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Il presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi

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La situazione politica rimane in stato di fibrillazione. Le manifestazioni di disagio sociale spingono il governo a mostrarsi consapevole della difficile contingenza ed a venire incontro alle domande di “riaprire”.

Adesso si scatena una inutile guerra di comunicazione perché gli uni (a destra) si attribuisce il merito di aver fatto cambiare strategia all’esecutivo, mentre il vecchio fronte rigoristi&associati (a sinistra) reclama di aver sempre lavorato per determinare le condizioni che finalmente consentono di allentare la stretta. Opposte propagande che servono solo ad incentivare il disorientamento nell’opinione pubblica.

Gli osservatori più attenti vedono in queste fibrillazioni un segno del deteriorarsi della grande alleanza che sostiene Draghi, il che non è certo un buon viatico per un governo che deve affrontare fra poco il duplice passaggio del PNRR: in parlamento e a Bruxelles.

Girano sospetti che Salvini aspetti solo il semestre bianco per svincolarsi dalla attuale maggioranza, che nel PD a parte Letta circolino insoddisfazioni sul premier, che Speranza venga blindato nonostante l’emergere di un non esaltante funzionamento del suo ministero solo per non squilibrare l’esecutivo a destra.

L’opinione pubblica è poco coinvolta da questa politica politicante che non arretra di fronte a nessuna fantasia, arrivando persino ad immaginarsi l’ennesima favoletta della congiura internazionale per far cadere il governo Conte (cosa non si fa per tenersi un buon posto sul grande palcoscenico mediatico!).

Più che su queste dietrologie conviene soffermarsi sulla situazione in cui versano i partiti sempre alle prese con il rebus delle elezioni comunali d’autunno, perché in fondo è su quel terreno che verrà messa alla prova la tenuta dell’attuale tregua politica.

A seconda di quel che uscirà da quelle urne ci sarà o non ci sarà una ridefinizione della tregua anche in vista della scadenza del mandato di Mattarella al Quirinale. E’ infatti nella tenuta o meno delle due coalizioni contrapposte di centrodestra e di centrosinistra nel grande confronto sui sindaci che si misurerà la prosecuzione dell’esperimento Draghi così come è stato progettato nelle intenzioni iniziali.

Quel che al momento si vede è una estrema tensione che corre all’interno di entrambe le coalizioni. Il centrodestra ha il problema di mostrarsi capace di vincere in città chiave in cui non è messo benissimo, nonostante le debolezze in alcuni casi dei suoi avversari.

La competizione fra Lega e FdI è forte, FI cerca di inserirsi per non uscire pesantemente ridimensionata, ma il risultato è che a tutt’oggi non sono riusciti a tenere il centro della scena con candidati di peso, anzi i candidati non li hanno proprio ancora trovati. Il lungo balletto su Bertolaso a Roma è più che indicativo, eppure su quella piazza non è che devono sfondare una falange macedone.

Il PD appare prigioniero delle sue correnti, per non dire fazioni. La trovata di Letta di risolvere tutto ricorrendo alla sceneggiata delle primarie rischia di essere una toppa peggiore del buco.

Quel sistema è affascinante nel mito, nella realtà solo quando c’è stata la spinta di una mediatizzazione a livello nazionale come nel caso della scelta dei segretari, altrimenti si è tutto risolto in uno scontro di truppe cammellate che ogni candidato con la sua fazione poteva mettere in campo. Niente che aiutasse a far uscire un candidato che si imponesse per statura e appeal.

Basterebbe prestare un occhio a quel che sta avvenendo a Bologna, dove la trovata di Renzi di agitare i giochi buttando in campo la possibile candidatura della sindaca di San Lazzaro (un comune della cintura) ha sollevato una corsa al blocco di qualsiasi fair play da parte delle varie nomenclature del PD, che si sono viste spiazzate dall’entrata in campo di una persona che è in grado di esibire una battaglia green vinta contro un progetto bislacco di cementificazione di un’area verde, progetto sostenuto da un blocco di interessi locali (coop, costruttori e altri).

Per evitare il ritorno di immagine su cui può contare la sindaca, i vari cacicchi si sono buttati nella peggiore esibizione di delegittimazione politica: stop al tentativo di Renzi di disarticolare a Bologna il salvifico accordo tra PD e M5S (che a livello locale conta pochissimo) ed estrema sinistra, arrivando a dire che non si poteva accettare che tutto avvenisse con l’argomentazione di candidare “una donna” perché così era strumentale (pronto intervento al proposito delle cacicche locali).

Il caso è emblematico e potrebbe anche offrire una buona occasione a Letta per mostrare che è in grado di mettere ordine in questa corsa disordinata. Sarebbe un buon messaggio da inviare anche a tutta una serie di altre situazioni, inclusa quella di Roma, perché anche lì sembra che si scivoli verso la soluzione delle primarie come ring per il confronto fra le truppe cammellate delle varie fazioni (possano o meno vantare quarti di nobiltà mediatica).

Anche per rafforzarsi nella sua presenza sulla scena nazionale, Letta ha bisogno di mostrare che il suo PD è capace di lavorare perché come sindaci scendano in campo figure importanti per il futuro di ciascuna delle città in lizza, rifiutando di piegarsi ad accettare che siano solo l’occasione per sistemare le cose con le varie nomenklature del professionismo politico-correntizio.


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