mitica Rete può considerarsi il suo regno incontrastato (anzi ormai per quel canale circola di tutto e di più). Del resto la performance più che modesta realizzata in ogni elezione locale sta lì a dimostrare che il vivaio dei nuovi grillini non è rifiorito nel lungo inverno di M5S al potere.

IL CAMPIDOGLIO

Per rendersene conto basta pensare alla vicenda di Roma. Qui Grillo deve mantenere in vita la candidatura della Raggi, più che usurata, semplicemente perché non ha nessuna carta di ricambio. Anzi è costretto a temere che se la molla, la sindaca corra con una sua lista anche senza il mitico simbolo delle Cinque Stelle raccogliendo un risultato che viene stimato come di tutto rispetto. Che può succedere dunque? Le vicende dei Cinque Stelle sono sempre contorte e dunque non sono di facile interpretazione. Comunque bisogna partire da un dato: è ormai sicuro che manchi almeno un anno alle elezioni politiche, anzi forse due perché può darsi che la legislatura giunga a scadenza naturale. Per il calendario grillino sono tempi biblici, in cui c’è tutto lo spazio per cambiare idea senza pagare dazio. In fondo non c’è stato problema al passare dagli insulti alla Lega al governo insieme, dai frizzi e lazzi contro il PD meno Elle, “partito di Bibbiano”, all’alleanza strutturale con questo. Figuratevi se non si può inventare qualcosa per cambiare passo in tema di candidature. Intanto però c’è da non perdere terreno nei sondaggi e dall’evitare che l’arrivo di Conte al vertice dei pentastellati (operazione che sta molto a cuore a Grillo) non venga interpretato come una “democristianizzazione” di M5S. Non si possono tenere insieme le proprie truppe senza poter promettere spazi di carriera ai propri militanti. Come diceva, con qualche esagerazione, il buon Napoleone, ogni soldato per combattere bene deve sapere che potrebbe portare nel suo zaino per il futuro il bastone da maresciallo. Questo del resto non confligge automaticamente con un ipotetico salvataggio di un certo numero di leader. Si potranno tenere in campo con varie scuse, dal considerarli necessari per trainare il consenso al non privarsi di alcune esperienze importanti (e ovviamente le due cose vanno messe insieme).

CONTE IN ATTESA

Non è poi detto che l’uscita di Grillo dispiaccia a Conte, il quale probabilmente non teme di vedersi sottrarre qualche personaggio che gli può far gioco (per le ragioni dette sopra), ma a cui altrettanto non dispiace tenersi in mano due armi: 1) far pesare con i “salvati” il suo ruolo nel mantenerli al potere (il che li ridimensiona se pensassero di condizionarlo); 2) non essere obbligato a tenersi proprio tutti quelli che sgomitando sono riusciti a mettersi in prima fila, molti dei quali sono più inciampi che aiuti per chi aspira ad un ruolo di peso nel futuro della politica italiana (inutile fare nomi, tanto i lettori se li immaginano da sé).

Grillo può muoversi con una certa libertà perché al momento la situazione politica è congelata. Al governo c’è Draghi e ci rimarrà per un pezzo. Per i vertici del partito non si decide perché bisogna aspettare che Conte faccia le sue proposte (e se la sta prendendo comoda) e c’è da risolvere il contenzioso con Casaleggio. Non c’è pericolo che il PD abbandoni il contatto con M5S perché nella futura contesa bipolare non ha altre soluzioni a cui attingere. Dunque c’è spazio per fare sceneggiate che danno un po’ di visibilità, senza rischiare nulla. La situazione ideale per uno come Grillo.


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