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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il premier Mario Draghi

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Siamo in guerra, scandisce Fabrizio Curcio, capo della Protezione civile. Nessun problema: il governo Draghi di larghe intese è nato per combatterla. E si è messo a fianco, per non sbagliare, un generale: Francesco Paolo Figliuolo, che sta facendo il pieno di munizioni, ossia di fiale vaccinali.

Avanti così, allora? C’è da augurarselo. Tuttavia una cosa è evidente: in tutte le guerre il fattore tempo è essenziale, sia che si proceda con la Blitzkrieg (guerra lampo) che con la drôle de guerre. Ecco: qual è il tempo a disposizione di SuperMario?

L’interrogativo, ancorché solo sussurrato, serpeggia. Ha assunto le dimensioni di un tifone non appena l’ex presidente Bce si è insediato, visto che subito in tantissimi lo volevano traslocato da palazzo Chigi al Colle; mentre ora si è ridimensionato a brezza leggera perché la consegna è chiara: prima bisogna fare e solo dopo discettare.

Però, però… Diciamo che il fattore T come tempo ha una sua dimensione che più passano i giorni più acquisisce spessore politico proprio in virtù della necessità di fare. Draghi presidente del Consiglio sorretto da una maggioranza “da guerra” perché mette insieme quasi tutte le forze politiche, sono il frutto di una decisione che il capo dello Stato in versione Giove Pluvio ha lanciato come una saetta sull’asfittico e impaludato agone politico. Perciò non è insensato chiedersi 3quale traiettoria possa seguire l’esecutivo “di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica”, come lo definì Sergio Mattarella, una volta che l’attuale inquilino del Colle traslochi sui banchi dei senatori a vita, quelli di diritto. Solo chi ha scarsa dimestichezza con le regole della politica può pensare che i mesi che mancano a quella scadenza – diciamo dieci, giorno più giorno meno – siano così tanti da non doverci mettere pensiero. In realtà la partita per la successione di Mattarella è la più importante della legislatura e tutti i leader politici si muovono e agiscono in funzione di quella scadenza.

Perciò mettiamola giù brutalmente. Se Draghi sta dove sta e può dispiegare al meglio la sua capacità di governo, è perché alle sue spalle si staglia la figura del presidente della Repubblica che di quella combinazione ne è ideatore e avallante. Draghi ha una autorevolezza e una capacità enormi, che tuttavia vengono amplificate dal fatto che il capo dello Stato – nel suo caso come non mai – srotola il mantello del sostegno istituzionale in modi rispettosi della forma e della lettera della Costituzione (e come potrebbe essere altrimenti per uno come Mattarella?) ma decisi ed espliciti. Insomma Mattarella considerava Draghi il suo asso nella manica, l’ultima ratio dinanzi all’incapacità della Politica di uscire dal tunnel dove si era infilata. Quell’asso adesso è sul tavolo. E ha giocato assai bene unendo in uno sforzo comune partiti e movimenti che fino al giorno prima si osteggiavano e apparivano incomunicabili e irriducibili l’uno all’altro. Non è farneticazione affermare che Mattarella è il filo che regge questa operazione di equilibrismo politico-istituzionale-sociale. Che succede se quel filo giocoforza viene ritirato?

Di Draghi s’é detto. La maggioranza che lo sostiene può confermarsi al tempo stesso strana ma coesa al punto da farlo salire sul Colle. Però così interrompendo l’azione di governo: sarebbe come cambiare, nel pieno della battaglia più importante, quella decisiva per la vittoria, il Commander in chief, sostituendo con lui l’intero stato maggiore.

Senza contare che fine fanno le truppe. Se l’ex governatore diventa la più alta magistratura della Repubblica, chi prenderà il suo posto a palazzo Chigi? Indipendentemente da chi lo esalta e chi lo denigra, di Draghi ce n’è uno: sdoppiarlo non si può.

Non solo. A proposito di truppe. Per ora SuperMario ha il suo daffare nel tenere sotto controllo le dinamiche divaricanti tra partiti così diversi: le famose bandierine che possono garrire ma non più di tanto. Come potrebbe una coalizione così eterogenea reggere se il suo Timoniere cambia insegne e mestiere?

Inutile andare avanti, fermiamoci qui. Forse bisognerebbe operare un fermo immagine sulla situazione attuale: il binomio Mattarella-Draghi che procede all’unisono per aiutare il Paese ad uscire dalle difficoltà. Però, appunto, non si può. C’è il fattore tempo: una clessidra dove la sabbia inesorabilmente scorre. E non si può anche perché uno dei due, il presidente della Repubblica, quel fermo immagine non lo accetta: alla scadenza del mandato non vuol sentir parlare di rielezione. Perciò delle due l’una: o Mattarella cambia idea e i partiti lavorano per fargliela cambiare; oppure Draghi di tempo per fare le riforme e operare in modo che dalla pandemia si passi al rilancio dell’Italia, ne ha davanti pochino. Poi rischia di dover passare la mano.


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