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Un murales a Roma

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Se mai esiste un paese del fair play in politica, questo non è certamente l’Italia. La scelta di Salvini, complice l’ineffabile presidente della Lombardia Fontana, di anticipare con una sua conferenza stampa quella del premier del governo di cui fa parte è una brutta pagina della politica italiana.

Lo è soprattutto per il fatto che il leader della Lega ha voluta intestarsi, con la stucchevole sceneggiata di negarlo attribuendo tutto farisaicamente alla vittoria del buon senso, il risultato di quel che il governo si apprestava a rendere pubblico. Anzi, ha preso l’occasione per dire che la decisione di riaprire già il 26 aprile era stata presa grazie alle pressioni dentro il governo del suo partito che aveva messo in minoranza il parere contrario del ministro Speranza.

Ora quel che è accaduto di lì a poco in conferenza stampa a Palazzo Chigi ha raccontato una storia sideralmente diversa. Non solo Draghi ha fatto in modo di rinnovare il suo sostegno al ministro della Sanità, anche facendolo parte attiva della conferenza stampa, ma ha esplicitamente dichiarato che nel Consiglio dei Ministri c’è una “atmosfera eccellente” e che tutto è stato deciso all’unanimità.

Poi il premier si è spinto a dire, rispondendo ad una domanda, che non c’erano fazioni che si erano calmate nelle loro lamentele: non sappiamo se si sia trattato di una delle bugie diplomatiche a cui si deve ricorrere o se fosse più banalmente un wishful thinking per ridimensionare Salvini al ruolo del ragazzetto che deve sempre fare il guastafeste perché di altro non è capace.

È però difficile sottovalutare questi episodi. Certamente c’erano anche cose molto importanti su cui sarebbe stato bene interrogarsi: soprattutto la necessità di fare “debito buono” ripagandolo con una crescita corrispondente che ci eviterà in futuro di dover pagare pegno per esso. Chi fa politica e non demagogia dovrebbe occuparsi più di questo risvolto, che è decisivo per il futuro del paese, che di discettare sull’anticipo di qualche giorno sulle riaperture. Ma i tempi non sono favorevoli per questo genere di politici.

Detto questo, sarebbe opportuno che una parte almeno dei membri del governo e dei partiti che lo sostengono riflettesse sulla sua impreparazione che ha consentito di servire a Salvini un assist molto facile. Come non prevedere che se dopo settimane di intemerate sul dovere di riaprire con enorme cautela lasciando intendere che non si poteva assolutamente far nulla prima del 1° maggio si decideva improvvisamente di avviare le riaperture il 26 aprile, una parte almeno dell’opinione pubblica l’avrebbe vista come una resa alle pressioni di piazza e alle intemerate di Salvini e Meloni?

Sarebbe bastata un po’ più di accortezza nella comunicazione, qualche sospiro in più nelle scorse settimane per sottolineare che non si aspettasse altro che vedere numeri migliori per poter aprire, perché il merito (termine improprio) delle riaperture già prima della fine di aprile non apparisse come una conversione, se non proprio una resa alle pressioni del centrodestra.

Giustamente Draghi ha parlato della assunzione di un “rischio ragionato” da parte del governo, ma questa formula poteva essere utilizzata prima, tanto era evidente che si sarebbe dovuto trovare un contemperamento fra le strategie di contenimento dell’epidemia e la necessità di conviverci. Il non avere mostrato con molta evidenza la consapevolezza del necessario compromesso fra le due esigenze, né da parte delle forze politiche, né da parte degli scienziati, è stato uno degli errori su cui varrà la pena di riflettere. Comprendiamo benissimo che è prevalsa la tesi che andava enfatizzato al massimo il rischio delle pesanti conseguenze dell’epidemia se non ci si adeguava a tenere comportamenti virtuosi, ma dobbiamo constatare che questa tecnica ha funzionato fino ad un certo punto nonostante la drammaticità del numero delle vittime.

Alla fine, come ha detto molto bene Draghi, si è dovuto accettare qualche rischio, ricordando però che se la popolazione non accetterà le regole per gestirlo in maniera virtuosa avremo risultati preoccupanti. Insomma quell’affidamento con uno sforzo di fiducia sulla disciplina degli italiani non è stato evitabile.

Reggeremo con un quadro politico in cui non si riesce a trovare una solidarietà vera di fronte ad una sfida epocale? L’incognita è grande. Fratelli d’Italia si mostra sempre meno capace di fare l’opposizione responsabile perché sente la possibilità di mettere nell’angolo elettorale la Lega. Salvini reagisce nella sola maniera che conosce, provando a scavalcare l’avversario. Anche la sinistra però non riesce a sottrarsi alla logica dello scontro barricadiero, convinta, a nostro giudizio sbagliando, che ricostituisca le sue fortune facendo rivivere lo scontro angeli vs demoni. Non si accorge che così finisce nella trappola che le ha preparato la destra.

Draghi prova, diremmo caparbiamente, a riportare tutto alle ragioni che hanno dato vita al suo governo: rispondere insieme alla sfida della pandemia ed a quella di un possibile declino dell’Italia sotto i suoi colpi. L’ha ripetuto più volte anche nella conferenza stampa di ieri provando a spiegare l’importanza del PNRR così come del cronoprogramma per far partire finalmente una cinquantina di grandi opere che erano ferme. Ma l’attenzione per le riaperture e per il destino del ministro Speranza non lasciava spazio ad altro, dentro e fuori quell’aula. E non era un bel vedere.


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